Trust testamentari

22 Settembre 2020

La Convenzione dell'Aja del 1 luglio 1985, ratificata dall'Italia con l. n. 364/1989, prevede espressamente, all'art. 2, la possibilità di istituire un trust anche attraverso il testamento.
Inquadramento

La Convenzione dell'Aja del 1 luglio 1985, ratificata dall'Italia con l. 364 del 1989, prevede espressamente, all'art. 2, la possibilità di istituire un trust anche attraverso il testamento.

Le norme della Convenzione tornano sul punto per stabilire: i) l'inapplicabilità della Convenzione a questioni preliminari relative alla validità dei testamenti (art. 4); ii) il fatto che i beni in trust non siano ricompresi nella successione del trustee (art. 11 lett. c); iii) il rispetto delle disposizioni sulla successione necessaria (art. 15); la facoltà di disapplicare la Convenzione nel caso in cui la sua osservanza produca la violazione delle norme di ordine pubblico dell'Ordinamento di cui si tratta (art. 18).

In evidenza

Ogni forma testamentaria (olografa, pubblica e segreta) può contenere l'istituzione di un trust.

Il testatore, nel trust testamentario, affida in tutto o in parte il suo patrimonio ad un soggetto, detto trustee, il quale ha il compito, disciplinato nel testamento, di gestire i diritti contenuti nel c.d. trust found (patrimonio in trust) per un certo periodo di tempo.

Il trust ha dei beneficiari, ai quali può essere attribuito il diritto di ricevere dal trustee le rendite dei beni segregati e/o il diritto, al termine del trust, di vedersi trasferito il c.d. trust found.

Il trust testamentario non configura una sostituzione fedecommissaria vietata, ma è importante che sia valutato il suo rapporto con i diritti riservati dalla legge ai legittimari e il rispetto del divieto di pesi e condizioni sulla quota di legittima disposto dall'art. 549 c.c.

(amplius ROMANO, Gli effetti del trust oltre la morte del disponente: dal trust in funzione successoria al trust testamentario, in Notariato, 2014, 5, 593 ss.)


L'art 627 c.c. superato dalla convenzione dell'Aja

L'articolo 627 c.c., in tema di disposizione fiduciaria mortis causa, non consente azione per dimostrare che una attribuzione contenuta nel testamento è diretta a giovare non il diretto destinatario, ma un altro soggetto (beneficiario occulto) – ma fa salva la c.d. soluti retentio.

La norma sembra cioè considerare la fiducia quale mero motivo, e nega in generale la possibilità dell'accertamento di essa quando contenuta nel testamento (CONDO', Rapporto tra istituzione di un trust e normativa in materia di successione, in Trust, 2008, 4).

Dalla disciplina emerge che il fiduciario è considerato erede a tutti gli effetti, e non è giuridicamente tenuto ad adempiere l'incarico fiduciario – che resta un'obbligazione naturale.

Da quanto detto si desumerebbe che i margini per un rapporto fiduciario scaturente dal testamento sono minimi, relegati all'obbligazione naturale. Ma tale conclusione non terrebbe conto del portato dispositivo dell'art. 2 della Convenzione dell'Aja – che espressamente ammette la costituzione di trust per testamento.

La Convenzione è legge anche in Italia, e come è noto è stato positivamente superato in dottrina e in giurisprudenza (da ultimo Trib. Urbino 11 novembre 2011) il dibattito sull'ammissibilità del c.d. “trust interno”.

Si deve affermare che il trust testamentario consente di superare le restrittive previsioni dell'art. 627 c.c., e introduce una forma legittima e coercibile di fiducia testamentaria – per quanto comunque disciplinata, quanto alla legge applicabile, dalle disposizioni di ordinamenti stranieri.

