Il contenuto patrimoniale del testamento
26 Ottobre 2016
Il testamento, a norma dell'art. 587 c.c., può avere ad oggetto tanto disposizioni a carattere patrimoniale quanto disposizioni c.d. non patrimoniali. Nonostante i dubbi in dottrina, si può certamente affermare che non sussista un rapporto di subordinazione tra le prime e le seconde: le disposizioni non patrimoniali possono, secondo la giurisprudenza, essere unico contenuto del testamento. Soffermando l'attenzione su quelle patrimoniali, si deve sottolineare che lo stesso termine “disposizione”, frequentemente usato in dottrina e giurisprudenza, non è pienamente soddisfacente. Secondo gli approdi più recenti della giurisprudenza (Cass. civ., sez. II, 25 maggio 2012, n. 8352 in tema di diseredazione) il testamento può contenere, infatti, clausole attributive (come l'istituzione d'erede o il legato), con le quali il de cuius indirizza il suo patrimonio a terzi, ma anche clausole non attributive, e persino clausole “negative”, come la diseredazione: si dovrebbe affermare cioè che «il testatore "stabilisce un regolamento", "pone un precetto" in ordine alla sorte del proprio patrimonio e da valere per il tempo dopo la morte» (M. Bin, La diseredazione. Contributo allo studio del contenuto del testamento, Torino, 1966, 222 ss., spec. 239). L'opinione qui accolta in relazione all'ampio concetto di testamento induce, poi, ad attribuire un significato specifico all'ulteriore distinzione tra disposizioni tipiche e disposizioni atipiche. Se, infatti, si dovesse considerare il testamento quale «atto di attribuzione patrimoniale a causa di morte che opera attraverso l'istituzione di erede e il legato», disposizioni atipiche risulterebbero essere necessariamente «quelle dichiarazioni testamentarie che, qualunque ne sia il contenuto e la natura, non possano riportarsi alle figure tipiche […] né costituiscono disposizioni accessorie o complementari ad esse» (così G. Giampiccolo, Il contenuto atipico del testamento, Milano, 1954, 3 ss.). Si preferisce una diversa ricostruzione, in base alla quale funzione del testamento è il regolamento di interessi post mortem, e dalla quale discende che la distinzione tra disposizioni tipiche e atipiche è più semplicemente fondata sull'esistenza o meno, nella legge, di norme disciplinanti l'istituto giuridico prescelto dal testatore.
É indiscutibile che nella maggior parte dei casi il testamento ha contenuto attributivo (essendo diretto a regolamentare la successione nei diritti patrimoniali) ed ha per oggetto le disposizioni patrimoniali tipiche per eccellenza: l'istituzione di erede (attribuzione dell'universum ius defuncti o di una sua quota) e il legato (attribuzione di un bene o di un diritto determinato) - disciplinati dall'art. 588, comma 1, c.c. -. Si rammenta brevemente che le tre istituzionali differenze tra istituzione ereditaria e legato concernono: i) il peso dei debiti: solo l'erede risponde dei debiti ereditari; ii) la modalità di acquisto: l'eredità dev'essere accettata, il legato si acquista automaticamente all'apertura della successione, salvo rifiuto; iii) il possesso: l'erede subentra nel possesso dei beni ereditari (successione nel possesso), il legatario deve chiedere la consegna all'erede dei beni e può unire il suo possesso a quello del testatore, se lo ritiene vantaggioso (accessione nel possesso). Grande frequenza nella prassi, come si rinviene dalla casistica giurisprudenziale concernente i testamenti olografi, ha anche la istituzione ex re certa, contemplata dall'art. 588,comma 2, c.c., che stabilisce che può aversi disposizione a titolo universale – e quindi istituzione di erede con tutte le conseguenze ad essa connesse – anche quando, pur essendo indicati beni determinati o un complesso di beni, «risulta che il testatore ha voluto assegnare quei beni come quota del patrimonio». In relazione alla qualificazione del lascito come disposizione a titolo universale o particolare va menzionato il dibattito concernente la clausola con cui il testatore conferisca ad un soggetto l'usufrutto su tutto il suo patrimonio o su una parte di esso. Parte della dottrina (L. Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte, Parte generale, Napoli, 1977, 156; S. Passarelli, Legato di usufrutto universale, in Saggi di diritto civile, Napoli, 1951, 725) e della giurisprudenza (da ultimo Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 2010, n. 1557) afferma che tale clausola abbia natura di legato, non avendo ad oggetto una quota del patrimonio del defunto. Altra dottrina (A. Cicu, Successioni per causa di morte. Parte generale: delazione ed acquisto dell'eredità. Divisione ereditaria, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da A. Cicu, F. Messineo, vol. XII, Giuffrè, 1961, 29) e alcune recenti pronunzie di Cassazione (Cass. civ., sez. II, 24 febbraio 2009, n. 4435) hanno ammesso che il testatore possa aver inteso attribuire al titolare dell'usufrutto la qualità di erede, considerato che l'attribuzione comprende comunque tutti i beni del de cuius. I pilastri della successione testamentaria
Si deve ricordare che la dottrina, elaborando il dettato codicistico, ha delineato quattro c.d. pilastri del testamento, o, più tecnicamente, quattro requisiti essenziali che devono caratterizzare le disposizioni testamentarie patrimoniali: - Formalismo: il testamento può essere tale solo se assume le forme previste dalla legge – olografo (art. 602 c.c.), pubblico (art. 603 c.c.) o segreto (artt. 604 e 605 c.c.). - Personalità: il negozio testamentario non ammette rappresentanza; inoltre non sono ammesse disposizioni con le quali il testatore rimetta a un terzo la determinazione dell'oggetto o del beneficiario della disposizione (c.d. relatio formale), se non nei ristretti limiti dettati dagli artt. 631 e 632 c.c. - Certezza: a norma dell'art. 628 c.c. è nulla la disposizione a favore di persona che non sia determinata o determinabile; analogamente si ritiene invalido il testamento in cui non sia determinato o determinabile l'oggetto del lascito. - Revocabilità: il testamento deve poter essere revocato fino all'ultimo istante della vita del testatore (artt. 679 ss. c.c.). È, però, consentito che il beneficiario sia determinabile per relationem, per mezzo di un'altra disposizione testamentaria o in qualunque altro modo che permetta di individuare il beneficiario stesso.(G. Azzariti, Le successioni e le donazioni, Napoli, 1990, 490. In giurisprudenza: Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 1985, n. 141) Presentano certamente il requisito della patrimonialità le disposizioni a favore dell'anima e a favore dei poveri (artt. 629 e 630 c.c.). Esse sono considerate applicazioni del principio della certezza della volontà testamentaria: presuppongono la nullità per indeterminatezza delle disposizioni generiche e, in via di eccezione, “salvano” le disposizioni stesse mediante precise indicazioni legislative (S. Pardini, La nozione civilistica delle disposizioni a favore dell'anima, in Riv. not., 1992, 680). L'art. 629 c.c., infatti, stabilendo che devono considerarsi valide le disposizioni a favore dell'anima qualora siano determinati i beni o determinabile la somma da impiegarsi, implicitamente riconosce che l'assenza di tale determinazione comporterebbe la nullità della disposizione stessa a termini dell'art. 628 c.c.. L'art. 630 c.c., per il raggiungimento dello stesso scopo, prevede che l'assenza di ogni indicazione specifica sull'uso o sull'istituto cui è destinato il lascito a favore dei poveri deve intendersi come diretto ai «poveri del luogo in cui il testatore aveva domicilio al tempo della sua morte e i beni sono devoluti all'ente comunale di assistenza, ossia, in seguito al loro scioglimento, al comune». Attraverso tali norme il legislatore riconosce merito a interessi sovraordinati, quali il sentimento religioso o liberale e umanitario del testatore, derogando, a certe condizioni, al principio di certezza e “riempiendo” la disposizione lacunosa da un lato ritenendo sufficiente la precisazione dei beni o della somma da devolvere “in favore dell'anima”; dall'altro lato inserendo una norma integrativa volta a supplire all'indeterminatezza quale riconoscimento di favore nei confronti di soggetti bisognosi (C. Coppola, Disposizioni a favore dell'anima, disposizioni a favore dei poveri e ricostruzione della volontà testamentaria, in Nuova giur. Civ. comm., 2000, I, 377 ss). Il legislatore ha previsto innumerevoli altre norme dell'ordinamento (finanche in materia di diritto del lavoro, agli artt. 2120 e 2122 c.c.) dalle quali si possono trarre clausole da inserire in un testamento, e non è questa la sede idonea per una trattazione approfondita di ciascuna fattispecie. L'opinione tradizionale, ponendo al centro