Le decisioni di maggiore interesse nell'affidamento del minore
26 Settembre 2016
Il quadro normativo
La l. n. 54/2006 ha radicalmente trasformato le regole dell'affidamento dei minori, rendendo prioritario, nelle situazioni di crisi familiare, il modello dell'affido condiviso e conseguentemente l'esercizio congiunto della potestà (oggi responsabilità) genitoriale. All'affermazione della bigenitorialità, intesa come pieno e paritario coinvolgimento di entrambi i genitori nella crescita dei figli, nonostante la frattura, è seguita, con la l. n. 219/2012 e con il d.lgs. n. 154/2013, una vera e propria rivoluzione copernicana nella configurazione del rapporto di filiazione, che ha condotto alla piena equiparazione dello status dei figli nati fuori dal matrimonio a quello dei c.d. figli legittimi ed alla trasformazione della potestà in responsabilità genitoriale (sebbene, come noti G. De Cristofaro, Dalla potestà alla responsabilità genitoriale: profili problematici di una innovazione discutibile, in Nuove leggi civili commentate, 2014, 782ss., nella delega, contenuta nella l. n. 219/2012, non era previsto tale mutamento terminologico, che, a suo parere, lascia perplessi). Nell'attuale assetto dell'ordinamento, pertanto, la posizione dei genitori non è più concepita alla stregua di un complesso di poteri nell'interesse del minore, ma piuttosto sembra riconducibile allo schema del rapporto obbligatorio, il cui inadempimento genera responsabilità. Ad ogni modo, anche prima delle recenti e profonde innovazioni, era previsto dall'art. 155, comma 3, c.c., che, pure nell'ipotesi – allora ordinaria – di affido esclusivo del minore ad uno solo dei genitori, le decisioni di maggiore interesse per i figli fossero adottate da entrambi, salvo diversa determinazione giudiziale. Questa regola è fondamentalmente rimasta invariata, atteso che, ai sensi dell'art. 155, comma 3, c.c. come modificato dalla l. n. 54/2006, le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all'istruzione, all'educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenuto conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli ed in caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. All'esito del d.lgs. n. 154/2013, l'art. 337, comma 3, ter c.c. espressamente elenca, tra le decisioni di maggiore interesse, quella relativa alla scelta della residenza abituale del minore, conformemente all'orientamento giurisprudenziale formatosi dopo la l. n. 54/2006 ed alle indicazioni comunitarie, e precisa, altresì, che il mancato rispetto delle condizioni dettate per l'esercizio della responsabilità genitoriale può determinare la modifica delle modalità di affidamento. Inoltre, l'art. 337, comma 3, quater c.c. chiarisce che, nonostante l'eventuale affido esclusivo, le decisioni di maggiore interesse per i figli devono essere concordate da entrambi i genitori, salvo che non sia diversamente stabilito (così superando i dubbi sorti sul regime dell'affidamento esclusivo con la l. n. 54/2006, per i quali si rinvia a C.B. Pugliese, Interesse del minore, potestà dei genitori e poteri del giudice nella nuova disciplina dell'affidamento, in Familia, 2006, 1078, secondo la quale «nella disciplina dell'affidamento esclusivo il non affidatario è escluso sia dall'assunzione di decisioni di maggiore interesse che … di minore interesse»). In definitiva, le decisioni di maggior interesse per i figli devono essere tendenzialmente condivise tra i genitori, a prescindere dalla loro frattura e dalle modalità di affidamento, atteso che in e sse risiede il nucleo essenziale del loro ruolo e del loro legame coi figli. La novità rispetto al passato è costituita dall'introduzione di uno specifico procedimento giudiziale per il superamento dell'eventuale conflitto tra i genitori in crisi, con l'esplicita attribuzione al giudice del potere di sostituirsi ai genitori. Prima della riforma del 2006, difatti, non era