Affidamento del minore all'Ente in sostituzione dei genitori
10 Agosto 2017
Massima
La designazione dell'Ente pubblico, per l'esercizio della responsabilità genitoriale, in sostituzione dei genitori, in applicazione dell'art. 333 c.c., comporta che sia l'Ente di riferimento ad avere la facoltà di decidere per il fanciullo, anche dirimendo contrasti insorti tra i genitori. Il caso
Il Tribunale di Milano, sez. IX civ., con il decreto in commento, dopo aver acquisito Consulenza Tecnica d'Ufficio e relazioni da parte dei Servizi Sociali delegati, affidava i minori al Comune di Milano delegando espressamente il Servizio Sociale per l'esercizio della responsabilità genitoriale, relativamente alle scelte sulla salute, sull'istruzione e la “residenza abituale”. In virtù di tale delega, il Tribunale dichiarava palesemente inammissibile la domanda della ricorrente di autorizzare il trasferimento della stessa e delle figlie da Milano ad altra città, in quanto competente a decidere era l'ente affidatario e non il Tribunale. Analogo discorso valeva per la richiesta avanzata dalla madre di disporre l'affido esclusivo dei minori alla stessa, ritenuta inammissibile sia per la mancata offerta di prove a sostegno della cessata conflittualità genitoriale, sia perché tale richiesta poteva essere semmai rivolta, per questioni di competenza funzionale, al giudice tutelare. La questione
Il caso deciso dal Tribunale di Milano mette in luce due diverse questioni: la prima è riferibile all'inquadramento giuridico dell'affidamento del minore all'ente in sostituzione dei genitori mentre la seconda concerne gli effetti di tale “affidamento”, sia dal punto di vista “sostanziale”, ovvero la competenza sulle decisioni da adottare, sia dal punto di vista “processuale”, in riferimento al giudice competente per le richieste dei genitori o dello stesso Servizio Sociale. Le soluzioni giuridiche
Circa la prima questione, come correttamente già evidenzia il Tribunale di Milano, l'affidamento dei minori al Comune di residenza non costituisce, in senso tecnico-giuridico, un provvedimento di “affidamento della prole”, in quanto l'affido dei fanciulli può ipotizzarsi solo verso uno dei genitori o entrambi (artt. 337-ter e 337-quater c.c.); il modulo dell'affidamento dei bambini all'Ente locale realizza una limitazione all'esercizio della responsabilità genitoriale e va quindi collocato nell'ambito dell'art. 333 c.c. e, cioè, nei provvedimenti necessari e convenienti adottati dal Tribunale per proteggere il minore da condotte pregiudizievoli dei genitori. In questo contesto, l'affidamento diviene la naturale conseguenza della sospensione o della decadenza dalla responsabilità genitoriale ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c.; in questi casi, l'affidamento viene disposto al fine di sottrarre il minore ad una condotta pregiudizievole da parte dei genitori e permane fino a che non si ripristini un corretto esercizio della responsabilità genitoriale: se tale corretto esercizio non viene ripristinato, allora si farà luogo alla declaratoria dello stato di adottabilità. La responsabilità genitoriale viene definita come l'insieme di poteri e doveri diretti ad assicurare il benessere morale e materiale del fanciullo, specialmente mediante la cura della sua persona, il mantenimento delle relazioni personali con lui, la garanzia della sua educazione, allevamento, la rappresentanza legale e l'amministrazione dei suoi beni secondo la Raccomandazione 84 del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa. I casi in cui tale responsabilità cessa sono riferibili, tra gli altri, agli effetti di un provvedimento ablativo o limitativo da parte dell'autorità giudiziaria minorile, ovvero un provvedimento che dichiara il genitore decaduto dalla responsabilità genitoriale sul figlio ai sensi dell'art. 330 c.c., o sospeso ex art. 333 c.c. quando il genitore viola o trascura i doveri inerenti alla responsabilità genitoriale o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio. Anche la conflittualità altissima tra i genitori che assume i contorni del “patologico” è foriera di provvedimenti limitativi di tale responsabilità, poiché essi non sono in grado e non hanno la capacità di risolvere le liti sulle decisioni senza far ricorso al conflitto, ancorchè possano essere già stati sollecitati e ammoniti dall'autorità giudiziaria in tal senso. In questo contesto, la situazione che viene a crearsi in cui i genitori accedono a un supporto/sostegno da parte dell'ente terzo configura, come già esplicitato dal Tribunale di Milano, non un vero e proprio “affidamento” quanto piuttosto un affiancamento delle istituzioni ai genitori nelle scelte educative che riguardano il figlio, non più gestibili o controllabili da parte dei genitori stessi che possono essere aiutati ma anche sostituiti (quanto al potere decisorio) dalla pubblica autorità. Quali sono le scelte che possono in concreto essere demandate al Servizio Sociale, quale delegato dell'ente affidatario Comune? Esse, in realtà, riguardano le medesime decisioni che un genitore generalmente assume nell'interesse dei figli, ovvero: a) questioni di particolare rilevanza relative alla salute o alla educazione o alla vita del figlio, quali, a titolo meramente esemplificativo: prestare il consenso per trasfusioni di sangue o decidere un intervento chirurgico; fissare la sua dimora e residenza; iscriverlo a una scuola privata o pubblica ecc: b) questioni non di particolare rilevanza ma influenti sulla vita e crescita del minore, quali scelta delle attività sportive, delle attività extrascolastiche, delle frequentazioni; c) questioni di ordinaria amministrazione, attinenti