Validità del testamento contenente solo il riconoscimento del figlio non matrimoniale
25 Ottobre 2016
Massima
L'atto contenente disposizioni di carattere esclusivamente non patrimoniale può essere qualificato testamento purché di questo abbia contenuto, forma e funzione, la quale ultima, in particolare, consiste nell'esercizio, da parte dell'autore, del proprio generale potere di disporre mortis causa. Se non si ravvisa l'intento di dotare la dichiarazione di effetti mortis causa, essa è ricondotta a mera enunciazione inter vivos e non è produttiva di effetti immediati. Il caso
Tizia chiedeva l'accertamento della sua qualità di erede, insieme alla convenuta M., nella misura del 50%, del defunto in forza di una scrittura dello stesso contenente soltanto la enunciazione che Tizia fosse sua figlia a tutti gli effetti. Tale accertamento era finalizzato a far dichiarare nullo ed inefficace un atto di vendita posto in essere dalla convenuta, con la condanna di quest'ultima al risarcimento dei danni subiti. La convenuta deduceva che la scrittura non poteva considerarsi un testamento e perciò il riconoscimento non poteva essere considerato valido, essendo privo della forma minima necessaria. In primo grado il Tribunale di Perugia affermava che detta scrittura non ha le caratteristiche di un documento. La Corte d'Appello di Perugia rigettava l'appello e confermava l'interpretazione della scrittura data dal primo grado. Anche la Cassazione, rileva come dalla dichiarazione in discussione non si evinca un'intenzione negoziale dell'autore volta a produrre l'effetto accertativo della filiazione dopo la sua morte, e perciò non sussiste la pretesa natura di atto mortis causa. Pertanto, la Suprema Corte conferma quanto già affermato dalla Corte d'Appello di Perugia ovvero che la dichiarazione del tenore «N.G., nata a (OMISSIS), è mia figlia a tutti gli effetti», non avesse valore di un testamento olografo e ritiene inesistente il riconoscimento della filiazione. La questione
La questione in esame è la seguente: un documento contenente una dichiarazione che non rappresenta una manifestazione chiara ed espressa di volontà a riconoscere un figlio - disposizione tradizionalmente qualificata peraltro a contenuto non patrimoniale - può essere qualificato testamento? Oppure è soltanto una mera enunciazione del fatto della procreazione, senza alcun intento ad attribuire ad essa gli effetti collegati al testamento? Le soluzioni giuridiche
Perché un atto possa qualificarsi come testamento (sia pure inteso come forma vincolata, autonoma dal proprio naturale contenuto attributivo, in quanto includente soltanto disposizioni di carattere non patrimoniale), «pur non essendo necessario l'uso di formule sacramentali, è necessario riscontrare in modo univoco dal suo contenuto che si tratti di atto di ultima volontà, in maniera da distinguerlo, per rimanere proprio al caso del riconoscimento del figlio nato al di fuori del matrimonio, da una mera enunciazione del fatto della procreazione». La ravvisabilità dell'atto di regolamento mortis causa rappresenta un prius logico rispetto ad ogni questione sull'interpretazione della volontà testamentaria, sicchè non vi è luogo di discutere di violazione o falsa applicazione dell'art. 1362 ss. c.c. se neppure appare oggettivamente configurabile una volontà testamentaria nelle espressioni adottate all'interno della scrittura da esaminare. Si è perciò costantemente affermato che per decidere se un documento abbia i requisiti intrinseci di un testamento olografo, occorre accertare se l'estensore abbia avuto la volontà di creare quel documento che si qualifica come testamento, nel senso che risulti con certezza che con esso si sia inteso porre in essere una disposizione di ultima volontà (Conforme: Cass. civ., sez. II, 28 maggio 2012, n. 8490). La Cassazione decide che il documento sottoposto alla sua attenzione non abbia le caratteristiche minime per poter essere considerato una manifestazione di volontà mortis causa, con la consapevolezza degli effetti derivanti. Perciò, la Suprema Corte non nega validità al testamento contenente il solo riconoscimento, ma afferma che ogni dichiarazione di riconoscimento vada verificata per vedere se ad essa l'Autore voglia ricollegare gli effetti mortis causa del testamento o se, invece, intenda effettuare una dichiarazione enunciativa senza alcuna efficacia, stante la formalità del riconoscimento. Osservazioni