previsto uno specifico modulo procedurale per il superamento dei contrasti nelle famiglie in crisi, in quanto l'art. 316 c.c., che, peraltro, nell'originaria formulazione dell'art. 38 disp. att. c.c., era di competenza del tribunale per i minori, era considerato applicabile esclusivamente al nucleo familiare ancora in armonia, come desumibile dal riferimento al criterio decisionale dell'unità familiare (v. sul regime anteriore e sulle forti resistenze all'applicabilità dell'art. 316 c.c. alle famiglie in crisi, cfr. E. Messori, Esercizio della potestà dei genitori e decisioni di maggiore interesse per i figli nel caso di separazione personale, in Riv. not., 1985, 1079). Si riteneva, pertanto, ammissibile solo un ricorso successivo al giudice da parte del non affidatario che valutasse pregiudizievoli le decisioni assunte unilateralmente dall'altro. Tale quadro normativo è, però, divenuto inappagante, rendendosi necessario, col passaggio dall'affido esclusivo a quello condiviso, assicurare la condivisione delle scelte al fine di assicurare la bigenitorialità. Ciò spiega l'introduzione di uno strumento processuale ad hoc di tipo preventivo, la cui disciplina si rinviene negli artt. 337 ter c.c. (prima 155) e art. 709 ter c.p.c. Occorre sottolineare che l'intervento del giudice nella quotidianità familiare è contemplato anche dagli artt. 145 e 316 c.c. La prima disposizione, operativa solo nell'ambito della famiglia unita e fondata sul matrimonio e con riguardo alle questioni che non coinvolgono i figli, stabilisce che in caso di disaccordo ciascuno dei coniugi può chiedere, senza formalità, l'intervento del giudice il quale, sentite le opinioni espresse dai coniugi e, per quanto opportuno, dai figli conviventi che abbiano compiuto il sedicesimo anno, tenta di raggiungere una soluzione concordata, ma, ove questa non sia possibile e il disaccordo concerna la fissazione della residenza o altri affari essenziali, può assumere la decisione più adeguata alle esigenze dell'unità e della vita della famiglia solo qualora ne sia richiesto espressamente e congiuntamente dai coniugi (v. Cass., sez. I, 7 maggio 1992, n. 5415, secondo cui per dirimere i conflitti che insorgono tra i coniugi in relazione ad assunte violazioni delle intese coniugali sull'indirizzo da imprimere alla vita familiare ai sensi dell'art. 144 c.c., la legge prevede un procedimento speciale, disciplinato dall'art. 145 c.c., avente carattere non contenzioso che può chiudersi, se i coniugi raggiungono un accordo, con una conciliazione o con una pronuncia di non luogo a provvedere, o in caso di disaccordo, con un provvedimento che, non avendo natura giurisdizionale, deve equipararsi al pronunciato di un arbitratore ed è di per sè insuscettibile di coercizione, in quanto privo di efficacia esecutiva. La Suprema Corte ha confermato la decisione del giudice di merito, che, riguardo all'intenzione di vendita del coniuge, proprietario esclusivo della casa familiare, osteggiata dall'altro, non aveva assunto alcun provvedimento, mancando la richiesta congiunta dei coniugi). L'art. 316 c.c. è, invece, collocato nel capo I del titolo IX del libro I del codice civile, oggi dedicato alla responsabilità genitoriale ed ai diritti e doveri del figlio, ed è utilizzabile per risolvere i conflitti che possono insorgere tra i genitori, coniugati o non coniugati, sulle questioni di particolare interesse per i figli. Dal coordinamento con l'art. 337 ter c.c. si evince, però, che deve trattarsi di una coppia genitoriale le cui liti non siano sfociate in un procedimento di separazione, divorzio o di regolamentazione del mantenimento e dell'affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio. Il presupposto applicativo dell'art. 316 c.c. è, dunque, da individuarsi nel fatto che la famiglia non sia ancora disgregata. Come già evidenziato, difatti, la giurisprudenza ne respinge l'applicazione nel caso in cui