del sistema successorio l'art. 588 c.c., sosteneva che tutte le disposizioni patrimoniali fossero necessariamente da qualificarsi come istituzioni di erede o legati. Le clausole più importanti, come la condizione e l'onere, erano relegate a meri elementi accidentali, mutuati dal diritto dei contratti. L'evoluzione interpretativa della dottrina e della giurisprudenza, che è partita dall'analisi dell'onere, è giunta, più recentemente, a conclusioni differenti. La dottrina unanime qualifica l'onere quale elemento accidentale del testamento, ma anche come disposizione autonoma: non dev'essere necessariamente accessorio a un'istituzione di erede o ad un legato, ma ha natura indipendente, anche se collegata; ciò si trae dalla caratteristica dell'ambulatorietà dell'onere, che può trasmigrare a favore di altri soggetti (artt. 676 e 577 c.c.). Si è recentemente giunti ad affermare la legittimità del testamento che contenga solo disposizioni modali, dove l'onerato sarà individuato ex art. 629, comma 2, c.c. (in giurisprudenza Trib. Terni, 28 novembre 1993). A seguito di tali riflessioni la dottrina ha continuato a interrogarsi sul ruolo della summa divisio contenuta nell'art. 588 c.c., e proprio grazie all'esempio dell'onere si è giunti a dire che la bipartizione tra istituzione di erede e legato non ha carattere tassativo: è possibile riconoscere la natura autonoma e indipendente di una serie di altre clausole testamentarie che non si attagliano perfettamente alla biforcazione sancita nell'art. 588 c.c.. Trattando delle disposizioni tipiche, anzitutto si possono prendere ad esempio le disposizioni ex artt. 752 e 754 c.c. concernenti la ripartizione (nei soli rapporti interni) del peso dei debiti ereditari. Tali clausole, certamente legittime secondo la dottrina tradizionale, dovevano essere considerate dei legati o degli oneri, con notevole complicazione tecnica e concettuale; secondo l'opinione più recente, che qui si accoglie, è, invece, legittimo considerare tali disposizioni autonome e indipendenti, e anche dal punto di vista redazionale è possibile una formulazione diretta che prescinda dalla qualificazione di onere o di legato. Ancora, le norme sulla divisione di cui agli artt. 733 e 734 c.c., per quanto presuppongano una (implicita o esplicita) istituzione di erede, non possono dirsi ancillari o accessorie: sono vere e proprie disposizioni testamentarie indipendenti, che possono essere anche unico contenuto del testamento (si pensi al caso in cui il testatore, desiderando che la sua eredità sia devoluta come per legge, voglia solo precisare il suo desiderio di assegnare un determinato bene a uno dei suoi successori ab intestato “a riempimento” della sua quota). Altre disposizioni aventi carattere patrimoniale e contenuto autonomo sono le disposizioni istitutive della fondazione ex art. 14 c.c. e la previsione, ex art. 558 c.c., in base alla quale il testatore può stabilire un ordine di riduzione tra le disposizioni testamentarie, postergando, per così dire, l'attribuzione preferita e imponendo che l'azione di riduzione colpisca prima le altre. Le clausole analizzate, a titolo esemplificativo e non tassativo, sono tutte fattispecie tipiche di disposizioni patrimoniali diverse dall'istituzione di erede e dal legato. Più controversa è l'ammissibilità di disposizioni testamentarie atipiche che non rivestano la forma di legati: anche la clausola che importi il subentro in una posizione contrattuale o quella che imponga l'assunzione di un'obbligazione sono pacificamente ricondotte all'istituto del legato. In conclusione
Il contenuto patrimoniale del testamento non si limita alla tradizionale bipartizione tra eredità e legato, ma può andare molto oltre: clausole testamentarie quali l'onere, le regole in tema di divisione, la ripartizione del peso dei debiti ereditari, l'istituzione di fondazioni per testamento, sono da considerarsi autonome (indipendenti da eventuali e non necessitate istituzioni ereditarie) e possono costituire anche l'unico contenuto del testamento. Si deve rimarcare, però, che tutte le disposizioni, tipiche e atipiche, devono rispettare i requisiti imposti dai c.d. quattro pilastri del testamento: il formalismo, la certezza dell'oggetto e del destinatario, la personalità della volizione testamentaria, la revocabilità del negozio mortis causa.
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