Questo punto merita un breve approfondimento: con il Regolamento in tema di Successioni n. 650/2012 UE il legislatore comunitario ha previsto, in deroga all'art. 46 l. 218/95, che la legge applicabile alla successione sia di regola quella dell'ultima residenza del de cuius (e non più, quindi, la legge dello stato di cittadinanza – legge per la quale è però possibile optare con un atto pubblico o un testamento in qualunque forma). Si deve comprendere se vi possano essere contrasti tra la legge applicabile alla successione, in base alle norme di diritto internazionale privato, e la legge regolatrice del trust (che è necessariamente una legge straniera). Potrebbe sembrare cioè che si ponga un'alternativa: o optare per intero per una legge straniera che riconosca il trust, ove possibile, o perdere la possibilità di stipulare un trust nel testamento (dato che la legge italiana non conosce tale istituto). La conclusione a cui mi sembra di poter giungere, al contrario, è che - di seguito alla ratifica della Convenzione dell'Aja da parte del nostro ordinamento - non si pone alcun conflitto: la successione potrà essere regolata dalla legge italiana, e solo un aspetto, una attribuzione specifica nel testamento, assumerà veste di “disposizione aliena” e cioè strutturata in base ad una legge straniera – effetto espressamente consentito.

Struttura del trust come disposizione testamentaria

Il rapporto di incontro-scontro tra normativa italiana e legge straniera applicabile al trust ha diversi altri riscontri applicativi, sia sotto il profilo della struttura del testamento che sotto il profilo dei limiti imposti dalla legge italiana ai contenuti delle ultime volontà del de cuius.

Quanto al primo aspetto si deve ricordare (ROMANO, Gli effetti del trust oltre la morte del disponente: dal trust in funzione successoria al trust testamentario, in Notariato, 2014, 5, 593 ss.) che il testamento può alternativamente contenere:

- La costituzione c.d. “diretta” di un trust – il quale è dunque interamente disciplinato nella scheda testamentaria, che diviene al contempo l'atto unilaterale istitutivo del trust e l'atto dispositivo con il quale il testatore destina il suo patrimonio o parte di esso ad essere segregato e posto sotto il controllo del trustee;

- La costituzione “indiretta”. In questo secondo caso il testatore impone ai suoi eredi (o ai suoi legatari) di costituire con atto tra vivi, dopo la sua morte, un trust avente determinate finalità, particolari clausole e sorretto da una specifica legge straniera. In questo caso si deve distinguere: se è un trust di scopo, e quindi manca un beneficiario determinato, la disposizione testamentaria sarà da considerarsi quale onere; qualora invece il testatore indichi dei beneficiari (del reddito e/o del patrimonio) si potrà parlare di legato di contratto (o di comportamento negoziale) - che può essere oggetto di esecuzione in forma specifica ai sensi dell'art. 2932 c.c.

La presente trattazione concerne il primo tipo di trust testamentario: nel secondo caso infatti il trust, costituito per atto tra vivi, sussistono meno criticità nel rapporto con l'ordinamento successorio. Si può comunque sinteticamente sottolineare che, come ogni legato, anche il legato indiretto diretto ad istituire un trust potrà essere lesivo dei diritti dei legittimari, e quindi riducibile. Potrà anche trattarsi di un legato sostitutivo di legittima ex art. 551 c.c., ma non si porranno problemi di contrasto con il divieto di pesi e condizioni sulla quota dei legittimari ex art. 549 c.c.

Natura giuridica del trustee

Nel trust costituito per testamento il de cuius non solo detta le regole istitutive dello strumento, ma attribuisce direttamente al trustee i beni (o la quota di patrimonio) che egli sarà tenuto ad amministrare in favore dei beneficiari.

Uno degli aspetti più dibattuti in tema di costituzione diretta di trust per testamento riguarda la proprio la natura giuridica del trustee:

- Un primo autorevole orientamento qualifica il trustee, a seconda delle espressioni usate nel testamento, come erede o come legatario cum onere (ex multis LUPOI, Trusts, II edizione, Milano, 2004, 630 ss; CONDO', Rapporto tra istituzione di un trust e normativa in materia di successione, in Trust, 2008, 4). La principale critica a questo orientamento è che, qualificando come “onere” il compito affidato dal de cuius al trustee, sminuisce la portata centrale che questo riveste. Si nota infatti che non vi è nell'attribuzione dei beni al trustee alcun intento liberale, nessuna volontà di arricchirlo: il centro della disposizione non è l'attribuzione, che è funzionale al compito, ma l'incarico stesso.