sussista, tra i genitori, una regolamentazione di affido fissata giudizialmente (cfr., da ultimo, per la giurisprudenza di merito Trib. Varese, sez. I, 19 luglio 2011, e per quella di legittimità Cass., sez. I, 27 febbraio 2013 n. 4945, secondo cui l'art. 316 c.c. «trova quindi applicazione per le controversie tra coniugi non separati o tra i quali non sia in corso procedimento di separazione»). Ai sensi dell'art. 316 c.c., ove insorga un contrasto su questioni di particolare importanza, ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità, indicando i provvedimenti che ritiene più idonei, al giudice, il quale, sentiti i contendenti e disposto l'ascolto del figlio minore, che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore, ove capace di discernimento, suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell'interesse del figlio e dell'unità familiare ed, in caso di mancata soluzione concordata, attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori più idoneo a curare l'interesse del figlio rispetto al singolo problema. Per completezza va segnalato che il d.lgs. n. 154/2013 ha eliminato, in ossequio alla parità dei genitori, il potere del padre di assumere unilateralmente le decisioni urgenti. In conclusione, relativamente ai conflitti familiari il legislatore non sempre attribuisce al giudice il potere deliberativo, ma talvolta gli rimette solo il ruolo di amichevole compositore oppure l'individuazione del genitore più idoneo a decidere. La sostituzione dell'organo giudicante ai genitori nell'esercizio della loro responsabilità è prevista esclusivamente ove gli stessi, nell'ambito di una conclamata crisi familiare, non riescano a risolvere i conflitti in ordine alle questione di maggiore interesse. Tale differente disciplina è stata giustificata dall'obiettivo deflattivo, atteso che i genitori, nonostante l'ostilità legata alla crisi familiare, sarebbero incentivati a trovare un accordo per non subire la decisione di un terzo, che può non coincidere con quella da loro proposta (così , AA.VV., a cura di M. Sesta, Codice della famiglia, Milano, 2015). Sorge, però, il sospetto dell'illegittimità costituzionale di tale diverso trattamento, atteso che, peraltro, l'art. 316 c.c. è applicabile anche ai genitori non coniugati che, pur non avendo più o non avendo mai avuto una relazione stabile, non abbiano instaurato un procedimento giudiziale per disciplinare il loro rapporto coi figli, mentre, al contrario, non lo è a quelli che, pur convivendo more uxorio, siano ricorsi al giudice ex art. 337 ter c.c.. Può, inoltre, dubitarsi, oltre che della difficile sostenibilità per la giurisdizione, della compatibilità di tale modulo di superamento del conflitto, così invasivo della sfera privata, con l'impostazione europea, che prescrive la tutela del rapporto del genitore col figlio dalle indebite ingerenze dei terzi, ivi compresa l'autorità pubblica (cfr. L. Lenti, L'interesse del minore nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo: espansione e trasformismo, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 148 ss.). Del resto, l'imposizione ai genitori di una soluzione diversa da quella proposta da uno dei due potrebbe, poi, essere osteggiata da entrambi i soggetti, a cui ne è rimessa l'attuazione, e, quindi, risultare inefficace (Critica anche una parte della dottrina: v., ad esempio, M.C. Pugliese, op.ult.cit., 1188-1189, secondo la quale «il legislatore non ha colto l'occasione di uniformare il regime dell'intervento del giudice nel caso di disaccordo su questioni di particolare importanza in modo da renderlo prescindente … dalla situazione di unione o separazione della coppia …. La soluzione scelta dal legislatore è profondamente criticabile, in quanto assegna al giudice, soggetto estraneo rispetto al minore ed al suo nucleo familiare, il potere di decidere per lui»). Invero, nell'affidamento esclusivo è del tutto