Liberalità indirette

05 Giugno 2024

Il testo esplora le intricate tematiche delle liberalità indirette nel panorama legale. Attraverso l'analisi dell'art. 809 c.c., si delinea la distinzione tra queste liberalità atipiche e le donazioni dirette, esaminando i requisiti sia formali che sostanziali. Vengono esplorate le norme sull'azione di riduzione, la collazione e la revocazione che disciplinano le liberalità non donative. L'obiettivo è chiarire le similitudini e le differenze con le donazioni tradizionali, offrendo una prospettiva approfondita su questo argomento cruciale nel diritto civile. Un viaggio di conoscenza e riflessione legali è iniziato, pronto ad esplorare il mondo delle liberalità indirette.

Inquadramento

*Aggiornamento a cura di A. Belloli

Si parla di donazione atipica o indiretta in relazione a qualsiasi liberalità attuata attraverso uno strumento giuridico caratterizzato da uno scopo diverso, avendosi cura di precisare che la causa è la medesima della donazione diretta (Cass. civ. 13 maggio 1980 n. 3147; Cass. civ. 29 febbraio 2012 n. 3134; Cass. civ. 18 settembre 2019 n. 23260).

In evidenza

Le liberalità indirette sono donazioni poste in essere attraverso un diverso negozio oneroso che produce, oltre all'effetto suo tipico, anche quello della liberalità , avvantaggiando in via riflessa il beneficiario.

È doverosa, anzitutto, la notazione terminologica in merito all'improprietà dell'espressione, largamente utilizzata, di donazione indiretta. È stato correttamente osservato, infatti, che essa costituisce «una terminologia di comodo, che non intende alludere ad una categoria giuridica unitaria» bensì a tutta una serie di condotte eterogenee che presentano, quale comune denominatore, di risultare concretamente compiute «per attuare in via mediata effetti economici equivalenti a quelli prodotti dal contratto di donazione» (U. Carnevali, Le donazioni, in Trattato Rescigno, VI, 2, 1997, p. 498).

Risulta dunque più corretto parlare di liberalità non donative, o atipiche, per riferirsi a quelle liberalità a cui specificamente si riferisce l'art. 809 c.c., cioè attuate mediante uno strumento giuridico formalmente caratterizzato da uno scopo diverso da quello di cui agli artt. 769 e ss. c.c., ove la causa concreta sia, in realtà, la medesima della donazione diretta. Il tratto caratterizzante della figura, dunque, è la divergenza del mezzo utilizzato rispetto allo scopo.

Invero, la nozione di liberalità è molto più ampia di quella di donazione. Nel contemplare all'art. 809 c.c. la categoria delle liberalità non donative, il legislatore ha preferito astenersi dal dettarne una definizione, sia da elencare gli atti che vi rientrano. Verosimilmente la scelta è stata suggerita dalla constatazione per cui, astrattamente, un numero indefinito di atti si presta a realizzare un arricchimento in capo al destinatario a fronte di chi lo compie. Di qui, il riferimento della citata norma alle liberalità che “risultano” da atti diversi dalla donazione.

Dalla norma di cui all'art. 809 c.c. si evincono i due requisiti che un atto deve possedere per essere qualificato come liberalità non donativa.

Anzitutto deve realizzare un effetto liberale: ciò non significa un generico “arricchimento”, bensì solo l'arricchimento giustificato dall'animus donandi del disponente. Le liberalità non donative e le donazioni sono dunque accomunate dalla stessa realtà sostanziale benché abbiano, come detto, una struttura diversa. Per questa identità sostanziale, il legislatore ha deciso di isolare la categoria per sottoporla a parte della disciplina prevista per la donazione, estendendo alle liberalità non donative le norme sull'azione di riduzione (art. 555 c.c.) e sulla collazione (artt. 737 e ss. cc.) a favore dei legittimari, nonché quelle sulla revocazione per sopravvenienza di figli e per ingratitudine a tutela del disponente (art. 809 c.c.).

Tuttavia, poiché le liberalità atipiche transitano attraverso uno strumento giuridico diverso dal contratto di donazione, non abbisognano della forma solenne, essendo sottratte al disposto di cui all'art. 782 c.c. (devono tuttavia rispettare i requisiti di forma previsti per l'atto impiegato per conseguire il risultato liberale).