- Una seconda tesi (CALVO, Diritto delle successioni a cura di Calvo-Perlingieri, Napoli, 2008, p. 65; LEUZZI, I trust successori, Milano, 2011,70 ss.) considera il tustee come una fattispecie particolare di esecutore testamentario (artt. 700 ss.). Se certamente vi sono dei punti comuni tra le due figure (si tratta di un uffici di diritto privato connotati da incarico fiduciario) la disciplina codicistica dettata per l'esecutore testamentario pare lontana da quella che generalmente si applica al trustee: il limite di durata dell'incarico (art. 703 comma 3 c.c.), il concorso dell'amministrazione degli eredi con l'amministrazione dell'esecutore, e l'obbligo di agire in forza di autorizzazione giudiziale sono le differenze centrali che non permettono di sovrapporre le due fattispecie.

- Si può condividere la tesi, di recente avanzata in dottrina (BARTOLI, La natura dell'attribuzione mortis causa al trustee di un trust testamentario in Trust e attività fiduciarie 2004, 178 ss; ROMANO, Gli effetti del trust oltre la morte del disponente: dal trust in funzione successoria al trust testamentario, in Notariato, 2014, 5, 593 ss.), per cui il trust è una disposizione “atipica” e ulteriore rispetto agli istituti tradizionali dell'eredità e del legato, proprio in ragione dei profili di originalità anzi evidenziati. Si tratta cioè di un nuovo genus di disposizione, composta, come anzi detto, da un atto istitutivo del trust e di un atto dispositivo in favore del trustee, diretto ad attribuirgli una proprietà conformata allo scopo del trust.

Il dibattito in esame ha un rilevante riscontro pratico: se il trustee è considerato erede, opereranno le regole del diritto successorio in tema di trasmissione, sostituzione, rappresentazione e accrescimento, nonché in materia di debiti ereditari. Al contrario, applicando la Convenzione dell'Aja, in caso di premorienza o di rifiuto dell'incarico del trustee, il patrimonio segregato sarà devoluto secondo le disposizioni dettate dal testatore in materia di sostituzione del trustee.

Natura giuridica dei diritti attribuiti al beneficiario

I beneficiari finali del trust sono certamente i soggetti che il de cuius intende onorare.

Nel caso di un trust inter vivos si parla di una donazione indiretta (art. 809 c.c.), in quanto concorrono l'arricchimento dei beneficiari, l'impoverimento del disponente e l'animus donandi.

Nel caso del trust costituito per testamento ci si chiede se i beneficiari nominati dal testatore possano dirsi destinatari di una disposizione mortis causa.

La riflessione scaturisce dal fatto che gli stessi, in forza del trust, non acquistano un diritto in via immediata dal patrimonio del testatore; ciononostante è indiscutibile che il testamento sia fonte dell'insorgere di un diritto nuovo nel patrimonio dei beneficiari.

Da queste considerazioni la dottrina (ROMANO, Gli effetti del trust oltre la morte del disponente: dal trust in funzione successoria al trust testamentario, in Notariato, 2014, 5, 593 ss.) conclude che non si possa affermare la natura giuridica di erede in capo al beneficiario: egli non è destinatario della delazione ereditaria, non può dirsi chiamato, non può accettare e non subentra in nessun caso nella medesima posizione giuridica del de cuius.

Piuttosto si deve ritenere che il beneficiario sia un legatario: il legato in questione è appunto un legato indiretto, perché occorre la cooperazione di un soggetto onerato (il trustee) per il soddisfacimento delle pretese successorie dell'onorato. Si tratta, in altri termini, di un legato di comportamento negoziale.

Ci si è chiesti anche se i c.d. beneficiari del reddito siano anch'essi legatari. La risposta pare positiva, ma in questo caso sembra più corretta la qualificazione del legato di credito, avente ad oggetto un ammontare determinato per relationem (esempio: i beneficiari riceveranno una somma di denaro pari al reddito che il trust found annualmente produce).

Rapporti con la sostituzione fedecommissaria

L'art. 692 c.c. dispone la nullità delle disposizioni mediante le quali si istituisce un primo soggetto, con l'obbligo di conservare quanto attribuitogli e di “restituirlo” ad un secondo soggetto dopo la sua morte.

Al di là del tenore letterale della norma, la dottrina connota la c.d. sostituzione fedecommissaria (vietata in tutti i casi in cui il secondo beneficiario non sia un interdetto) come una doppia istituzione con ordine successivo: prima opera la chiamata a favore dell'istituito, poi alla sua morte opera la seconda chiamata a favore del secondo, il c.d. sostituito – il quale è comunque avente causa dal de cuius, e non dall'istituito.