pacifico, soprattutto alla luce del d.lgs. 154/2013, che le decisioni di maggiore interesse possano essere rimesse al genitore affidatario (c.d. affido super-esclusivo o esclusivo rafforzato), consentendo espressamente l'art. 337 quater c.c. la deroga alla regola generale delle loro condivisione (v., ad esempio, Trib. Milano, Sez. IX civ., ord. 20 marzo 2014; Trib. Pavia, 29 dicembre 2014; Trib. Torino, 22 gennaio 2015; Trib. Modena, 2 marzo 2015). Ciò accade frequentemente nelle ipotesi di totale inidoneità, impossibilità o carenza d'interesse dell'altro genitore, il quale, in assenza di un provvedimento ablatorio, resta, però, titolare di un potere di vigilanza sulle scelte dell'altro. Resta da verificare se, anche nell'ipotesi di affido condiviso, il giudice possa comporre il conflitto limitandosi ad attribuire la specifica scelta ad uno dei due genitori piuttosto che sostituendosi agli stessi o se, addirittura, possa, in via preventiva, rimettere una categoria di questioni di maggior interesse (ad esempio, quelle relative all'istruzione o alla salute o alla residenza) soltanto ad uno dei due genitori affidatari. In questo senso si è pronunciato il Tribunale di Roma (cfr. Trib. Roma, 3 luglio 2015). Tale orientamento appare coerente con l'art. 709 ter c.p.c., che, relativamente alla soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale, stabilisce che il giudice adotta i provvedimenti opportuni, per cui sembra ammissibile ogni adattamento del regime di affido – condiviso o esclusivo – alla situazione concreta. Il modello decisorio “de quo” si rivela, peraltro, più congruo rispetto agli inconvenienti che caratterizzano la vita concreta, in quanto consente al genitore, cui è attribuito il potere decisionale, di risolvere tutte le eventuali problematiche attuative rispetto alla specifica questione senza dover continuamente confrontarsi col giudice. A ciò si aggiunga che come al giudice non è inibito di decidere conformemente alla proposta di uno dei genitori, così non può essergli inibito di rimettere la scelta al genitore che abbia formulato le conclusioni più attente e consone all'interesse del minore. Individuazione delle questioni di maggiore interesse per il minore
Occorre chiedersi quali siano le questioni di maggior interesse per il minore, rispetto alle quali è possibile l'intervento dell'autorità giudiziaria di tipo decisorio e, quindi, sostitutivo dei genitori, da escludere, invece, riguardo a quelle di minore interesse. In proposito, sebbene possa ingenerare dubbi, Cass., sez. I, 22 ottobre 2010, n. 21718, che, a livello di mero obiter, include nell'ambito del procedimento ex art. 709 ter c.p.c. tutte le controversie insorte in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità di affidamento, appare, comunque, necessario distinguere il possibile oggetto del giudizio dalle modalità della decisione. Ai fini dell'individuazione delle questioni di maggiore interesse si pongono due problemi: da un lato, se l'elencazione di cui all'art. 337 ter c.c. sia tassativa o, al contrario, meramente esemplificativa; dall'altro, se ogni contrasto che riguardi l'istruzione, l'educazione, la salute o la residenza abituale del minore si traduca in una questione di maggiore interesse o se, invece, all'interno di tali categorie, possano esistere aspetti di dettaglio, rispetto ai quali non vi è spazio per il provvedimento del giudice. Va, inoltre, chiarito se la nozione di atto di straordinaria amministrazione sia sovrapponibile alle questioni di maggior interesse ed in caso positivo come vadano coordinate le relative discipline di cui all'artt. 320 e 337 ter c.c. In dottrina si è sostenuto il carattere meramente esemplificativo dell'elencazione di cui all'art. 337 ter c.c., «poiché non è certo possibile restringere entro un così limitato numero di settori tutte le decisioni che, nella prassi, possono assumere valenza decisiva sul futuro sviluppo