Criteri di individuazione delle liberalità non donative

Anzitutto, le liberalità non donative devono tenersi distinte dalle donazioni simulate. Infatti mentre nella donazione simulata si ha una divergenza tra volontà delle parti e dichiarazione negoziale, nella donazione indiretta le parti hanno effettivamente voluto il negozio-mezzo oneroso, ma lo hanno piegato al fine di attuare una liberalità.

Copiosa è la riflessione dottrinale attorno a questa figura. Un'articolata rielaborazione (G. Amadio, La nozione di liberalità non donativa nel codice civile in AA. VV., Liberalità non donative e attività notarile, Quaderni della Fondazione italiana per il Notariato, Milano 2008) ha registrato le tesi che hanno variamente assegnato virtù distintiva allo spirito di liberalità oppure all'arricchimento, segnalando inoltre come la liberalità sia stata alternativamente riferita all'atto oppure agli effetti. La celebre proposta della liberalità come causa fu messa a punto nella prima metà del secolo XX (G. Oppo, Adempimento e liberalità, Milano, 1947), facendo riferimento all'accezione di funzione economico-sociale allora in auge ed impiegando tale identità per giustificare la disciplina comune (errore sul motivo, divieto di mandato). Tuttavia questa prima idea di intento liberale come causa non spiegherebbe il contenuto specifico che consente allo spirito di liberalità di diventare causa.

Una variante guarda all'effetto di arricchire. La categoria della liberalità sarebbe accomunata dal risultato finale dell'arricchimento del beneficiario, che assurgerebbe ad indice di riconoscimento della categoria, comprendente tutti i negozi-mezzo aventi appunto tale risultato finale. Tale costruzione risulterebbe, però, contraddetta dall'art. 793 comma 2 c.c.- da cui emerge come l'onere possa assorbire l'intero valore della donazione - cosicché la dottrina più recente ne esclude l'idoneità a contraddistinguere la categoria.

Si è proposto, allora, di recuperare la piena portata normativa dell'art. 769 c.c. che identifica la donazione come il contratto che non solo arricchisce, ma che lo fa per spirito di liberalità. La conferma sistematica deriverebbe dal confronto tra gratuità e liberalità: è gratuito l'atto che comporta sacrifici economici a carico di una sola parte, ma è sorretto da un interesse economico (si pensi al mecenatismo, ai premi alla clientela, alla prestazione di garanzia a favore delle società controllate): quindi arricchisce il beneficiario, pur non integrando liberalità.

Per contro, lo spirito di liberalità sarebbe da tradursi nel soddisfacimento di un interesse non economico. In questo modo si compirebbe la parabola dell'oggettivazione dell'animus donandi in un interesse.

L'interesse non patrimoniale identificherebbe così la categoria degli atti liberali, come quelli che mirano a procurare all'accipiens un vantaggio in vista del soddisfacimento di un interesse non patrimoniale del tradens.

Ruotando lo sguardo alla giurisprudenza, la frammentarietà (e per certi versi contraddittorietà) del quadro delineato dalle varie pronunce su questa figura ha spesso reso necessario l'intervento delle Sezioni Unite per dirimere i contrasti.

Nell'arresto più recente (Cass. Civ. SS.UU. 27 luglio 2017, n. 18725), le Sezioni Unite hanno precisato che una liberalità non donativa ricorre quando l'atto o l'operazione da cui risulta l'effetto liberale sia dotato di una causa tipica autonoma alla quale si aggiunge, e si sovrappone, l'animus donandi. Ricorrerebbe una donazione pura, invece, quando lo spirito di liberalità costituisce l'unica causa dell'attribuzione. Affinché, dunque, un atto sia qualificabile come liberalità non donativa, è necessario che abbia una causa ulteriore, diversa e autonoma rispetto all'animus donandi. (cfr. L. Coppo, Donazioni e liberalità non donative, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2019, p. 1391).

Il requisito della “doppia causa” sarebbe poi integrato non solo mediante il compimento di due atti tra loro collegati (si pensi alla dazione di una somma di denaro e al successivo atto d'acquisto di un bene, da parte del beneficiario, con tale somma), ma altresì in presenza di un solo atto, anche unilaterale: è questo il caso del pagamento del debito altrui, o dell'adempimento del terzo, allorquando siano compiuti donandi causa, senza un rapporto sottostante che altrimenti giustifichi tale attribuzione.

