Nascita di un figlio dalla nuova relazione e revisione delle condizioni sulla collocazione della prole

25 Maggio 2016

Il criterio fondamentale al quale il giudice deve attenersi nell'adozione dei provvedimenti riguardanti i figli minori è rappresentato dell'esclusivo interesse morale e materiale dei medesimi il quale impone di privilegiare, tra più soluzioni eventualmente possibili, quella che appaia più idonea a ridurre al massimo i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore
Massima

Il criterio fondamentale al quale il giudice deve attenersi nell'adozione dei provvedimenti riguardanti i figli minori è rappresentato dall'esclusivo interesse morale e materiale dei medesimi, il quale impone di privilegiare, tra più soluzioni eventualmente possibili, quella che appaia più idonea a ridurre al massimo i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore.

Il caso

Il Tribunale per i minorenni di Bologna, su ricorso promosso dal padre, disponeva l'affido condiviso del figlio minore, collocandolo presso il ricorrente e incaricando i servizi sociali di coordinare e monitorare il diritto di visita dell'altro genitore (la madre, nel frattempo trasferitasi a grande distanza dalla residenza del minore) nonché di agire a sorveglianza e sostegno del nucleo familiare.

La madre proponeva reclamo e la Corte d'Appello, considerato che entrambi i genitori dimostravano di saper comprendere e soddisfare le esigenze del figlio e in virtù del fatto che la situazione familiare del padre subiva un importante mutamento in conseguenza della nuova convivenza del medesimo e dell'attesa di un figlio dalla nuova compagna, riteneva opportuno modificare il precedente regime; disponeva infatti la collocazione del minore presso la madre, osservando che in un momento di particolare importanza per il minore, quale l'avvio alla scolarizzazione, la permanenza presso il nucleo familiare stabile materno risultasse maggiormente tranquillizzante, essendo il minore, in questo caso, l'unico centro di attenzione, diversamente dalla realtà della casa paterna ove le attenzioni del genitore sarebbero state rivolte prevalentemente al nascituro. Avverso questa sentenza il padre proponeva ricorso principale.

In motivazione.

«Le disposizioni impartite dal decreto impugnato in ordine alla collocazione del figlio nato dall'unione tra le parti e la disciplina adottata con riguardo alla permanenza del minore presso ciascun genitore costituiscono puntuale applicazione del principio secondo cui il criterio fondamentale al quale il giudice deve attenersi nell'adozione dei provvedimenti riguardanti i figli minori è rappresentato dall'esclusivo interesse materiale e morale della prole, il quale impone di privilegiare, tra più soluzioni eventualmente possibili, quella che appaia più idonea a ridurre al massimo i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo famigliare e ad assicurare il miglior sviluppo della personalità del minore (Cass. civ., sez. I, 27 giugno 2006 n. 14840; Cass. civ., sez. I, 22 giugno 1999, n. 6312). Pur avendo ritenuto di poter escludere la necessità di privare una delle parti dell'esercizio della responsabilità genitoriale (…), la Corte di merito ha dovuto prendere atto della particolare situazione venutasi a creare a seguito della cessazione della convivenza more uxorio e segnatamente all'avvenuto trasferimento della madre in una città diversa, che ha reso necessarie scelte appropriate in ordine all'individuazione dei tempi e delle modalità di permanenza del minore presso ciascun genitore. In quest'ottica la decisione di collocare stabilmente il minore presso la madre appare tutt'altro che priva di ragionevole giustificazione, essendosi il decreto impugnato attenuto al criterio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui l'individuazione del genitore collocatario deve avere luogo sulla base di un giudizio prognostico circa la capacità dello stesso di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dal fallimento dell'unione, giudizio da formularsi con riferimento ad elementi concreti, emergenti non solo dalle modalità con cui ciascuno dei genitori ha svolto in passato i propri compiti, ma anche con riguardo alla rispettiva capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché alla personalità del genitore, alle sue consuetudini di vita ed all'ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore».

La questione

La questione è la seguente: il fatto che il genitore, presso cui è stato collocato il figlio minore sia in attesa di un nuovo figlio da altro partner, può fondare e legittimare la modifica dell'ordinanza di collocazione del minore anche quando l'altro genitore abbia trasferito la propria residenza a grande distanza da quella del minore?

Le soluzioni giuridiche

La giurisprudenza è stata sempre attenta nell'assunzione dei provvedimenti a favore dei minorenni nelle crisi familiari, specie in tema di collocazione del minore.

Tuttavia, in passato, la tendenza era quella di collocare i figli presso la madre assumendo provvedimenti contrari a tale consuetudine solo in casi limite; oggi l'attenzione del legislatore e dei giudici porta a verificare quale sia il reale benessere del minore e, conseguentemente, il nucleo famigliare più idoneo a garantire tale benessere.