della vita del minore» (così A. Arcieri, Il contenuto dell'affido esclusivo ed il potere del giudice di conformazione della responsabilità genitoriale, in Fam. e dir., 2016, 60). Invero, l'espressione educazione risulta così ampia da poter ricomprendere pressoché ogni segmento della vita quotidiana e, quindi, ad esempio, anche le attività sportive e ricreative, per cui il vero discrimine tra le questioni che, in caso di contrasto, possono e quelle che non possono essere rimesse all'autorità giudiziaria non è la materia, ma la rilevanza. Il riferimento al “maggiore interesse” lascia, difatti, intendere che esistono questioni di minore interesse, di cui il tribunale non può e non deve occuparsi, traducendosi un'eventuale decisione in un provvedimento non previsto e non consentito dall'ordinamento (così M.C. Pugliese, op.ult.cit., 1086, «qualsiasi decisione, anche quella relativa all'acquisto di un libro, di un film o di un gelato, può essere astrattamente ricondotta all'istruzione, all'educazione o alla salute del figlio, ma è evidente che non può ritenersi rientrare tra le decisioni di maggiore interesse … Vi rientrano ... le decisioni relative al tipo di scuola ... o al tipo di alimentazione in generale, se il figlio presenta problemi al riguardo che possano incidere sulla sua salute fisica»). Secondo tale impostazione, è inammissibile per difetto di azione il ricorso al giudice per dirimere controversie aventi ad oggetto a titolo di esempio, “il taglio dei capelli del minore”, “la possibilità per un genitore di delegare un parente per prelevare il figlio da scuola”, “l'acquisto di un tipo di vestito piuttosto che un altro”, la specificazione di dati di estremo dettaglio in ordine ai tempi di frequentazione, potendo, però, il giudice di fronte ad una simile conflittualità patologica intervenire ex art. 333 c.c., eventualmente delegando il Comune di residenza per svolgere le funzioni di rappresentanza del fanciullo, così che i genitori possano rivolgersi a tale ente affidatario ed essere indirizzati verso uno dei servizi di mediazione familiare, sostegno psicologico, supporto terapeutico (così Trib. Milano, sez. IX civ., 23 marzo 2016, ma già prima Trib. Milano, sez. IX, 7 luglio 2015). Del resto, una diversa interpretazione si tradurrebbe in un'abrogazione di un requisito espressamente imposto dal legislatore. Nella pratica resta, tuttavia, alquanto incerto stabilire il confine tra il maggiore ed il minore interesse del minore, per cui sarebbe, alquanto, opportuno individuare un criterio generale che possa orientare l'interprete. In un'ottica di responsabilizzazione dei genitori, ma anche di rispetto della sfera privata a cui il pubblico potere dovrebbe restare estraneo, le questioni di maggiore interesse – definite dalla dottrina come quelle «decisioni, materiali o spirituali, che più marcatamente incidono sulla vita, sull'istruzione e sui valori guida dell'educazione del minore” (così M. Sesta – M. Baldini, L'affidamento dei figli nella crisi della famiglia, Torino, 2012, 121) - andrebbero intese in senso restrittivo e limitate, pertanto, a quelle che incidono in modo significativo sulla vita del minore, potendo avere conseguenze rilevanti sulla sua salute e sulla sua formazione: si pensi, ad esempio, all'indirizzo di studi (liceo classico o artistico); al tipo di scuola (di tipo religioso o laico), all'eventuale esercizio di uno sport a livello semi-professionale invece che dilettantesco. Il giudice dovrebbe, invece, restare estraneo a quegli aspetti meramente pratici e di dettaglio della vita quotidiana, che non hanno un impatto considerevole, lasciando tendenzialmente invariate le possibilità di crescita, come, ad esempio, l'opzione tra due scuole dello stesso tipo (anche se eventualmente l'una a tempo pieno e l'altra parziale), due sports (calcio o nuoto), due lingue (francese o spagnolo), due strumenti musicali (pianoforte o chitarra), o, in