Anche un atto materiale produttivo di un arricchimento (quale ad esempio l'edificazione con mezzi propri su suolo altrui) potrebbe costituire una liberalità. Tale configurazione viene espressamente considerata nella parte motiva di varie pronunce di legittimità (Cass. 15 maggio 2009, n. 11330; Cass. 15 febbraio 2019, n. 4659). Nondimeno, per essere sorretto da un animus donandi deve pur sempre trattarsi di un negozio giuridico (invero il concetto stesso di animus donandi sarebbe incompatibile con quello di atto non negoziale), altrimenti troverebbe spazio la normativa sull'arricchimento ingiustificato ex art. 2041 c.c.

Per tali ragioni, con riferimento agli atti di rinuncia ai diritti, parte della Dottrina attribuisce natura liberale non già all'atto in sé ma alla rinuncia a chiedere l'indennità per l'arricchimento che esso ha prodotto.

Liberalità indirette nei contesti familiari. Regime di comunione legale

La prassi testimonia come le liberalità indirette siano istituti di frequente implicati nell'ambito dei rapporti famigliari, ampiamente intesi.

La giurisprudenza ha da tempo ricondotto gli acquisti realizzati dal coniuge, a seguito di donazione indiretta da parte di terzi, alla categoria di ‘beni personali' ex art. 179 lett. b) c.c ad instar di quelli realizzati per donazione diretta e per successione (Cass. 14 dicembre 2000 n. 15778), escludendoli perciò dall'oggetto della comunione legale. Del pari, la dottrina maggioritaria è sempre stata favorevole alla sottoposizione delle donazioni indirette all'art. 179 lett. b) c.c.. In tempi più recenti è tuttavia emerso anche un orientamento di segno contrario (F. Matrone, Comunione legale e acquisti a titolo gratuito, in Vita Not, 2004, p. 546).

Riguardo, invece, alla configurabilità di liberalità non donative compiute inter coniuges , nel regime legale la categoria sembra assumere caratteri di evanescenza, in ragione delle difficoltà sia teoriche che pratiche attinenti alla sua individuazione.

La struttura dell'istituto, infatti, non consente di affermare un'esclusione (come per le donazioni dirette) del meccanismo stabilito dall'art. 177 lett. a) c.c., che sembra così catturare ogni acquisto, anche separato, di beni o di crediti, che si distribuisce egualmente tra i coniugi ostacolando la possibilità di realizzare, con le forme consuete, liberalità non donative dall'uno all'altro coniuge.

Coerentemente con la regola della natura comune dell'acquisto, dottrina e giurisprudenza escludono che possa configurare una donazione indiretta la mancata adozione della modalità di acquisto separato prevista dall'art. 179, comma II, c.c..

Si registrano, invece, affermazioni giurisprudenziali di segno contrario riguardo all'ipotesi speculare, in cui cioè il coniuge riconosca la provenienza personale del denaro utilizzato dall'acquirente, senza che ne ricorra l'oggettivo presupposto: per queste ipotesi la giurisprudenza di legittimità (Cass. 9 novembre 2012 n. 19513) ha sancito che – ferma la valenza confessoria di tale dichiarazione nei rapporti interni ai coniugi (Cass. civ. SS.UU. 28 ottobre 2009 n. 22755) – gli eredi dell'uno possano far valere la natura di donazione indiretta in relazione a tale riconoscimento.

Resta, tuttavia, il problema non trascurabile del suo concreto accertamento. Appare infatti evidente come, quanto meno sul piano probatorio, i contorni della figura risultino in questo contesto difficili da dimostrare, considerate le variabili forme (rimesse all'accordo dei coniugi) che può assumere il soddisfacimento, diretto o indiretto, dei bisogni della famiglia.

(Segue) Regime di separazione dei beni e convivenze di fatto

Le soluzioni giurisprudenziali circa le attribuzioni compiute nell'ambito delle famiglie di fatto presentano profonde analogie con quelle raggiunte per i coniugi in regime di separazione dei beni, quasi a riprova della circostanza che famiglia legittima e famiglia di fatto ormai si presentano, rispetto all'applicazione di molte regole del diritto privato patrimoniale, come due facce della stessa medaglia (G. Oberto, Liberalità indiretta tra conviventi more uxorio e tentativi di recupero del bene alla cessazione del rapporto, in Fam. dir. 6, 2013, p. 559). Possono perciò essere esaminate unitariamente.