Nonostante nel trust testamentario si possa riscontrare un meccanismo in qualche misura analogo, poiché c'è il trustee che riceve i beni ereditari ed è tenuto ad amministrarli e ad attribuirli ai beneficiari, vi sono almeno tre centrali ragioni per le quali il trust non ricade nel divieto dell'art. 692 ultimo comma c.c. (cfr. CONDO', Rapporto tra istituzione di un trust e normativa in materia di successione, in Trust, 2008, 4):

- I beneficiari finali riceveranno i beni non alla morte del trustee (che è evento indifferente nel trust) ma allo scadere del trust;

- I beneficiari finali riceveranno tutti e soli i beni contenuti nel trust found allo scadere del trust: non vi è l'obbligo per il trustee di conservare il patrimonio ereditario – anzi è onere del trustee amministrare ed eventualmente vendere i beni per reinvestire;

- I beneficiari finali sono aventi causa dal trustee e non dal testatore: non si costituisce il c.d. “ordo successivus” vietato per legge.

Le considerazioni valgono, a maggior ragione, qualora si aderisca alla tesi per cui il trustee non è un erede o un legatario del testatore: verrebbe meno un ulteriore punto di contatto tra le fattispecie.

Conflitto con i diritti dei legittimari: art. 549 c.c.

L'art. 15 della Convenzione dell'Aja afferma «La Convenzione non ostacolerà l'applicazione delle disposizioni di legge previste dalle regole di conflitto del foro, allorchè non si possa derogare a dette disposizioni mediante una manifestazione della volontà, in particolare nelle seguenti materie: (…) c) i testamenti e la devoluzione dei beni successori, in particolare la legittima».

Si deve dunque indagare se e in che modo il trust testamentario possa entrare in conflitto con le norme a presidio dei diritti dei legittimari.

La prima norma che viene in considerazione è l'art. 549 c.c., in base al quale è vietato porre pesi e condizioni sulla quota riservata ai successori necessari.

La dottrina ha ritenuto che tale norma sia, in linea di principio, applicabile in tutti i casi in cui il trust testamentario abbia ad oggetto la quota di legittima del coniuge, dei discendenti o, in assenza di discendenti, degli ascendenti: si tratta di una lesione qualitativa della legittima.

Caso1:

il testatore, vedovo, ha due figli, ma non si fida delle loro capacità imprenditoriali. Intende con il suo testamento conferire l'intero suo patrimonio in trust, nominando quale trustee il fidato avvocato Tizio, il quale dovrà amministrare il patrimonio societario del testatore, per attribuirne gli utili ai figli in parti uguali (solo alla scadenza del trust i figli acquisteranno la proprietà del trust found).

In questa ipotesi il trust è in conflitto con i diritti che la legge riserva ai figli del testatore: costoro hanno infatti, a norma dell'art. 549 c.c., diritto all'attribuzione in piena proprietà e in natura della porzione loro riservata, senza che la stessa sia gravata da pesi (in senso ampio) e subordinata a condizioni. Il trust rende indiretta l'attribuzione diretta ai beneficiari, e pertanto contrasta con l'art. 549 c.c.

L'art. 549 c.c. non consente che i diritti dei legittimari siano convertiti in un credito in virtù del testamento, neanche se attuale e proporzionale alla legittima: men che meno permette che la riserva si trasformi nel diritto a ricevere, alla scadenza del trust, il quod superest dalla gestione del trustee.

Più controverso è il caso in cui il trust che ricomprende la quota di legittima abbia una espressa funzione divisionale.

Caso2 (liberamente tratto da ROMANO, Gli effetti del trust oltre la morte del disponente: dal trust in funzione successoria al trust testamentario, in Notariato, 2014, 5, 593 ss.):

il testatore, vedovo, ha due figli minori. Intende con il suo testamento costituire un trust avente ad oggetto l'intero asse ereditario di modo che il trustee, suo fidato collega, ripartisca il patrimonio trai figli al raggiungimento della loro maggiore età.

Alcuni autori (BARTOLI - MURITANO, Riflessioni su talune clausole utilizzate nei trusts interni, in I Trust interni e le loro clausole, C.N.N. 2007, 89 ss) ritengono in questo caso che l'art. 549 c.c. non trovi applicazione, in quanto la norma stessa fa salva la validità delle disposizioni divisionali dettate dal testatore di cui al titolo IV del libro II del codice civile.

