Il danno cagionato dal figlio: quale prova liberatoria?

27 Maggio 2015

I genitori vanno esenti da responsabilità civile extracontrattuale verso i terzi per fatto illecito del figlio se, ex art. 2048 c.c., «provano di non aver potuto impedire il fatto»
Massima

I genitori vanno esenti da responsabilità civile extracontrattuale verso i terzi per fatto illecito del figlio se, ex art. 2048 c.c., «provano di non aver potuto impedire il fatto», prova liberatoria che, secondo le regole processuali, deve essere fornita in positivo attraverso la dimostrazione di aver impartito al figlio una buona educazione e di aver esercitato su di lui una vigilanza adeguata, elementi da contestualizzare rispetto a condizioni sociali, familiari, età, carattere ed indole del minore. Le modalità del fatto illecito possono essere utilizzate solo come presunzione di inadeguatezza di educazione e vigilanza, ma non anche per provare l'assolvimento dei detti obblighi genitoriali.

Il caso

Tizio cita i genitori di Caietto ex art. 2048 c.c. per ottenerne condanna al risarcimento del danno patito in conseguenza delle lesioni infertegli dall'adolescente, da cui aveva subito aggressione in discoteca. Riferisce che, quanto ai medesimi fatti, il Tribunale per i Minorenni aveva accertato la penale responsabilità di Caietto per il reato di lesioni, pronunciando, poi, sentenza di non doversi procedere per concessione del beneficio del perdono giudiziale.

Il Tribunale rigetta la domanda attorea.

La Corte di Appello stravolge il decisum di primo grado, riconoscendo valore probatorio alla sentenza penale, alla documentazione medica ed alla CTU ed escludendo che i genitori convenuti avessero dato prova liberatoria.

I genitori interpongono ricorso per Cassazione lamentando, tra il resto, l'indebita estensione del giudicato penale oltre i limiti dell'art. 651 c.p.p. e segg. e l'errata motivazione in punto prova liberatoria.

In motivazione:

«Non è vero che vi sia stata violazione dell'art. 651 c.p.p., in quanto la C.A. non ha assegnato valore di giudicato alla sentenza penale. Essa ha fatto corretta applicazione del principio, che va qui condiviso, per cui (Cass., S.U., 26 gennaio 2011, n. 1768) in tema di giudicato, la disposizione di cui all'art. 652 c.p.p., cosi come quelle degli artt. 651, 653 e 654 dello stesso codice costituisce un'eccezione al principio dell'autonomia e della separazione dei giudizi penale e civile e non è, pertanto, applicabile in via analogica oltre i casi espressamente previsti [..].

Va ribadito il principio (Cass., 20 ottobre 2005, n. 20322) secondo cui in relazione all'interpretazione della disciplina prevista nell'art. 2048 c.c., è necessario che i genitori, al fine di fornire una sufficiente prova liberatoria per superare la presunzione di colpa dalla suddetta norma desumibile, offrano non la prova legislativamente predeterminata di non aver potuto impedire il fatto (atteso che si tratta di prova negativa), ma quella positiva di aver impartito al figlio una buona educazione e di aver esercitato su di lui una vigilanza adeguata; il tutto in conformità alle condizioni sociali, familiari, all'età, al carattere e all'indole del minore. L'inadeguatezza dell'educazione impartita e della vigilanza esercitata su un minore, fondamento della responsabilità dei genitori per il fatto illecito dal suddetto commesso, può essere desunta, in mancanza di prova contraria, dalle modalità dello stesso fatto illecito, che ben possono rivelare il grado di maturità e di educazione del minore, conseguenti al mancato adempimento dei doveri incombenti sui genitori. Non è conforme a diritto, invece, per evidente incompatibilità logica, la valutazione reciproca, e cioè che dalle modalità del fatto illecito possa desumersi l'adeguatezza dell'educazione impartita e della vigilanza esercitata».

La questione

La sentenza in esame riflette sulla prova liberatoria come testualmente proposta dall'art. 2048 c.c. e sull'applicabilità processuale del suo dettato normativo, tenendo conto del divieto di capitolazione negativa e dell'ambito di operatività logica delle presunzioni. Sempre in materia di prove, approfondisce con dovizia i limiti di efficacia del giudicato penale in ambito civile.

Le soluzioni giuridiche

Il decisum qui in esame acutamente osserva lo iato tra la regola processuale che fa divieto di capitolare negativamente e la norma sostanziale che esenta da responsabilità civile extracontrattuale il genitore che provi «il non aver potuto impedire il fatto» illecito del figlio. Conseguentemente, ragiona su quale debba essere l'oggetto della prova per un genitore chiamato a rispondere dei danni arrecati dalla prole.

Risponde conformandosi alla giurisprudenza dominante: la natura di «responsabilità per colpa in educando e/o in vigilando» profilata dall'art. 2048 c.c. consente di volgere in positivo la locuzione del testo di legge intendendo liberatoria la dimostrazione di aver assolto agli obblighi di educazione e vigilanza (Cass. civ., sez. III, 6 dicembre 2011, n. 26200; Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2008, n. 7050).

