Eccezione tardiva di convivenza di lunga durata come coniugi ed errore scusabile per “overruling”
30 Marzo 2016
Massima
Alla luce del principio costituzionale del giusto processo, non ha rilevanza preclusiva l'errore della parte che abbia compiuto, oppure omesso o ritardato, un atto processuale facendo affidamento su una consolidata giurisprudenza di legittimità sulle norme regolatrici del processo, con la conseguenza che l'errore oggettivamente scusabile consente la rimessioni in termini. Il caso
Dopo aver ottenuto la dichiarazione di nullità del proprio matrimonio concordatario, F. adì la Corte di Appello di Torino, al fine di vederne riconosciuti gli effetti anche nell'ordinamento italiano. Perfezionatosi il contraddittorio con la costituzione della convenuta M., la cui posizione era ostativa all'accoglimento della domanda, la Corte di Appello di Torino, con sentenza depositata il 24 febbraio 2015, dichiarò efficace nell'ordinamento italiano la sentenza del Tribunale Ecclesiastico Regionale Piemontese del 27 ottobre 2010, ratificata in grado di appello con decreto del Tribunale Ecclesiastico Regionale Lombardo del 5 aprile 2011, e resa esecutiva con decreto del Supremo Tribunale Segnatura Apostolica del 30 luglio 2011. Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione propose ricorso per cassazione contro la sentenza della Corte di Appello di Torino, precisando la propria posizione attraverso quattro motivi: 1) nullità della sentenza della Corte di Appello e del relativo procedimento per pretermissione del diritto a contraddire del pubblico ministero; 2) errata valutazione dell'eccezione fondata sulla durata della convivenza matrimoniale, considerata impropriamente come tardiva con riferimento all'orientamento giurisprudenziale al momento dell'instaurazione del procedimento; 3) errata valutazione della portata della sentenza Cass. civ., S.U., n. 16379/2014; 4) violazione di norme di diritto quanto alla pronuncia delle spese processuali. La Corte di Cassazione, sezione I civile, con sentenza n. 25676/2015, accoglie il ricorso presentato dal Procuratore generale, incentrando la sentenza sul terzo motivo che ritiene fondato ed assorbente. La Corte di Appello di Torino rilevò che, nonostante risultasse pacifico che la coppia avesse convissuto come coniugi per oltre un triennio, la relativa eccezione di incompatibilità della decisione ecclesiastica con l'ordine pubblico italiano per lunga durata della convivenza matrimoniale fu proposta dalla convenuta solo tardivamente, in occasione dell'udienza di precisazione delle conclusioni. Considerato il venir meno dell'unica possibile ragione di rigetto della domanda di delibazione, la Corte di Appello dichiarò l'efficacia della sentenza di nullità. Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, col terzo motivo del proprio ricorso, denunciò, in particolare, la «violazione e falsa applicazione degli artt. 24, 101 e 111 Cost., artt. 153, 167, 184 bis, 374 c.p.c., in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., deducendo che la Corte di Torino aveva errato quando affermava che, nonostante non fosse intervenuta ancora la sentenza a Sezioni Unite n. 16379/2014, in ogni caso essa non faceva altro che affermare un principio di diritto già dichiarato in diverse pronunce. L'oggetto del contrasto giurisprudenziale riguardava unicamente la natura ostativa o meno della lunga convivenza alla delibazione, non anche il regime processuale della relativa eccezione, che, anzi, tradizionalmente era ritenuta impedimento assoluto alla riconoscibilità della decisione ecclesiastica, rilevabile d'ufficio anche nella contumacia della convenuta (cfr. Cass. n. 1780/2012)». Il Procuratore generale concluse, pertanto, affermando che «dovrebbe trovare applicazione il principio della tutela dell'affidamento della parte processuale colpita dalla preclusione, per aver incolpevolmente confidato nel consolidato orientamento precedente all'emanazione delle decisioni n. 16379 e 16380 del 2014». La questione
In tema di delibazione di pronunciamenti ecclesiastici di nullità matrimoniali, ha rilevanza preclusiva l'errore della parte che abbia compiuto, oppure omesso o ritardato, un atto processuale (nella specie, l'eccezione di convivenza di lunga durata) facendo affidamento su una consolidata giurisprudenza di legittimità sulle norme regolatrici del processo? Le soluzioni giuridiche