La casistica giurisprudenziale conosce segnatamente ipotesi di liberalità indirette tra famigliari compiute mediante intestazioni immobiliari al partner (o, sovente, al figlio della coppia) oppure mediante operazioni su conti correnti bancari o conti deposito titoli.

Le liberalità riguardanti cespiti immobiliari hanno costituito per la giurisprudenza l'occasione per mettere a fuoco il principio secondo cui quando un soggetto abbia erogato il danaro per l'acquisto di un immobile, il collegamento tra elargizione del danaro e acquisto dell'immobile porterebbe a configurare una donazione indiretta dell'immobile stesso, e non già una donazione del denaro impiegato per il suo acquisto. Viceversa, se il denaro è stato impiegato successivamente dal beneficiario nell'acquisto immobiliare, con propria autonoma e distinta determinazione, oggetto della donazione rimane il denaro stesso, e pertanto si deve seguire la forma dell'art. 782 c.c. salvo il caso di donazione di modico valore (Cass. civ., SS.UU., 5 agosto 1992, n. 9282; Cass. civ. 2 settembre 2014 n. 18541).

 Secondo la giurisprudenza non è poi configurabile una donazione indiretta di un immobile quando il donante paghi soltanto una parte del prezzo del bene, poiché la corresponsione del denaro costituirebbe una diversa modalità per attuare l'identico risultato giuridico-economico dell'attribuzione liberale dell'immobile esclusivamente nell'ipotesi in cui sostenga l'intero costo (Cass. civ. 31 gennaio 2014 n. 2149).

È stata ricondotta all'ambito della donazione indiretta l'attività con cui il marito abbia fornito i fondi affinché la moglie divenisse con lui comproprietaria di un immobile, così come i conferimenti patrimoniali eseguiti spontaneamente dal medesimo, volti a finanziare lavori di ristrutturazione nell'immobile in questione, in quanto vi è stata ravvisata la stessa causa liberale (Cass. civ. 4 ottobre 2018 n. 24160).

Ad analoga qualificazione in termini di donazione indiretta, la Cassazione è pervenuta in un caso di convivenza di fatto, in relazione all'attribuzione patrimoniale effettuata dalla convivente, che nel corso della relazione aveva acquistato un immobile in comunione con il partner per quote uguali, pur avendo sborsato l'intero prezzo per l'acquisto. Cass. civ. 25 marzo 2013 n. 7480).

L'analisi della produzione giurisprudenziale mette in rilievo, in ogni caso, una generalizzata difficoltà delle corti nel ricostruire ex post le vicende della vita famigliare, tentando di individuare un criterio discretivo tra elargizioni liberali e contribuzioni ai bisogni della famiglia. Dalle varie pronunce nondimeno emerge la necessità di una rigorosa dimostrazione della sussistenza di un animus donandi, non ritenendosi sufficiente la sua inferenza dalla mera sussistenza del rapporto di coniugio, della convivenza di fatto, o del rapporto parentale.

Riguardo al deposito di somme su conti correnti o conti deposito titoli, la giurisprudenza attesta un orientamento egualmente rigoroso ritenendo, in linea di massima, che non possa essere riconosciuto un animus donandi dalla mera cointestazione del conto, e dal fatto che i soggetti siano coniugati o conviventi.

Sempre nel caso della cointestazione di conti correnti bancari, si ritiene che la regola ex art. 1298 comma II c.c. operi anche nell'ipotesi di un conto cointestato nel quale, dunque, vi sarebbe una presunzione di uguaglianza delle quote di comproprietà tra i correntisti, salvo che il conto non sia stato aperto nel solo interesse di un correntista o non sia alimentato soltanto da uno di essi. Se si prova tale circostanza, la presunzione di comproprietà può essere vinta.

Con speciale riferimento ai coniugi in separazione dei beni non assumerebbe rilievo decisivo la presunzione dell'art. 219 comma II c.c., che appunto è solo una presunzione. Infatti, pur ammessa l'estensione analogica di tale norma anche ai crediti, secondo la Cassazione la mera circostanza della cointestazione del contratto di deposito titoli a due coniugi non presupporrebbe anche la proprietà dei titoli depositati, ma semplicemente la loro disponibilità. Da tale premessa, la Corte ha stabilito che, qualora sia provata la provvista di un conto bancario unicamente per mezzo di denaro appartenente ad uno solo dei coniugi, la cointestazione non basta a dimostrare la volontà, attuata tramite una donazione indiretta, di mettere in comune la metà dei soldi. Occorrerà sempre che l'altro coniuge dimostri in termini rigorosi la presenza dell'animus donandi (per tutte, Cass. civ. 22 settembre 2000, n. 12552).