Prova da fornire in concreto, contestualizzandola con fatti da cui si evinca la trasmissione di valori e regole idonei a formare una personalità equilibrata, capace di relazionarsi con gli altri e di evitare condotte di danno per sé e gli altri.

Prova da personalizzare, poiché l'adeguatezza si misura su ambiente di vita, contesto sociale, età del minore, sua indole etc. (così Trib. Milano, Sez. X, 16 dicembre 2009; Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2007, n. 9509).

Prova liberatoria raggiungibile anche attraverso presunzioni? No, poiché i fatti di danno riconducibili alla responsabilità ex art. 2048 c.c. sono ex lege implicita espressione di culpa in educando e/o in vigilando, dunque la presunzione è legale e concerne il fatto negativo, fonte di responsabilità. Non a caso, come detto, si verte in ipotesi di responsabilità per colpa presunta, conseguenza di un fatto proprio colpevole anche dei genitori che, pertanto, concorrono al risarcimento con i loro figli. E, difatti, spesso è proprio la gravità del fatto a rendere evidente, rectius “far presumere” l'incapacità del figlio di percepire il disvalore della propria condotta a ragione di un deficit educativo e di presenza riferibile ai genitori (Cass. civ., sez. III, 22 aprile 2009, n. 9556).

Prova liberatoria raggiungibile anche tramite pregressa sentenza penale che già abbia pronunciato sul medesimo fatto illecito? Sì, se si tratta di sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata a seguito di dibattimento con formula «il fatto non sussiste» o «l'imputato non lo ha commesso». Gli altri casi – il non doversi procedere per prescrizione, amnistia etc – non hanno efficacia di giudicato nel processo civile risarcitorio, ma forniscono solo materiale probatorio liberamente valutabile dal Giudice.

Osservazioni

L'onere probatorio in capo ai genitori è particolarmente intenso. Pur volta in positivo, la norma non cancella, infatti, l'aleggiante giudizio che, in buona sostanza, può essere ricondotto per similitudine alla teoretica penalistica della cd. prognosi postuma elaborata per l'art. 40 c.p.. Giuste le difese del danneggiato, per i genitori si tratta, infatti, di argomentare un ragionamento probabilistico da cui escludere con alta ragionevolezza logica che una diversa presenza educativa avrebbe evitato l'evento, e ciò mostrando in positivo la bontà dello standard educativo proposto.

In merito, una ulteriore criticità è rappresentata dal fatto che la sufficienza del modello educativo e la presenza vigile dei genitori si saggiano, di volta in volta, sulla specifica personalità dell'autore dell'illecito. Concretizzando, non basta, allora, ad esempio, dimostrarne l'esuberanza o la particolare vivacità per escludere il potere di controllo; anzi, vale il contrario, perché situazioni di maggiore emotività o disturbo caratteriale impongono interventi mirati del genitore (Trib. Savona, 21 agosto 2005).

Potranno essere significativi elementi a prova dell'assolvimento degli obblighi genitoriali il curriculum scolastico, le deposizioni di familiari stretti, docenti ed educatori. Non si tralasci l'importanza di eventuali CTU, poiché il tema dell'educazione è ambito specifico dei pedagogisti e presuppone anch'esso una tecnicità che il Giudice difficilmente possiede allorquando si verta in situazioni critiche. Non sempre basta essere padre o madre o avere esperienze di frequentazione con bambini per ergersi a giudice delle condotte dei genitori.

Si entra, invece, nel campo del notorio affermando quale massima di esperienza la attenuazione degli obblighi familiari con il crescere in età del minore, anche perché è presumibile che, in allora, i genitori abbiano già svolto appieno e positivamente la maggior parte del proprio intervento educativo. Del resto, la libertà di movimento e di autodeterminazione sono necessaria conseguenza della fiducia riposta dai genitori nel proposto ed auspicabilmente acquisito modello educativo impartito alla prole. Si rammenti, vieppiù, che la norma in oggetto si applica a ragazzi già imputabili e capaci di intendere e volere, corresponsabili nel fatto, i cd. “grandi minori”, secondo l'espressione icasticamente plasmata dalla giurisprudenza francese e trasportata oltrefrontiera per la significativa forza ossimorica, “grandi minori” che, dunque, hanno già percorso significativo cammino di crescita e responsabilizzazione.

Parimenti scontato che l'obbligo di vigilanza venga meno in caso di affidamento del minore a terzi, mentre non si attenua la presunzione di deficit educativo.

Infine, la sempre maggiore frequenza statistica di famiglie disgregate impone di rammentare come la crisi della coppia non modifichi gli obblighi educativi che, per regola generale (art. 316 c.c.), gravano su entrambi i genitori in pari misura.

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