Modifica delle statuizioni relative ai figli non matrimoniali

28 Maggio 2024

E' ampiamente riconosciuto il principio che i provvedimenti, inclusi quelli definitivi, che disciplinano le relazioni personali e patrimoniali tra le parti coinvolte o tra di esse e la prole nei casi di crisi familiare, vengono emessi in relazione allo stato di fatto esistente al momento della decisione. Ciò rappresenta il punto di riferimento imprescindibile per la formulazione di tali provvedimenti. Inoltre, le modifiche alla regolamentazione relativa ai figli non matrimoniali possono derivare da un procedimento giudiziale contenzioso o da un accordo consensuale tra le parti coinvolte.

Inquadramento

*Bussola aggiornata da C. Costabile

Costituisce principio pacifico nel nostro ordinamento che i provvedimenti, anche definitivi, che dettano una regolamentazione giuridica al flusso di rapporti personali e patrimoniali intercorrenti tra le parti o tra le stesse e la prole nei giudizi sulle crisi familiari sono emanati rebus sic stantibus, ovvero in relazione a un preciso quadro fattuale e istruttorio delineatosi in seno al processo e cristallizzatosi, da un punto di vista temporale, al momento della rimessione della causa in decisione.

La modifica della regolamentazione relativa ai figli non matrimoniali può essere frutto sia di un procedimento in forma contenziosa sia di un accordo delle parti.

Presupposti

Il nuovo art. 473-bis.29 c.p.c. prevede che la revisione dei provvedimenti a tutela dei minori e in materia di contributi economici può essere chiesta dalle parti, nelle forme del nuovo rito unitario, in ogni momento qualora sopravvengano giustificati motivi.

Non è dunque possibile chiedere la revisione in virtù di un mero ripensamento oppure in ragione della asserita incompatibilità tra la propria situazione personale/economica dell'epoca e quanto allora stabilito, poiché le statuizioni relative ai figli si intendono sempre assunte rebus sic stantibus. Ne consegue che solo il modificarsi delle condizioni personali/economiche dei genitori o della prole può giustificare la revisione delle statuizioni pregresse e – ha aggiunto la giurisprudenza - a patto che tale modificazione di fatto incida in maniera significativa sul pregresso assetto concordato o stabilito dal Tribunale. È infatti necessario per il Giudice, prima di modificare le previgenti regole, verificare che il fatto nuovo abbia concretamente inciso sul precedente equilibrio, rendendone necessaria la modifica (Cass. civ., sez. I, 30 giugno 2021, n. 18608; Cass. civ., sez. VI, 30 ottobre 2013, n. 24515).

Oggetto di revisione possono essere le modalità di affidamento della prole (condiviso, esclusivo, super-esclusivo o eterofamiliare), il collocamento, l'assegnazione della casa familiare, le statuizioni che disciplinano nello specifico l'esercizio della responsabilità genitoriale (es. modalità di frequentazione con il genitore non collocatario, attribuzione dei poteri decisionali in singoli ambiti, scelte scolastiche), nonché l'an e il quantum della contribuzione al mantenimento della prole.

Procedimento contenzioso. La competenza per territorio

Il procedimento di modifica delle statuizioni relative ai figli non matrimoniali è soggetto al rito unitario persone, minorenni e famiglie (art. 473-bis.29 c.p.c.).

L’art. 473-bis.11 c.p.c. prevede che i procedimenti in cui debbano essere assunti provvedimenti a tutela del minore spettino alla competenza del tribunale nel cui circondario il minore abbia la residenza abituale.

Come chiarito dalla S.C., deve intendersi per residenza abituale il luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale del minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, dove il minore ha il centro dei propri legami affettivi non solo parentali, derivanti dallo svolgimento in tale località della quotidiana vita di relazione (Cass. civ., Sez. Un., 19 aprile 2021, n. 10243; Cass. civ., sez. I, 14 dicembre 2017, n. 30123). Occorre avere riguardo non solo alle risultanze anagrafiche, ma al modus vivendi del minore, al suo effettivo radicamento in un ambiente di vita, caratterizzato da relazioni, abitudini, interessi, quotidianità, alla condizione di stabilità complessiva, all’effettivo inserimento nel contesto sociale in cui si sviluppa la sua personalità, essendo il luogo in cui risiede elemento centrale della vita (Cass. civ., sez. VI, 26 maggio 2022, n. 17089; Cass. civ., sez. VI, 7 giugno 2021, n. 15835). 

Il secondo comma dell’art. 473-bis.11 c.p.c. prevede, in assenza di figli minori, l’operatività delle disposizioni generali in tema di competenza per territorio (artt. 18 e ss. c.p.c.).