Sembra di poter rispondere che il trust può certamente avere una funzione divisionale, ma non può dirsi ricompreso tra le norme di cui al titolo IV del libro II. Anche volendo operare una interpretazione analogica, a me sembra che la fattispecie descritta rientri più facilmente nella divisione dell'esecutore testamentario ex art. 706 c.c. (che non è compresa dell'”ombrello protettivo” del 549 c.c., e quindi non può ricomprendere i diritti dei legittimari, essendo norma collocata nel titolo III del libro II) piuttosto che nell'assegno divisionale semplice ex art. 733 c.c. (a simili conclusioni giunge anche CONDO', Rapporto tra istituzione di un trust e normativa in materia di successione, in Trust, 2008, 4).

Una alternativa che permette di superare il problema è quella del legato in sostituzione di legittima ex art. 551 c.c. Se il trust fosse considerato quale legato sostitutivo della legittima dei figli, e costoro non decidessero di rifiutare il legato per richiedere la legittima, la struttura reggerebbe e non sarebbe intaccata dal divieto di cui all'art. 549 c.c.

Conflitto con i diritti dei legittimari: azione di riduzione

Può darsi una ulteriore ipotesi di conflitto tra il trust testamentario e i diritti dei legittimari, nel caso in cui il trust contempli e benefici soggetti diversi dai legittimari.

In tal caso i legittimari patiscono una lesione quantitativa, e non qualitativa, della legittima: ai legittimari non sono attribuiti diritti e beni di valore sufficiente a riempire la porzione loro riservata, poiché una ampia parte dell'asse è oggetto del trust a vantaggio di terzi.

Ci si deve dunque domandare come possa operare la tutela dei legittimari, codificata nell'art. 15 della Convenzione dell'Aja, in un caso simile.

Anche sul punto vi sono orientamenti contrastanti in dottrina:

- Una autorevole tesi, all'oggi maggioritaria (LUPOI, Lettera a un notaio conoscitore di trust, in Rivista del notariato, 2001, 1159-1163), ritiene che il trust lesivo dei diritti dei legittimari sia da considerarsi nullo, in applicazione della Convenzione;

- Un'altra opinione (MOSCATI, Trust e tutela dei legittimari, in Riv. Dir. Comm., 2000, I, 13 ss) respinge l'argomento della nullità, ritenendo che possa trovare applicazione lo strumentario offerto dal diritto interno nel caso di lesione di legittima, e pertanto l'azione di riduzione.

Entrambe le soluzioni non paiono pienamente soddisfacenti:

a) da un lato, se la risposta alla lesione di legittima fosse la nullità, questa dovrebbe colpire anche il trust inter vivos avente effetti dopo la morte del disponente, ma la lesione (produttiva della nullità) potrà essere verificata solo all'apertura della successione del de cuius; si creerebbe cioè una categoria di “nullità sopravvenuta” non ammessa nel nostro ordinamento

b) d'altro lato, dovendo applicare le regole sulla riduzione, è particolarmente complesso determinare quale attribuzione vada ridotta (quella del trustee? o quella – indiretta - dei beneficiari?) e secondo quali modalità.

Non consta che la giurisprudenza di legittimità si sia ancora pronunciata sul punto.

L'unica controversa nota è quella conclusasi con la sentenza App. Firenze 9 agosto 2001, in Trust e attività fiduciarie, 2002, 244 (che conferma la sentenza del Trib. Lucca 23 settembre 1997, in Foro it., 1998, I, 2007 ss.) - nella quale i giudici depongono per l'applicazione dell'azione di riduzione e non della nullità ex art. 15 Convenzione dell'Aja – ma nel giudizio non si giunge a determinare le modalità della riduzione né ad affrontare le criticità delle due alternative.

Totten trust

Pur non essendo una diretta declinazione del trust testamentario, una fattispecie di trust direttamente collegato alla morte del disponente è il c.d. Totten trust (Matter of Totten, Court of Appel of New York, in Trust e attività fiduciarie, 2002, pp. 441 e ss.)

In tale fattispecie il settlor stipula un contratto di deposito, a nome proprio, presso una banca, individuata come trustee, ed indicando i beneficiari che percepiranno quanto risultante dal deposito al momento della morte (A. Palazzo, Istituti alternativi al testamento, in Trattato il diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, VIII, Napoli, 2003, p. 175).