genere, l'individuazione delle attività ricreative o di approfondimento culturale pomeridiano, la scelta del medico a cui conferire incarico per il medesimo incombente, quando vi sia concordia sull'esigenza sanitaria e sul tipo di cure (si pensi, ad esempio, alla scelta del pediatra del Servizio sanitario nazionale o alla scelta tra due dentisti per il medesimo trattamento). Occorre precisare che, in regime di affido condiviso, anche tali questioni di minore interesse o ordinaria amministrazione dovrebbero essere concordate (così De Cristofaro, op.ult.cit.), salvo, che come espressamente previsto dalla legge, il giudice stabilisca che i genitori esercitino separatamente la responsabilità genitoriale in tale ambito. In quest'ultima ipotesi, “di routine” nella pratica, ciascun genitore potrà operare nel suo settore di competenza, organizzando la vita del figlio nei tempi di permanenza presso di lui senza previa consultazione con l'altro, fatta eccezione per quelle decisioni che necessariamente incidono anche sui tempi di permanenza del minore con l'altro genitore. In assenza della specifica previsione giudiziale dell'esercizio separato della responsabilità limitatamente all'ordinaria amministrazione, invece, i genitori dovranno discutere e concordare tutti gli aspetti della vita della prole, ma qualora ciò non avvenga, potranno rivolgersi all'autorità giudiziaria in via preventiva solo per le questioni di maggiore importanza, mentre per quelle minori potranno chiedere esclusivamente eventuali rimedi di carattere sanzionatorio ex art. 709 ter c.p.c., ove il mancato raggiungimento di soluzioni condivise sia conseguenza di gravi inadempienze o di atti che arrechino grave pregiudizio al minore o ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento della prole. Gli aspetti patrimoniali
Deve, infine, sottolinearsi che, sebbene la terminologia dell'art. 337 ter c.c. (prima art. 155 c.c.) possa ingenerare equivoci, gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione non coincidono con le questioni di maggiore o minore importanza(dette anche di ordinaria amministrazione), fondandosi la prima qualificazione sul dato economico e la seconda sulla rilevanza per la crescita del minore. Il regime degli atti patrimoniali resta, peraltro, contenuto nell'art. 320 c.c., che si preoccupa di disciplinare soprattutto la validità del negozio ed i suoi effetti nei confronti dei terzi, stabilendo che gli atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti disgiuntamente da ciascuno dei genitori che abbia l'esercizio della responsabilità genitoriale, mentre quelli di straordinaria amministrazione necessitano della partecipazione di entrambi i genitori e dell'autorizzazione del giudice tutelare. L'art. 337 ter c.c. (già art. 155 c.c.) detta, invece, le regole decisionali relativamente non agli atti economici, ma al programma educativo del minore. Del resto, va sottolineato che l'art. 320 c.c. rinvia, in caso di disaccordo o esercizio difforme dalle decisioni concordate, all'art. 316 c.c., senza alcuna distinzione tra le coppie genitoriali. Dunque, nell'ipotesi di contrasto tra i genitori su una questione patrimoniale il giudice della famiglia non può sostituirsi ai genitori nella decisione, ma solo limitarsi ad individuare il genitore più idoneo a decidere, il quale, poi, dovrà rivolgersi al giudice tutelare per la necessaria autorizzazione. Non può negarsi che la disciplina appare alquanto complessa. Il previo passaggio dal giudice della famiglia può forse essere evitato nell'ipotesi in cui, essendovi conflitto di interessi tra un genitore ed il figlio, la rappresentanza si concentri in capo all'altro. Deve, inoltre, osservarsi che le questioni di cui all'art. 316 c.c. non sono più specificamente attribuite al tribunale per i minorenni, per cui la competenza spetterà al tribunale ordinario ai sensi dell'art. 38, comma 2, disp. att. c.c., mentre resta