Segue. Il trasferimento non autorizzato del minore

Il legislatore della riforma ha deciso di disciplinare l'incidenza del trasferimento del minore attuato senza accordo della coppia genitoriale sulla individuazione del giudice territorialmente competente, trattandosi di problematica assai ricorrente.

Secondo il consolidato orientamento della S.C. il trasferimento del minore operato da uno dei genitori prima della instaurazione del giudizio senza il consenso dell'altro, dunque illecitamente operato, non risulta idoneo sul piano processuale a radicare la competenza territoriale nel luogo in cui il minore è stato unilateralmente condotto, atteso che una contraria opzione finirebbe con l'avere valenza premiale proprio nei confronti dell'autore della condotta illecita e, inoltre, consentirebbe a quest'ultimo di « scegliere » l'autorità giudiziaria da investire della controversia (Cass. civ., sez. VI, 20 ottobre 2015, n. 21285; Cass. civ., Sez. Un., 28 maggio 2014, n. 11915).

Tale principio ha, tuttavia, da sempre ricevuto un importante correttivo laddove la nuova residenza abituale del minore — benché frutto di trasferimento unilaterale — si sia consolidata nel tempo a causa dell'inerzia del genitore legittimato a dolersi dell'altrui indebito comportamento. Per garantire attuazione a tali principi — in assenza di un limite temporale che individuasse il radicamento della competenza presso il tribunale del nuovo luogo di residenza — si era affermato che, avuto riguardo al luogo della dimora abituale del minore alla data della domanda, nell'individuazione in concreto del luogo di abituale dimora non potesse farsi riferimento ad un dato meramente quantitativo, rappresentato dalla prossimità temporale del trasferimento di residenza o dalla maggiore durata del soggiorno, essendo invece necessaria una prognosi sulla probabilità che la «nuova» dimora possa diventare l'effettivo e stabile centro di interessi del minore o sia, per contro, un mero espediente per sottrarsi alla disciplina della competenza territoriale (Cass. civ., sez. VI, 26 maggio 2022, n. 17089; Cass. civ., sez. VI, 17 novembre 2017, n. 27358; Cass. civ., sez. VI, 15 novembre 2017, n. 27153).

Recependo i principi giurisprudenziali illustrati la seconda parte del primo comma dell'art. 473-bis.11 c.p.c., al fine di disincentivare i trasferimenti non autorizzati del minore e le forme di « forum shopping », prevede che, in caso di trasferimento non autorizzato della residenza del minore, lo stesso non è idoneo a radicare la competenza del giudice civile presso il tribunale nel cui circondario si trova il comune di nuova residenza, permanendo per un anno una sorta di «ultrattività» del giudice naturale del luogo dove il minore aveva in precedenza la propria residenza abituale. Pertanto, il genitore che intenda opporsi all'attuato trasferimento deve agire entro un anno, poiché diversamente la mancata attivazione del giudizio costituisce un comportamento inequivocabile di successiva acquiescenza implicita verso l'attuato trasferimento.

Segue. La fase introduttiva

Il legislatore ha mantenuto la scelta del ricorso quale forma dell’atto introduttivo dei giudizi in materia di famiglie, minori e soggetti deboli (art. 473-bis.12 c.p.c.). Il ricorso deve contenere: 1) l’indicazione del giudice e ai riferimenti soggettivi della lite; 2) le indicazioni anagrafiche relative ai minori o ai figli maggiorenni ma bisognosi di protezione; 3) la determinazione e l’oggetto della domanda, nonché la chiara e sintetica esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali la domanda si fonda con le relative conclusioni; 4) l’indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l’attore intende valersi e dei documenti che offre in comunicazione.

Nell’ottica di garantire un opportuno collegamento tra il giudizio ed eventuali ulteriori procedimenti già pendenti, il legislatore della riforma ha disposto che il ricorso debba indicare l’esistenza di altri procedimenti aventi a oggetto, in tutto o in parte, le medesime domande o domande ad esse connesse e che allo stesso sia allegata copia di eventuali provvedimenti, anche provvisori, già adottati in tali procedimenti (art. 473-bis.12, comma 2, c.p.c.).

Nella ipotesi in cui le richieste di modifica riguardino gli aspetti relativi al mantenimento dei figli, al ricorso debbano essere allegati: 1) delle dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni; 2) della documentazione attestante la titolarità di diritti reali su beni immobili e beni mobili registrati, nonché di quote sociali; 3) degli estratti conto dei rapporti bancari e finanziari relativi agli ultimi tre anni (art. 473-bis.12, comma 3, c.p.c.).