In definitiva, per la configurazione in concreto di donazioni indirette, la giurisprudenza sembra orientata a richiedere una prova rigorosa dell'intento liberale, che deve emergere dall'attento esame di tutte le circostanze del singolo caso concreto, nei limiti in cui le stesse siano tempestivamente e ritualmente dedotte e provate in giudizio (Cass. n. 21 maggio 2020 n. 9379).

Casistica

Versamento da parte di un soggetto di una somma propria su di un conto bancario cointestato, con firma e disponibilità disgiunte

La Cassazione ha riconosciuto «la possibilità che costituisca donazione indiretta l'atto di cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito - qualora la predetta somma, all'atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei cointestatari - è legata all'apprezzamento dell'esistenza dell' "animus donandi", consistente nell'accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della cointestazione, altro scopo che quello della liberalità» (Cass. civ. 12 novembre 2008, n. 26983);

«La cointestazione di un conto corrente, attribuendo agli intestatari la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto (art. 1854 c.c.) sia nei confronti dei terzi, che nei rapporti interni, fa presumere la contitolarità dell'oggetto del contratto (art. 1298 comma 2 c.c.), ma tale presunzione dà luogo soltanto all'inversione dell'onere probatorio, e può essere superata attraverso presunzioni semplici - purché gravi, precise e concordanti - dalla parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa» (Cass. civ. 16 gennaio 2014, n. 809)

Contratto di deposito titoli a custodia e in amministrazione

«Non può escludersi che, nell'ambito di un procedimento negoziale complesso, anche il contratto di deposito titoli a custodia e in amministrazione possa essere utilizzato, attraverso la contitolarità, per realizzare in modo indiretto un intento liberale» (Cass. civ. 22 settembre 2000, n. 12552).

Trasferimento per spirito di liberalità di titoli finanziari

«Il trasferimento per spirito di liberalità di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli del beneficiante a quello del beneficiario realizzato a mezzo banca, attraverso l'esecuzione di un ordine di bancogiro impartito dal disponente, non rientra tra le donazioni indirette, ma configura una donazione diretta ad esecuzione indiretta; ne deriva la necessità dell'atto pubblico di donazione, salvo che ricorra l'ipotesi della donazione di modico valore» (Cass. SS.UU. 27 luglio 2017, n. 18725).

Le Sezioni Unite hanno proposto la distinzione inedita tra donazioni indirette, e donazioni dirette ad esecuzione indiretta, precisando che l'intermediazione della banca non sarebbe giuridica ma solo gestoria, in quanto la banca è solo esecutrice materiale di un'attribuzione che non proviene dal proprio patrimonio bensì da quello del disponente (dunque, nel caso, indiretta non sarebbe la liberalità ma l'esecuzione della medesima). Il singolo ordine della banca non sarebbe dunque dotato di una causa tipica autonoma ma sorretto di volta in volta da una giustificazione diversa, che può essere liberale, solutoria, o altro.

Elargizione della somma di denaro quale mezzo per acquistare un bene immobile

«La dazione di una somma di denaro configura una donazione indiretta d'immobile ove sia effettuata quale mezzo per l'unico e specifico fine dell'acquisto del bene, dovendosi altrimenti ravvisare soltanto una donazione diretta del denaro elargito, per quanto poi successivamente utilizzato in un acquisto immobiliare» (Cass. civ. 2 settembre 2014, n. 18541).

«Nell'ipotesi di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il soggetto medesimo intende in tal modo beneficiare con la sua adesione, la compravendita costituisce strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario, e quindi integra donazione indiretta del bene stesso e non del denaro. Pertanto in caso di collazione, secondo la previsione dell'art. 737 c.c. il conferimento deve avere ad oggetto l'immobile non il denaro donato per il suo acquisto» (Cass. civ., S.U., 5 agosto 1992, n. 9282).

Pagamento parziale del prezzo di un immobile

«La donazione indiretta dell'immobile non è configurabile quando il donante paghi soltanto una parte del prezzo del bene, giacché la corresponsione del denaro costituisce una diversa modalità per attuare l'identico risultato giuridico-economico dell'attribuzione liberale dell'immobile esclusivamente nell'ipotesi in cui ne sostenga l'intero costo» (Cass. civ. 31 gennaio 2014, n. 2149).