L'operazione posta in atto per ridurre l'applicazione dell'istituto della delibazione delle decisioni ecclesiastiche ebbe inizio con l'introduzione del criterio secondo cui la tutela della buona fede e dell'affidamento incolpevole costituisce esigenza imprescindibile e inderogabile in materia matrimoniale. In relazione alla cosiddetta simulazione unilaterale, ovvero l'esclusione da parte di uno dei nubendi del matrimonio stesso o di sue proprietà o elementi essenziali, la Corte di Cassazione, a partire dalla sentenza del 1° ottobre 1982, n. 5026, pronunciata a Sezioni Unite, con orientamento ormai consolidato, introdusse la buona fede nel novero dei principi di ordine pubblico. La Corte di Cassazione, però, in quell'occasione, introdusse delle limitazioni all'operatività di tale criterio, precisando che, anche in presenza di un'esclusione posta unilateralmente da uno solo dei coniugi, si poteva comunque pervenire alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale nelle ipotesi in cui il coniuge non simulante, all'epoca delle nozze, fosse stato a conoscenza dell'altrui intenzione escludente, avesse potuto conoscerla usando l'ordinaria diligenza, o avesse egli stesso invocato la delibazione della sentenza. La Suprema Corte successivamente ridusse ulteriormente la possibilità di delibazione facendo leva sulla cosiddetta rilevanza attribuita all'elemento della convivenza coniugale. Col pretesto di assicurare la certezza dei rapporti giuridici, i giudici di legittimità imposero che, nella legislazione civile, l'invalidità del matrimonio è soggetta a termini di decadenza della relativa azione, al contrario della nullità canonica, ove è rilevabile senza limiti di tempo perché assoluta ed insanabile. Rilevante fu la sentenza Cass. 20 gennaio 2011, n. 1343, che ritenne «ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, pronunciata a motivo del rifiuto della procreazione, sottaciuto da un coniuge all'altro, la loro particolarmente prolungata convivenza oltre il matrimonio». La questione della rilevanza della convivenza coniugale, in quanto ostativa al riconoscimento delle nullità canoniche, fu sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite che si pronunciarono con la sentenza 17 luglio 2014, n. 16379, attraverso la quale stabilirono la preminenza nell'ordinamento statale del matrimonio-rapporto a discapito del matrimonio-atto volitivo. La valenza generale che le Sezioni Unite pretesero di attribuire alla convivenza coniugale, quale elemento idoneo a precludere la delibazione della declaratoria canonica di nullità da qualsiasi causa essa derivi, si rivela abnorme in quanto finisce per intervenire in maniera indiscriminata, anche in situazioni nelle quali la lunga durata della vita matrimoniale non può essere assunta a dimostrazione della volontà degli interessati di permanere nel vincolo, non avendo senso parlare di rinuncia a un diritto da parte di chi, ad esempio, non poteva concretamente esercitarlo. Ad ulteriore conferma che la prolungata convivenza fra i coniugi non possa essere ritenuta principio di ordine pubblico, depone la constatazione che il verificarsi di una situazione di lunga convivenza non preclude la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, anche dopo decenni di vita matrimoniale. Se si fosse realmente trattato di un principio di ordine pubblico, una ultra triennale comunione coniugale avrebbe potuto ostacolare anche la cessazione degli effetti civili, quanto meno nella fattispecie di una richiesta unilaterale di un coniuge, con relativa e consequenziale opposizione dell'altro coniuge contrario all'interruzione del legame. Posto questo breve excursus storico, la sentenza in commento chiarisce la portata procedurale della decisione n. 16379/2014. In quell'occasione, infatti, le Sezioni Unite enunciarono il principio secondo cui la convivenza come coniugi, protrattasi per almeno tre anni dalla data di celebrazione del matrimonio concordatario regolarmente trascritto, connotando nell'essenziale l'istituto del matrimonio nell'ordinamento italiano, è costitutiva di una situazione giuridica disciplinata da norme costituzionali, convenzionali ed ordinarie, di ordine pubblico italiano e, pertanto, anche in applicazione dell'art. 7, comma 1, Cost. e del principio supremo di laicità dello Stato, è ostativa alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica italiana delle sentenze definitive di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, per qualsiasi vizio del matrimonio accertato e dichiarato dal giudice ecclesiastico. La sentenza in esame afferma che, con riferimento all'eccezione di lunga durata, la pronuncia n. 16379/2014 operò un vero e proprio cambiamento di rotta da parte della giurisprudenza di legittimità, dando luogo ad un caso di “overruling”, perché contrariamente al passato, tale eccezione, doveva qualificarsi come eccezione in senso stretto, opponibile solo dal coniuge alla domanda di delibazione proposta dall'altro e, pertanto, non poteva essere eccepita dal pubblico ministero interveniente nel giudizio di delibazione, né rilevata d'ufficio dal giudice della delibazione o dal giudice di legittimità. Inoltre, la Suprema Corte precisa che solo a partire dalla citata sentenza a Sezioni Unite tale eccezione, per essere accolta, deve essere eccepita esclusivamente, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta, dal coniuge convenuto interessato a farla valere. Nella fattispecie esaminata, invece, la Corte di Appello di Torino applicò il principio di diritto promanante da Cass., S.U., n. 16379/2014, senza considerare il drastico cambiamento di rotta operato dalle Sezioni Unite. Il diverso orientamento giurisprudenziale, creando una situazione di “overruling”, non avrebbe dovuto applicarsi ad un procedimento instauratosi sotto la vigenza di un diverso e consolidato orientamento. Da qui il rinvio alla Corte di Appello di Torino, in diversa composizione. Osservazioni
Nei sistemi di “common law” è caratterizzante il principio dello “stare decisis” ovvero del precedente vincolante, strettamente collegato all'autorevolezza della Corte che lo esprime. Il sistema del precedente vincolante si attua attraverso l'opera delle parti e dei giudici che devono comparare il fatto in esame col precedente citato, con possibile utilizzo diretto del precedente che diventa vincolante in senso stretto, oppure con l'individuazione di differenziazioni del precedente col caso concreto (“distinguishing”), o con la realizzazione di un'inversione (“revirement”) che comporterà per il futuro il cambio del precedente vincolante (“overruling”). Il precedente vincolante dei sistemi di “common law” individua una funzione normativa della giurisprudenza. Nei regimi di “civil law” non vige il sistema del precedente vincolante in senso stretto, ma è presente la valenza nomofilattica delle corti superiori. Uno dei compiti essenziali della Corte di Cassazione è, infatti, di vigilare sull'esatta ed uniforme interpretazione della legge. Tale funzione deve essere vista in stretto rapporto col concetto di diritto vivente (cf. C. Cost., sent., n. 276/1974). In pratica, l'uniforme interpretazione della legge attuata dalla Corte di Cassazione, e sedimentata nel tempo, attua il diritto vivente. Una volta che un'interpretazione della giurisprudenza di legittimità diventa diritto vivente, acquisisce una valenza normativa indiretta perché attuazione del disposto legislativo nell'applicazione pratica. Nel nostro sistema di “civil law”, l'inversione (“revirement”) di orientamento che comporterà per il futuro il cambio del precedente vincolante (“overruling”) si attua attraverso una presa di posizione da parte della giurisprudenza di legittimità, che attraverso una motivazione evolutiva, a volte critica verso l'orientamento precedente, crea un cambiamento con valenza automatica che, nel caso della sentenza n. 25676/2015 in commento, non ha valore retroattivo. - N. Colaianni, Delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale: la (limitata) ostatività della convivenza coniugale, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 26/2014 (24 luglio 2014); - M. Canonico, Delibazione di sentenze ecclesiastiche, ovvero il cammello per la cruna dell'ago, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 25/2015 (13 luglio 2015); - M. Cavino, Diritto vivente, in Digesto delle discipline pubblicistiche. Aggiornamento, vol. IV, Torino, 2010, 134-146; - M.R. Morelli, Il «diritto vivente» nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Giustizia civile (1995), 169-179; - E. Vincenti, L'overruling nel processo civile, in Ufficio del Massimario, Rassegna della giurisprudenza di legittimità. La Giurisprudenza della Sezioni Civili (gennaio 2012), 34-38. |