Si pone in tal caso il problema della sussistenza, in tal caso, di un patto successorio, ai sensi e per gli effetti dell'art. 458 c.c.

Si deve riconoscere che l'istituto è interpretato in modo differente dai sistemi di common law rispetto a quelli di civil law: nei primi il totten trust non è letto come un negozio mortis causa, in quanto si reputa che generi nei beneficiari un equitable interest ad ottenere il saldo attivo del conto bancario al momento della morte del disponente.

Al contrario, in Italia, l'opinione prevalente (S. Bartoli, D. Muritano, C. Romano, Trust e atto di destinazione nelle successioni e donazioni, 2014, Milano, p. 218) individua nella fattispecie un negozio mortis causa, in quanto l'attribuzione destinata al beneficiario non è nota ex ante, ma questi consegue l'attribuzione “de residuo”: essa si determina e si attualizza solo al momento della morte del depositante. Qui la ragione della applicabilità del divieto del patto successorio.

Tassazione del trust

In tempi recenti è stata (auspichiamo) definitivamente risolta la annosa questione relativa al momento impositivo rilevante per la tassazione del trust. Un orientamento giurisprudenziale prevalente, nonché la conforme prassi dell'Agenzia delle Entrate, argomentava che sin dal momento del conferimento in trust dei beni vi fosse una manifestazione di ricchezza, da sottoporre all'imposta ex d.lgs. 346/1990 (legge sulle successioni e le donazioni). Al contrario l'orientamento più recente (in particolare nelle sentenze Cass. civ., sez. trib., 12 settembre 2019, n. 22754; Cass. civ., sez. trib. 17 settembre, 2019, n. 19167 e Cass. civ., sez. trib., 16 giugno 2019, n. 16699) cristallizzato nella sentenza 23 aprile 2020 n. 8082, afferma che «In ogni tipologia di trust (…) l'imposta proporzionale non andrà anticipata né all'atto istitutivo, né a quello di dotazione, bensì riferita a quello di sua attuazione e compimento mediante trasferimento finale del bene al beneficiario.» Solo in quel momento infatti si verifica l'effettivo arricchimento, e quindi la liberalità indiretta che dev'essere sottoposta a imposizione. L'orientamento è stato ulteriormente confermato dalle successive ordinanze Cass. civ., n. 10261/2020 e Cass. civ., n. 10254/2020.

Orientamenti a confronto

LESIONE DI LEGITTIMA: NULLITA' DEL TRUST TESTAMENTARIO O AZIONE DI RIDUZIONE?

Il trust testamentario che risulti lesivo della quota di riserva può essere oggetto di riduzione (proporzionalmente alle altre disposizioni testamentarie) con azione di accertamento costitutivo ex artt. 554 ss c.c. del legittimario leso o pretermesso

App. Firenze 9 agosto 2001, in Trust e attività fiduciarie, 2002, 244;

Trib. Lucca 23 settembre 1997, in Foro it., 1998, I, 2007 ss

Il trust testamentario lesivo dei diritti dei legittimari è nullo, perché si pone in contrasto con l'art. 15 della Convenzione dell'Aja.

LUPOI, Lettera a un notaio conoscitore di trust, in Rivista del notariato, 2001, 1159-1163.

Casistica

CASISTICA

Trust e sostituzione fedecommissaria

Trib. Lucca 23 settembre 1997, ha affermato che la disposizione con cui il testatore dichiara di lasciare in eredità al fiduciario in proprietà assoluta ogni suo avere, ma a beneficio della figlia, non va inteso come una sostituzione fedecommissaria vietata bensì come un trust testamentario.

Applicabilità dell'azione di riduzione al trust testamentario lesivo

App. Firenze 9 agosto 2001;

Trib. Lucca 23 settembre 1997;

le sentenze affermano che il rimedio per il caso di lesione dei diritti del legittimario è l'azione di riduzione e non la nullità del trust testamentario.

Trust testamentario e disabili

Trib. Milano, 5 marzo 2010 ha affermato che è attuabile la disposizione testamentaria che preveda l'istituzione di un trust in favore di uno dei figli del de cuius, disabile, avente quale finalità l'amministrazione e l'impiego dei beni per far fronte al suo mantenimento e alla sua assistenza.

Sommario