Qualora, invece, le richieste di modifica riguardino gli aspetti relativi al collocamento o ai tempi di permanenza del minore con il genitore collocatario, al ricorso dovrà essere allegato anche un piano genitoriale che indichi gli impegni e le attività quotidiane dei figli relative alla scuola, al percorso educativo, alle attività extrascolastiche, alle frequentazioni abituali e alle vacanze normalmente godute (art. 473-bis.12, comma 4, c.p.c.).

Il presidente del collegio, o il giudice relatore all’uopo delegato, nel decreto di fissazione di udienza avvisa e rende edotto il convenuto dei termini decadenziali che sono fissati alle sue difese, della necessità di munirsi di un difensore tecnico, potendo godere del patrocinio a spese dello Stato, della necessità di costituirsi entro trenta giorni anteriori l’udienza e della possibilità per le parti di avvalersi della mediazione familiare. Tra la data della notifica del ricorso e del decreto al convenuto e l’udienza deve essere garantito un termine a difesa non inferiore a sessanta giorni.

Il convenuto deve costituirsi, mediante deposito di comparsa di risposta, entro il termine assegnato dal presidente (art. 473-bis.16 c.p.c.). La comparsa deve contenere le indicazioni previste, anche a pena di decadenza, dagli artt. 167 e 473-bis.12, commi 2, 3 e 4, c.p.c.: il convenuto deve, dunque, proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dal ricorrente a fondamento della domanda, indicare le proprie generalità e il codice fiscale, i mezzi di prova di cui intende valersi e i documenti che offre in comunicazione, formulare le proprie conclusioni e, a pena di decadenza, le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio nonché le proprie domande riconvenzionali.

L’art. 473-bis.17 c.p.c. regola le ulteriori difese delle parti che si rendano necessarie all’esito degli atti introduttivi. L’attore può depositare entro venti giorni prima dell’udienza una memoria per proporre, a pena di decadenza, le domande ed eccezioni non rilevabili d’ufficio conseguenti alla domanda riconvenzionale o alle eccezioni del convenuto e potrà nella stessa memoria modificare e precisare le domande e conclusioni (comma 1). Il convenuto, mediante memoria da versare in atti entro dieci giorni prima dell’udienza, potrà precisare e modificare domande, eccezioni e conclusioni e, a pena di decadenza, formulare eccezioni non rilevabili d’ufficio che siano conseguenze della domanda riconvenzionale o delle difese dell’attore contenute nella memoria (comma 2). Entro cinque giorni prima della data dell’udienza, l’attore può depositare ulteriore memoria per le sole indicazioni di prova contraria rispetto ai mezzi istruttori dedotti dal convenuto nella memoria ex art. 473-bis.17 c.p.c. (comma 3).

I provvedimenti indifferibili

Anche nei procedimenti di modifica delle statuizioni relative ai figli non matrimoniali è possibile per le parti richiedere l'emissione di provvedimenti indifferibili ai sensi dell'art. 473-bis.15 c.p.c.

La norma prevede che, in caso di pregiudizio imminente e irreparabile o quando la convocazione delle parti potrebbe pregiudicare l'attuazione dei provvedimenti, il presidente o il giudice delegato, assunte ove occorre sommarie informazioni, adotta con decreto provvisoriamente esecutivo i provvedimenti necessari nell'interesse dei figli e delle parti. Con tale decreto, inoltre, fissa entro i successivi quindici giorni l'udienza per la conferma, modifica o revoca dei provvedimenti adottati.

La S.C. ha recentemente chiarito che avverso l'ordinanza di conferma, modifica o revoca dei provvedimenti indifferibili resi inaudita altera parte ex art. 473-bis.15 c.p.c. è consentito il reclamo, da proporsi innanzi alla corte di appello, esclusivamente nell'ipotesi in cui il contenuto di questi ultimi coincida con quello dei provvedimenti di cui al comma 2 dell'art. 473-bis.24 c.p.c., e, dunque, ove sospendano o introducano sostanziali limitazioni alla responsabilità genitoriale, prevedano sostanziali modifiche dell'affidamento e della collocazione dei minori, ovvero ne dispongano l'affidamento a soggetti diversi dai genitori (Cass. civ., sez. I, 30704/2024, n. 11688).

Segue. I provvedimenti provvisori ed urgenti

All’esito della prima udienza, in cui è prevista come necessaria la comparizione personale delle parti salvo gravi e comprovati motivi (art. 473-bis.21 c.p.c.), il giudice, qualora non ritenga la causa matura per la decisione senza necessità di ulteriore istruttoria, provvederà con ordinanza ad emettere gli eventuali provvedimenti temporanei e urgenti che ritiene opportuni nell’interesse delle parti - nei limiti delle domande da queste proposte - e dei figli.