Sostituzione dell'acquirente tra il preliminare e il definitivo

In un caso in cui il de cuius aveva stipulato in vita un preliminare di compravendita di un bene immobile sostituendo a sé il proprio figlio nel contratto definitivo e fornendogli il danaro per il pagamento del prezzo dell'immobile, la Cassazione ha stabilito che, stante l'intimo collegamento tra il preliminare ed il definitivo, fosse ravvisabile un atto di disposizione da parte del genitore che realizzava gli estremi di una donazione indiretta dell'immobile stesso, con la conseguenza che il beneficiario doveva restituire - ai fini della collazione ereditaria - il valore dell'immobile e non la somma di denaro fornitogli per l'adempimento dell'obbligazione di pagamento del prezzo. «Si ha donazione indiretta di immobile, che impone la collazione dell'immobile e non del denaro impiegato per acquistarlo, nel caso in cui il donante, parte di un contratto preliminare di vendita dell'immobile a sé o a persona da nominare, stipuli il contratto definitivo pagando il prezzo con denaro proprio e indicando come acquirente il beneficiario» (Cass. civ. 19 marzo 1980, n. 1851).

Inoltre, «la donazione indiretta è caratterizzata dal fine perseguito di realizzare una liberalità, e non già dal mezzo, che può essere il più vario, nei limiti consentiti dall'ordinamento, ivi compresi più negozi tra loro collegati, come nel caso in cui un soggetto, stipulato un contratto di compravendita, paghi o si impegni a pagare il relativo prezzo e, essendosene riservata la facoltà nel momento della conclusione del contratto, provveda ad effettuare la dichiarazione di nomina, sostituendo a sé, come destinatario degli effetti negoziali, il beneficiario della liberalità, così consentendo a quest'ultimo di rendersi acquirente del bene ed intestatario dello stesso. Né la configurabilità della donazione indiretta è impedita dalla circostanza che la compravendita sia stata stipulata con riserva della proprietà in favore del venditore fino al pagamento dell'ultima rata di prezzo, giacché quel che rileva è che lo stipulante abbia pagato, in unica soluzione o a rate, il corrispettivo, oppure abbia messo a disposizione del beneficiario i mezzi per il relativo pagamento» (Cass. civ. 29 febbraio 2012, n. 3134).

Trasferimento di un immobile a fronte del quale non avviene il pagamento del prezzo

«Se in un negozio di trasferimento di un immobile non è avvenuto alcun pagamento di prezzo, si configura una vendita dissimulante una donazione e non una donazione indiretta, con conseguente necessità della forma di atto pubblico con la presenza di due testimoni ai fini della validità dell'atto» (Cass. civ. 2 luglio 2014, n. 15095).

Realizzazione di un'opera sul fondo altrui nel caso di rinuncia all'indennità ex art. 936 comma 2 c.c.

Cass. 15 maggio 2009, n. 11330 ha ritenuto che la realizzazione di un'opera sul fondo altrui possa configurare una donazione indiretta a favore del proprietario del suolo quando, sopravvenendo l'animus donandi, il soggetto che ha realizzato l'opera lasci prescrivere il diritto all'indennità ex art. 936 comma 2 c.c. ovvero rinunci all'indennità stessa (per un'implicita affermazione del principio cfr. anche Cass. 15 febbraio 2019, n. 4659)

Realizzazione di un'opera con denaro altrui su fondo proprio (già acquistato attraverso donazione indiretta) In tema di donazione indiretta, riguardo all'edificazione con denaro del genitore su terreno intestato al figlio, il bene donato si identifica nell'edificio, anziché nel denaro, senza che ostino i principi dell'acquisto per accessione, qualora, considerati gli aspetti sostanziali della vicenda e lo scopo ultimo del disponente, l'impiego del denaro a fini edificatori risulti compreso nel programma negoziale del genitore donante» (Cass. civ. 20 maggio 2014, n. 11035)
Rinuncia alla quota di comproprietà

«Costituisce donazione indiretta la rinunzia alla quota di comproprietà, fatta in modo da avvantaggiare in via riflessa tutti gli altri comproprietari; e poiché per la realizzazione del fine di liberalità viene utilizzato un negozio, la rinunzia alla quota da parte del comunista, diverso dal contratto di donazione, non è necessaria la forma dell'atto pubblico richiesta per quest'ultimo» (Cass. civ. 25 febbraio 2015, n. 3819).