all'accudimento e alla cura quotidiana del minore. La dichiarazione di decadenza dalla responsabilità genitoriale o la sospensione non necessariamente interrompe i legami affettivi ed i rapporti tra minore e genitori poiché occorre una specifica pronunzia in tal senso e, in particolare, non determina il venir meno dell'obbligo in capo al genitore di contribuire economicamente al mantenimento del figlio. È essenziale che il provvedimento emesso dal Tribunale specifichi sempre e definisca compiutamente e dettagliatamente quali siano i poteri decisori dei genitori che vengono compressi a favore dell'Ente pubblico che, quindi, è tenuto a svolgere un lavoro di stretto controllo su determinati aspetti della vita del minore che gli viene affidato. Eventuali questioni che dovessero sorgere, come anche evidenziato dal decreto in commento, debbono essere rivolte con ricorso al Giudice tutelare, competente a livello funzionale. Ciò in quanto, conseguentemente alla “competenza per attrazione” prevista dal nuovo art. 38, disp. att., c.c., anche il Tribunale ordinario può applicare l'art. 333 c.c. se è pendente un procedimento di separazione o divorzio (v. anche, Trib. Milano, sez. I civ., 11 ottobre 2013). Al Giudice tutelare presso il Tribunale ordinario spetterà, dunque, rendere esecutivo con decreto il provvedimento di affido emesso dall'ente locale previa verifica dell'esistenza di una serie di requisiti, ovvero l'adeguata motivazione del provvedimento di affidamento; l'indicazione delle modalità di esercizio dei poteri riconosciuti all'affidatario; l'individuazione del servizio sociale locale cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza nonché la relativa vigilanza durante l'affidamento stesso; l'indicazione del periodo di presumibile durata dell'affidamento che non può superare i ventiquattro mesi. L'affidamento del minore al Comune, inteso come limitazione dei poteri decisori dei genitori con riferimento alle scelte che riguardano il figlio nei diversi ambiti, ha dei riferimenti ancor prima normativi, diretti ed indiretti, trovando la sua ragion d'essere nella necessità di tutelare il minore - senza che necessariamente sia disposto il suo allontanamento dalla famiglia di origine - da comportamenti dei genitori, colposi o dolosi che ledono i diritti del figlio (alla salute, alla educazione, ad uno sviluppo armonico della personalità) violando il dovere di istruire, mantenere ed educare il figlio medesimo, doveri sanciti dagli artt. 147 e 261 c.c. Le norme di riferimento che si possono citare sono senz'altro le disposizioni più volte richiamate di cui agli artt. 330 e 333 c.c. ma anche i principi di derivazione comunitaria accolti dal legislatore nazionale con la l. n. 149/2001 che ha dettato misure tali da rendere pienamente operativo il diritto del minore ad una propria famiglia, da intendersi sia quella d'origine sia quella cui sia eventualmente affidato a causa delle difficoltà della famiglia d'origine. Al minore è, infatti, esplicitamente riconosciuto il diritto a «crescere e ad essere educato nell'ambito della propria famiglia» a favore della quale sono previsti interventi di sostegno e/o aiuti da parte dello Stato, delle Regioni e degli enti locali, al fine di superare eventuali difficoltà connesse a situazioni di indigenza dei genitori o del genitore che eserciti la responsabilità genitoriale in via esclusiva; principio rafforzato, da ultimo, con l'intervento del d.lgs. n. 154/2013. Il provvedimento di affido o di intervento del terzo deve essere connotato, dunque, da prescrizioni ben dettagliate e circoscritte. Sarà poi compito del Giudice tutelare dare esecutività al provvedimento disposto e affidare all'Ente locale il minore, compiendo successivamente delle verifiche e prescrivendo al Servizio suddetto l'obbligo del sostegno e della vigilanza. Certo è che la vigilanza operata dal Giudice tutelare si limita al controllo formale del provvedimento amministrativo adottato dall'ente senza entrare nel merito del contenuto discrezionalmente deciso dall'affidatario; ciò che nell'applicazione pratica degli interventi dei Servizi Sociali ha causato talvolta modalità operative improprie, assolutamente non soddisfacenti e talvolta una deresponsabilizzazione da parte degli operatori con riferimento agli interventi di prevenzione primaria, creando spesso anche confusione di ruoli e sovrapposizione di interventi tra autorità giudiziaria e amministrativa. Osservazioni
L'uso sovente distorto ed eccessivo dell'affidamento del minore al Comune da parte della autorità giudiziaria ha creato equivoci, disfunzioni e assunzione di provvedimenti giuridicamente contestabili, svuotando, altresì, di significato la finalità dell'istituto stesso, volta precipuamente al sostegno e alla reintegrazione della responsabilità genitoriale, una volta accertato il venir meno dei presupposti che fanno perdurare l'affidamento all'ente terzo. Ad avviso di chi scrive, l'autorità giudiziale in particolare, dovrebbe sensibilizzare e responsabilizzare il Servizio Sociale sull'importanza, in primis, dell'esistenza di un programma chiaro e dettagliato e di durata certa impostato sul ripristino delle capacità genitoriali di educare, istruire e crescere i figli minori, consentendo così ai genitori di assumere le decisioni di ordinaria o straordinaria amministrazione riguardanti i figli. Ancor prima, sarebbe utile sensibilizzare i genitori in ordine all'importanza di gestire e superare i conflitti familiari, conseguenza evitabile ma purtroppo frequente della crisi coniugale, coadiuvandoli in un percorso ad hoc prescrivendo, ad esempio, una sana e proficua mediazione familiare. |