Calcolo dei termini per l'impugnazione del riconoscimento di figlio nato fuori del matrimonio

Alberto Figone
28 Marzo 2017

Come si computano i termini per l'impugnazione del riconoscimento di figlio nato fuori del matrimonio?

Come si computano i termini per l'impugnazione del riconoscimento di figlio nato fuori del matrimonio?

La riforma della filiazione (legge 10 dicembre 2012, n. 219) ha profondamente modificato la disciplina dell'impugnazione del riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio (prima “naturale”), nel tentativo di assimilarla a quella di disconoscimento di paternità (propria della filiazione nata nel matrimonio). L'azione di impugnazione in esame è oggi imprescrittibile solo per il figlio; colui che ha effettuato il riconoscimento ed i terzi interessati sono invece assoggettati a termini di decadenza, introdotti per rendere stabile lo status filiationis acquisito. L'art. 263, comma 3, c.c. dispone che l'azione, da parte dell'autore del riconoscimento, deve essere proposta nel termine di un anno, decorrente dall'annotazione del riconoscimento sull'atto di nascita. Questa è dunque la regola generale; si discute se essa valga anche per i riconoscimenti effettuati con la consapevolezza originaria della loro falsità (c.d. riconoscimenti per compiacenza, che assumono anche una valenza penalmente rilevante). Si tratta di una questione ancora aperta, che si era già posta prima della riforma, posto che una parte della giurisprudenza equiparava questa fattispecie a quella della revoca del riconoscimento, esclusa espressamente dell'art. 256 c.c..

Il citato art. 263 c.c. al comma 3, dispone che se l'autore del riconoscimento scopre la propria impotenza al tempo del concepimento, il termine annuale di cui sopra decorre da detta conoscenza. In ogni caso, l'azione non può essere proposta oltre cinque anni dall'annotazione del riconoscimento (per garantire al figlio, come si è detto, la stabilità dello status acquisito). Nulla dispone la norma per l'ipotesi più comune, in cui l'autore suddetto scopra che la madre abbia intrattenuto altra relazione con persona diversa a quel tempo (ossia che abbia commesso quello che viene definito “adulterio”, se vi fosse matrimonio). Motivi sistematici e di coerenza con il regime del disconoscimento di paternità dovrebbero condurre a ritenere che il termine decadenziale di un anno prenda a decorrere da tale momento, sempre salvo il rispetto dell'ulteriore termine quinquennale dall'annotazione del riconoscimento di cui si è detto.

Va qui ricordato che, in base alla disciplina transitoria di cui all'art. 104 d.lgs. n. 154/2013, per i figli riconosciuti prima del 7 febbraio 2014 (data di entrata in vigore della riforma) il doppio termine di cui all'art. 263 c.c. (un anno e cinque anni) prenderà a decorrere dall'entrata in vigore della riforma stessa, salvi gli eventuali effetti di un giudicato.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.