«Costituisce donazione indiretta la rinunzia alla quota di comproprietà, fatta in modo da avvantaggiare in via riflessa tutti gli altri comproprietari. In tal caso si è di fronte ad una rinunzia abdicativa alla quota di comproprietà, perché l'acquisto del vantaggio accrescitivo da parte degli altri comunisti si verifica solo in modo indiretto attraverso l'eliminazione dello stato di compressione in cui l'interesse degli altri contitolari si trovava a causa dell'appartenenza del diritto in comunione anche ad un altro soggetto. L'atto di rinuncia a titolo gratuito al diritto di usufrutto è soggetto all'imposta prevista dal d.lgs. n. 346/1990 poiché esso rientra nell'ambito degli atti traslativi o costitutivi di diritti reali di godimento, in virtù dell'effetto di arricchimento del beneficiario conseguente alla rinuncia al diritto da parte del suo titolare» (Cass. civ. 22 aprile 2021 n. 10666).
Negotium mixtum cum donatione Quando le parti di un contratto oneroso pattuiscono volutamente un corrispettivo manifestamente sproporzionato rispetto al valore del bene trasferito, l'una con l'intento di arricchire l'altra, secondo una prima tesi si tratterebbe di un contratto con causa mista, in cui concorrerebbero entrambe le cause, sia quella della compravendita che quella della donazione. Così bisognerebbe applicare la sola disciplina del tipo in concreto prevalente, con la conseguenza per cui, ove risultasse prevalente la causa concreta della donazione, il contratto sarebbe nullo per difetto di forma solenne (Cass. 29 maggio 1999 n. 5265). Secondo l'orientamento prevalente (da ultimo Cass. 27 aprile 2018 n. 27050) invece, anche tale figura verrebbe inquadrata nella donazione indiretta, con la conseguente applicazione della relativa disciplina. Invero, anche qui il contratto oneroso è stipulato soltanto per conseguire, in via indiretta, la finalità diversa e ulteriore rispetto a quella dello scambio, consistente nell'arricchimento dell'altra parte per spirito di liberalità
Vendita di un immobile per un corrispettivo pari al valore catastale (un caso di vendita mista a donazione) Cass. civ. 30 gennaio 2007, n. 1955 ha stabilito che realizza una donazione indiretta - per la quale è sufficiente la forma prescritta per il tipo negoziale adottato dalle parti - il contratto preliminare con il quale, allo scopo di arricchire il promissario acquirente, il promittente venditore consapevolmente si obblighi a vendere l'immobile per un prezzo pari al valore catastale.
Assunzione del debito altrui realizzata per spirito di liberalità (accollo esterno liberale) Cass. civ. 8 luglio 1983, n. 4618 ha stabilito che l'accordo attraverso cui un soggetto assuma per spirito di liberalità il debito di altro verso un terzo, non integra una donazione tipica - stante la mancanza di un arricchimento a favore del debitore, che potrebbe conseguire solo alla liberazione propria dell'accollo privativo ex art. 1273 comma 2 c.c. -, bensì una donazione indiretta che resta assoggettata, circa la forma, alla disciplina propria dell'atto attraverso il quale si realizza la liberalità, salva l'applicazione delle norme sulla revocazione delle donazioni e di quelle sulla riduzione per reintegrare la quota dovuta ai legittimari. Viceversa l'accollo interno liberale è qualificato come donazione (Cass. 30 marzo 2006, n. 7507). In effetti questo mancherebbe di un negozio-mezzo dotato di una causa autonoma, di talché la liberalità non è un effetto indiretto, bensì la causa che sorregge l'accollo.
Rinuncia al regresso contro il debitore, in caso di pagamento del debito altrui «Ai fini della collazione, il pagamento di un debito eseguito dal de cuius nei confronti di uno dei figli origina verso di lui un credito di pari importo e la rinuncia ad agire in regresso verso lo stesso costituisce una fattispecie di donazione indiretta» (Cass. 18 settembre 2019, n. 23260)
Rinuncia all'azione di riduzione «La rinuncia del coniuge all'azione di riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della quota di legittima può comportare un arricchimento nel patrimonio della figlia beneficiata, nominata erede universale, tale da integrare gli estremi di una donazione indiretta, se corra un nesso di causalità diretta tra donazione e arricchimento» (Cass. 28 luglio 2023, n. 23036).

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