da verificare se, in caso di coppia in crisi, sia applicabile, dal punto di vista procedurale, l'art. 709 ter c.p.c. Parimenti va esclusa la sovrapposizione delle questioni di maggiore importanza con le spese straordinarie ovvero particolarmente significative che non possono, però, essere comprese nel mantenimento ordinario in ragione della loro imprevedibilità, per cui devono essere ripartite tra i genitori nel momento in cui sono sostenute in base alla specifica percentuale dettata nel provvedimento giudiziario. Può, difatti, osservarsi che non necessariamente una questione di maggiore importanza comporta spese straordinarie: si pensi all'iscrizione del minore in una scuola pubblica di un determinato indirizzo in luogo di un altro, che, quindi, comporti una spesa minima. Al contrario, le questioni di minore importanza possono tradursi in spese significative, le quali, però, ricadranno nel mantenimento ordinario, diretto o indiretto, se del tutto prevedibili, mentre in caso contrario la loro ripartizione tra entrambi i genitori è subordinata, in regime di affido condiviso, alla condivisione, salvo che l'ostruzionismo di uno sia ingiustificato e contrario all'interesse del minore, anche in considerazione del tenore di vita e delle possibilità economiche familiari. La distinzione tra questioni di maggiore interesse e spese straordinarie si evince chiaramente in Cass., sez. I, 28 gennaio 2009, n. 2182 e Cass., sez. I, 27 aprile 2011, n. 9376, secondo cui, poiché gli artt. 155 c.c. e art. 6 l. n. 898/1970, prima della modifica apportata con la l. n. 54/2006, consentono al coniuge non affidatario di intervenire nell'interesse dei figli soltanto con riguardo alle "decisioni di maggiore interesse", non è configurabile a carico di quello affidatario alcun obbligo di previa concertazione con l'altro coniuge sulla determinazione delle spese straordinarie, nei limiti in cui esse non implichino decisioni di maggior interesse per i figli; tuttavia, tale principio non è inderogabile, essendo sempre possibile che il giudice, ai sensi del secondo e del terzo comma della norma citata, determini, oltre che la misura, anche i modi con i quali il coniuge non affidatario contribuisce al mantenimento dei figli, in modo difforme da quanto previsto in linea di principio dalla legge. Invero, le decisioni massimate si riferiscono prevalentemente al regime anteriore alla l. n. 54/2006 e, cioè, ad ipotesi di affido esclusivo, in cui le decisioni implicanti spese straordinarie se di minore interesse potevano essere assunte unilateralmente dal genitore affidatario, salva la previsione di una regola diversa nel provvedimento giudiziario, mentre se di maggiore interesse si riteneva imponessero non la concertazione preventiva, ma la mancata opposizione del genitore non affidatario, onerato, pertanto, al fine di sottrarsi alla contribuzione economica, di dimostrare di aver tempestivamente manifestato il suo giustificato dissenso. Può rinviarsi in proposito a Cass., sez. VI-I, 30 luglio 2015, n. 16175, secondo cui non è configurabile a carico del coniuge affidatario un obbligo di informazione e di concertazione preventiva con l'altro in ordine alla determinazione delle spese straordinarie (nella specie, spese di arredamento della cameretta e di stage per l'apprendimento della lingua inglese), trattandosi di decisione "di maggiore interesse" per il figlio e sussistendo, pertanto, a carico del coniuge non affidatario, un obbligo di rimborso qualora non abbia tempestivamente addotto validi motivi di dissenso, sicché, nel caso di mancata concertazione preventiva e di rifiuto di provvedere al rimborso della quota di spettanza da parte del coniuge che non le ha effettuate, il giudice è tenuto a verificare la rispondenza delle spese all'interesse del minore mediante la valutazione della commisurazione dell'entità della spesa rispetto all'utilità e della sostenibilità della spesa stessa