Le osservazioni che merita questa sentenza hanno per oggetto tre distinte questioni. La prima osservazione attiene alla valutazione di un atto o uno scritto quale testamento olografo ai sensi dell'art. 602 c.c.: tale valutazione costituisce apprezzamento di fatto, che si sottrae al sindacato di legittimità (Conforme: Cass. civ., sez. III, 29 aprile 2006, n. 10035). Tutti e tre i gradi hanno valutato che la scrittura non contenga nessun intenzione in relazione alla produzione di effetti mortis causa. Ciò è rilevante proprio in relazione alla seconda osservazione, relativa al riconoscimento del “figlio naturale”. Questo è un atto personalissimo e formale. L'art. 254 c.c., invero, contiene un'elencazione tassativa delle forme dell'atto di riconoscimento di figlio nato al di fuori del matrimonio, potendo esso ammettersi o nell'atto di nascita, oppure con apposita dichiarazione, posteriore alla nascita o al concepimento, resa davanti ad un ufficiale dello stato civile o in un atto pubblico o in un testamento, qualunque sia la forma di questo. La rilevanza del documento che contiene perciò una dichiarazione di paternità quale testamento è essenziale: se è testamento, il riconoscimento sarà valido ed efficace, altrimenti esso sarà privo della necessaria forma per produrre effetti. Questo conduce direttamente alla terza questione, ovvero se il riconoscimento possa esser l'unico contenuto di un testamento, in considerazione della sua caratteristica di non patrimonialità. Quale premessa logica è necessario riflettere come il riconoscimento non sia una dichiarazione priva di effetti economici: infatti, il riconoscimento del figlio comporta automaticamente il venire ad esistenza di un erede legittimario e riservatario di una quota, anche in assenza di disposizioni a suo favore. La patrimonialità del riconoscimento è perciò implicita nei diritti derivanti al figlio dall'acquisto della qualità di erede necessario. In ogni caso, l'art. 587, comma 2, c.c. afferma poi che le disposizioni di carattere non patrimoniale, che la legge consente siano contenute in un testamento (la cassazione, in particolare, nella sentenza in commento così qualifica il riconoscimento ex art. 254 c.c.), hanno efficacia, se contenute in un atto che abbia la forma del testamento, anche se manchino disposizioni di carattere patrimoniale. La possibilità che il testamento esaurisca il suo contenuto in disposizioni di carattere non patrimoniale impone comunque che sia ravvisabile un "testamento in senso formale", rivelante la funzione tipica del negozio testamentario. Tale funzione consiste nell'esercizio da parte dell'autore del proprio generale potere di disposizione mortis causa. Perché sia individuabile un testamento in senso formale, quindi, occorre rinvenire il proprium dell'atto di ultima volontà, nel senso che l'atto deve esprimere un'intenzione negoziale destinata a produrre i suoi effetti dopo la morte del disponente. Il testamento, infatti, rappresenta l'unico tipo negoziale con il quale taluno può disporre dei propri interessi per il tempo della sua morte. Non è esclusa, quindi, l'esistenza del testamento, qualora esso contenga soltanto disposizioni di carattere non patrimoniale, ma requisiti irrinunciabili sono la formalità e la solennità dell'atto al fine di garantire la libertà di testare, la certezza e la serietà della manifestazione di volontà del suo autore e la sicura determinazione del contenuto delle singole disposizioni. Affinché la dichiarazione di riconoscimento di un figlio nato al di fuori del matrimonio possa, pertanto, intendersi inserita in un testamento, del quale pure esaurisca il contenuto, occorre che esso riveli la sua natura di atto mortis causa (per il tempo in cui avrà cessato di vivere), nel senso che la morte sia assunta dal dichiarante come punto di origine (ovvero, appunto, come causa) del complessivo effetto del regolamento dettato con riguardo a tale situazione rilevante giuridicamente. |