Le trascrizioni dei matrimoni omosessuali tra cittadini italiani celebrati all’estero sono illegittime
29 Ottobre 2015
Il Consiglio di Stato, con sentenza del 26 ottobre 2015, ha riformato la decisione del TAR Lazio (sent., 9 marzo2015, n. 3907) concernente le trascrizioni nel registro dello stato civile di Roma dei matrimoni tra cittadini italiani dello stesso sesso celebrati all'estero. Il tribunale amministrativo regionale aveva riconosciuto da un lato, la mancanza di un diritto alla trascrizione negli atti dello stato civile dei matrimoni celebrati all'estero tra coppie omosessuali italiane e, dall'altro lato, l'illegittimità dei provvedimenti di annullamento di tali iscrizioni effettuate dal Prefetto, potere riservato, secondo il giudice amministrativo, esclusivamente all'autorità giudiziaria. Avverso tale sentenza veniva proposto appello principale dal Ministero dell'Interno, il quale contestava la correttezza del gravato giudizio di illegittimità dei provvedimenti di annullamento delle trascrizioni effettuate nel registro di stato civile; nonché appello incidentale da parte degli originari ricorrenti, i quali impugnavano la statuizione relativa all'illegittimità delle trascrizioni in Italia dei matrimoni omosessuali contratti all'estero. Il Consiglio di Stato analizza la questione partendo dall'appello incidentale (relativo alla trascrivibilità dei matrimoni omosessuali celebrati all'estero), perché questione logicamente antecedente rispetto a quella oggetto dell'appello principale (relativo al potere del Prefetto di annullare le trascrizioni in Italia). La decisione si articola in due parti.
1) Con appello incidentale, i ricorrenti reclamano il diritto alla trascrizione in Italia dei matrimoni celebrati all'estero tra cittadini italiani omosessuali. Il Consiglio di Stato, nel negare l'esistenza di un siffatto diritto, muove dall'analisi della disciplina italiana in materia matrimoniale che individua quale condizione di validità del matrimonio la diversità di sesso dei futuri coniugi sulla base delle regole contenute negli artt. 107, 108, 143, 143 bis, 156 bis c.c.. La stessa Corte di Cassazione ha già avuto modo di affermare che nel quadro di riferimento tracciato dal codice civile un matrimonio di questo tipo sarebbe privo di un elemento essenziale, cioè la diversità di sesso dei nubendi (Cass., sez. I civ., 9 febbraio 2015, n. 2400; Cass., sez. I civ., 15 marzo 2012, n. 4184). Peraltro, anche la Corte Costituzionale (C. cost., sent., 11 giugno 2014, n. 170; C. cost., sent., 15 aprile 2010, n. 138) ha chiarito che tale divieto è compatibile sia con l'art.29 Cost., interpretato alla luce della nozione civilistica di matrimonio, sia con gli artt. 12 della CEDU e 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea che rinviano alle legislazioni nazionali la disciplina del matrimonio. Alla luce di tali valutazioni, è possibile affermare l'inconfiguarbilità di un diritto al matrimonio omosessuale tra cittadini italiani. Se si aderisse alla diversa tesi sostenuta dai ricorrenti «si finirebbe per ammettere surrettiziamente ed esclusivamente il matrimonio omosessuale anche in Italia, tale essendo l'effetto dell'affermazione della trascrivibilità di quello celebrato all'estero tra cittadini italiani, nonostante l'assenza di una previsione legislativa che lo consenta e lo regoli[…] e, quindi, della relativa scelta […] del Parlamento nazionale». 2) La seconda questione verte sul potere del Prefetto, negato dal primo giudice, di annullare le trascrizioni effettuate nel registro di stato civile. Nell'ordinamento italiano, al Sindaco, quale ufficiale di governo, è affidata la tenuta dei registri di stato civile, ex art. 54 d. lgs. n. 267/2000. Il Prefetto, esercitando l'autorità del Ministero dell'Interno sul territorio nazionale, ha poteri di vigilanza sulla tenuta degli atti dello stato civile e di sostituzione del Sindaco in caso di sua inerzia nell'esercizio di taluni compiti, pertanto quest'ultimo è un organo ad esso gerarchicamente subordinato. Secondo il Collegio, tra i poteri assegnati al Prefetto è ricompreso quello di annullare gli atti dello stato civile di cui il Sindaco ha ordinato contra legem la trascrizione. Dunque è possibile affermare la sussistenza in capo al Prefetto della potestà di annullare le trascrizioni illegittime quale potere compreso, ancorché implicitamente, nelle funzioni di direzione, sostituzione e vigilanza attribuitegli dall'ordinamento. Il Consiglio di Stato sostiene che «è ammesso l'annullamento d'ufficio di un atto illegittimo da parte di un organo diverso da quello che lo ha emanato in tutte le ipotesi in cui una disposizione legislativa attribuisce al primo una potestà di controllo e, in generale, di sovraordinazione gerarchica che implica univocamente anche l'esercizio di poteri di autotutela». Non sono di ostacolo, infine, al potere di annullamento del Prefetto le disposizioni degli artt. 95 d.P.R. n. 396/2000 e 453 c.c. che assegnano al giudice civile poteri di controllo, rettificazione e cancellazione degli atti di stato civile. Tali disposizioni affidano al giudice un controllo sulla corretta formazione di atti che astrattamente sono idonei a costituire o modificare lo stato delle persone e non su atti radicalmente inefficaci come le trascrizioni in esame «del tutto incapaci di assegnare alle persone menzionate nell'atto lo stato giuridico di coniugato». L'art. 453 c.c. deve intendersi limitato «all'affidamento al giudice ordinario dei soli poteri di annotazione e non può, di conseguenza, ritenersi ostativo all'esercizio dei (diversi) poteri di eliminazione dell'atto da parte dell'autorità amministrativa titolare della funzione di tenuta dei registri di stato civile».
Alla luce di tali considerazioni il Consiglio di Stato respinge l'appello incidentale ed accoglie quello principale del Ministero. |