rapportata alle condizioni economiche dei genitori; Cass., 26 settembre 2011, n. 19607, secondo cui non è configurabile a carico del coniuge affidatario un obbligo di informazione di concertazione preventiva con l'altro, in ordine alla determinazione delle spese straordinarie (nella specie, spese di soggiorno negli U.S.A. per la frequentazione di corsi di lingua inglese da parte di uno studente universitario di lingue) costituente decisione "di maggiore interesse" per il figlio, sussistendo, pertanto, a carico del coniuge non affidatario un obbligo di rimborso qualora non abbia tempestivamente addotto validi motivi di dissenso. Adesso, col regime di affido condiviso, invece, la previa concertazione delle decisioni è diventata la regola fondamentale: la nuova disciplina sostanziale ha finito con l'incidere sul piano probatorio, per cui si ritiene invertito l'onere probatorio, dovendo il genitore che ha sostenuto la spesa e ne pretende il rimborso dimostrare di averla previamente concordata o, comunque, di averne informato l'altro genitore, oppostosi ingiustificatamente (così nella motivazione di Cass., sez. I, 20 giugno 2012, n. 10174, in cui si chiarisce che le regole enunciate per l'affido esclusivo non possono estendersi a quello condiviso, sicché «la previsione dell'obbligo di provvedere alle spese necessarie per certi bisogni, non determinati né preventivamente determinabili sotto il profilo quantitativo, non può assumere altro significato che quello di un rinvio della relativa quantificazione alla concorde determinazione di assicurare la soddisfazione di tali necessità e all'individuazione delle risorse da destinarvi, conformemente alle finalità educative perseguite….Tale prescritto coinvolgimento fa apparire inadeguata la motivazione addotta dalla Corte d'Appello a sostegno dell'affermato obbligo del C. di provvedere alle spese scolastiche conseguenti all'iscrizione della figlia presso l'istituto privato, non potendo ritenersi sufficiente, ai fini della condivisione della scelta compiuta, il consenso postumo ravvisato dalla sentenza impugnata nella mancata adozione da parte del ricorrente di specifiche iniziative, anche giudiziarie, volte a contrastare la predetta decisione»). In conclusione
Il breve lasso temporale trascorso dall'introduzione della l. n. 54/2006 non consente ancora di esprimere un giudizio sui risultati dell'intervento sostitutivo del giudice della crisi familiare nelle controversie sull'esercizio della responsabilità genitoriale. Come evidenziato, tuttavia, la sostituzione del giudice ai genitori lascia alquanto perplessi, in quanto, da un lato, non necessariamente consente di smorzare la conflittualità e, dall'altro, rischia di tradursi in un'eccessiva ingerenza nella sfera privata. Difatti, non solo l'interesse del minore è un criterio difficile da decifrare, ma la sua realizzazione è, comunque, rimessa ai genitori ed incide sull'organizzazione della loro vita quotidiana. Tuttavia, nonostante le perplessità avanzate da una parte della dottrina e l'orientamento restrittivo di alcuni tribunali, restii ad estendere i propri poteri sostitutivi alle ipotesi di micro-conflittualità, non mancano opinioni difformi, che ritengono imprescindibile, nell'ambito della crisi familiare, l'esercizio, da parte dell'autorità giudiziaria, della responsabilità genitoriale in caso di contrasto tra la madre ed il padre per le questioni sia di maggiore sia di minore importanza. Infine, mentre è chiara l'indipendenza tra le decisioni relative alla crescita dei figli ed il diverso aspetto della ripartizione delle spese che esse comportano, resta ancora incerta e da approfondire la soluzione dei conflitti tra i genitori in ordine ai problemi concernenti la gestione del patrimonio dei minori e, cioè, il rapporto tra gli artt. 320 e 337 ter c.c., tra il procedimento dinanzi al giudice tutelare e quello dinanzi al giudice della crisi familiare. |