Nella sentenza in esame, infatti, la Suprema Corte osserva «alla luce di tale giudizio di adeguatezza del rapporto delle parti con il minore e di sostanziale equivalenza delle rispettive capacità genitoriali che il decreto impugnato ha ritenuto preferibile la collocazione del minore presso la madre, procedendo ad una comparazione tra le caratteristiche del nucleo famigliare della stessa, costituito da altri due figli in età ormai adulta e quelle della famiglia del padre, in attesa della nascita di un altro figlio, ed attribuendo una portata decisiva alle maggiori attenzioni di cui il minore avrebbe potuto costituire oggetto nel primo ambiente, in un momento particolarmente delicato per il suo sviluppo, quel è l'avvio alla scolarizzazione. La specificità degli elementi presi in esame dalla Corte territoriale fa apparire priva di fondamento la censura di astrattezza sollevata dal ricorrente il quale, nel contestare il predetto apprezzamento, non è in grado di indicare i fatti materiali non considerati dal decreto impugnato, ma si limita ad insistere sugli effetti negativi dell'inserimento del minore nel nucleo famigliare della madre, composto esclusivamente da adulti, ponendoli a confronto con quelli asseritamente positivi del futuro rapporto con il fratello minore, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso l'apparente deduzione del vizio di violazione di legge, una rivisitazione della predetta valutazione, non consentita a questa Corte, neppure sotto il profilo dell'insufficienza e della contraddittorietà della motivazione. (…) Nel valutare gli effetti dell'avvenuto trasferimento della residenza da parte della moglie, la Corte territoriale ha infatti sottolineato espressamente la necessità di coordinare con la predetta esigenza la collocazione del minore presso la madre, impartendo adeguate disposizioni a garanzia del diritto del padre di tenere il figlio presso di sé per periodi anche prolungati, e ciò in conformità del principio, anch'esso ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui l'allontanamento dal luogo di residenza del nucleo famigliare, a seguito della cessazione della convivenza, costituendo espressione della facoltà di fissare liberamente il centro dei propri interessi ed affetti, non giustifica di per sé un apprezzamento negativo in ordine all'idoneità del genitore a porsi quale valido punto di riferimento per la crescita e l'educazione die figli, potendo al più incidere sulla disciplina dei tempi e dei modi della loro permanenza presso l'altro genitore, in relazione alla distanza eventualmente esistente tra i rispettivi luoghi di residenza (Cass. civ., sez. I, 12 maggio 2015 n. 9633; Cass. civ., sez. I, 21 marzo 2011 n. 6339; Cass. civ., sez. VI, 2 dicembre 2010 n. 24526). L'ampiezza della predetta disciplina, non preclusiva di eventuali ulteriori occasioni di frequentazioni tra il ricorrente ed il figlio, liberamente concordabili tra le parti nell'interesse di quest'ultimo, consente peraltro di escludere la lamentata riduzione del rapporto genitoriale ad una mera apparenza, essendo l'intensità di tale rapporto valutabile non solo e non tanto in termini quantitativi, sulla base del tempo complessivamente trascorso con il minore, ma anche e soprattutto in termini qualitativi, in relazione all'impegno profuso dal genitore per comprendere i bisogni del figlio e per collaborare con l'altro genitore nell'individuazione dei mezzi più appropriati per farvi fronte. E' in tale impegno, d'altronde, che si esprime al cosi detta bigenitorialità, quale presenza comune di entrambe le figure parentali nella vita del figlio e cooperazione delle stesse nell'adempimento dei doveri di assistenza, educazione ed istruzione».

In altre parole la Suprema Corte nell'assumere la sua decisione si è basata non solo e semplicemente sulla circostanza della nuova nascita nella casa paterna, bensì ha approfonditamente esaminato entrambi gli ambienti familiari dei genitori ritenendo quello materno il più confortevole e adeguato per il percorso formativo ed emotivo del figlio minorenne, in modo da garantire a quest'ultimo tutta la serenità e le attenzioni di cui necessita e tutelare allo stesso tempo il rapporto parentale di entrambi i genitori con il figlio.

Osservazioni

In relazione alla tutela della bigenitorialità il legislatore fa ormai riferimento principe all'art. 8 della CEDU in base al quale viene imposto alle autorità nazionali il dovere di compiere ogni tentativo possibile per agevolare la conservazione o il ripristino di una congrua ed assidua frequentazione tra il minore ed il genitore non collocatario, anche ove sussista una considerevole distanza tra il luogo di residenza di quest'ultimo e l'altro genitore.

Del resto, nel silenzio della legge è da ritenersi che la fissazione della residenza del minore rientri a pieno titolo tra le decisioni di maggiore interesse per la prole da assumersi di comune accordo tra i genitori e da sottoporsi, in caso di loro disaccordo, all'esame del giudice. Il giudice, del resto, può ritenersi facoltizzato ad adottare «ogni altro provvedimento relativo alla prole» tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli decidendo così in concreto quale sarà la residenza dei minori.

Di certo permangono non poche incertezze riguardo le possibili interferenze che un cambio di residenza di uno dei coniugi può portare in ambito di affidamento, così come le stesse incertezze permangono quando uno dei due genitori abbia un figlio dal nuovo partner, ma posto che entrambe tali circostanze rientrano nei diritti costituzionalmente garantiti, pare doversi ritenere che anche nella coesistenza di tali ipotesi vada valutata la soluzione più adeguata per il minore avendo cura all'interesse di quest'ultimo anche in relazione a tutti gli aspetti di vita del minore rispetto ai genitori singolarmente individuati, al momento di crescita del minore e ai due nuclei famigliari con cui il minore dovrà rapportarsi.

Guida all'approfondimento

-G. De Marzo, C. Cortesi, A. Liuzzi, La tutela del coniuge e della prole nella crisi familiare, Giuffrè, 2007, 549

-M. Sesta, A. Arceri, L'affidamento dei figli nella crisi della famiglia, Milano, 2012, 6

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