Con la medesima ordinanza dovrà, altresì, ammettere i mezzi di prova e predisporre il calendario del processo.

In forza del disposto dell’art. 473-bis.24 c.p.c. i provvedimenti temporanei ed urgenti sono reclamabili dinanzi alla Corte di Appello entro il termine perentorio di dieci giorni dalla pronuncia del provvedimento in udienza ovvero dalla comunicazione, o dalla notificazione se anteriore.

L'istruttoria: l'ascolto del minore

Il procedimento consente al Tribunale di svolgere attività istruttoria sia su richiesta delle parti sia d'ufficio. Ad esempio, potranno essere assunte informazioni dai soggetti indicati dalle parti, richieste relazioni ai Servizi Sociali o espletata una consulenza tecnica d'ufficio.

Qualora il giudizio di modifica verta sulle modalità di affidamento o collocamento del minore o in ordine alla frequentazione del genitore non co-residente il Tribunale dovrà procedere all'ascolto del minore ultradodicenne o infradodicenne dotato di sufficiente capacità di discernimento relativamente alle questioni oggetto di causa.

Il legislatore della novella ha attribuito ulteriore importanza all'ascolto del minore introducendo la previsione secondo cui le opinioni del minore devono essere tenute in considerazione dal giudice avuto riguardo alla sua età e al suo grado di maturità (art. 473-bis.4 c.p.c.). Resta ovviamente ferma la possibilità per il giudice di disattendere le dichiarazioni di volontà che emergono dall'ascolto ma, come già chiarito dalla giurisprudenza, alla stregua di una motivazione rigorosa e pertinente, che ne evidenzi la contrarietà all'interesse del minore, in quanto resta centrale la valorizzazione sostanziale del suo punto di vista, ai fini della decisione che lo concerne (Cass. civ., sez. I, 17 aprile 2019, n. 10776; Cass. civ., sez. I, 24 maggio 2018, n. 12957).

L'art. 473-bis.5 c.p.c. disciplina le modalità di ascolto del minore prevedendo una serie di garanzie e di accorgimenti che il giudice dovrà adottare ai fini dell'ascolto.

Il Giudice può condurre in prima persona l'ascolto (c.d. ascolto diretto) o ascoltare il minore con l'assistenza di un ausiliario o esperto in psicologia o psichiatria infantile (c.d. ascolto assistito) ma, a differenza di quel che prevede l'art. 336-bis c.c., il legislatore della riforma ha escluso che l'audizione del minore possa essere delegata dal giudice relatore ad altri soggetti (c.d. ascolto indiretto) quali i servizi sociali ed il consulente tecnico di ufficio.

La fase decisoria

Il passaggio alla fase decisoria e conclusiva può aversi sia all'esito dello svolgimento dell'attività istruttoria sui fatti di causa, sia immediatamente già all'esito della prima udienza qualora la causa sia matura per la decisione. 

Nella prima ipotesi, disciplinata dall'art. 473-bis.28 c.p.c., una volta esaurita l'istruzione il giudice relatore fissa davanti a sé l'udienza di rimessione della causa in decisione, assegnando alle parti termini comuni per le attività difensive finali e precisamente: 1) un termine non superiore a sessanta giorni prima dell'udienza per il deposito di note scritte di precisazione delle conclusioni; 2) un termine non superiore a trenta giorni prima dell'udienza per il deposito delle comparse conclusionali; 3) un termine non superiore a quindici giorni prima della stessa udienza per il deposito delle memorie di replica.

All'udienza la causa viene quindi rimessa in decisione e il giudice delegato si riserva di riferire al collegio.

La sentenza dovrà essere depositata nei successivi sessanta giorni.

Nella seconda ipotesi, disciplinata dall'ultimo comma dell'art. 473-bis.22 c.p.c., il giudice relatore all'esito della prima udienza, fatte precisare le conclusioni, pronuncia i provvedimenti provvisori ed urgenti e ordina la discussione orale della causa nella stessa udienza o, su istanza di parte, in un'udienza successiva e, all'esito, trattiene la causa in decisione riservandosi di riferire al collegio per la decisione.

La sentenza, oltre a rigettare o accogliere, in tutto o in parte, le domande delle parti, può, in virtù dei poteri officiosi del Tribunale nella materia, contenere provvedimenti difformi da quelli richiesti dalle parti, comunque modificativi delle precedenti statuizioni. Infatti il Tribunale, laddove reputi pregiudizievole la situazione in cui versa la prole e ritenga che i provvedimenti invocati dalle parti non siano idonei a rimuovere detto pregiudizio, ovvero reputi di doversi discostare parzialmente, nel rispetto del superiore interesse della prole, dalle domande formulate da entrambe le parti, può modificare il regime di affidamento, impartire incarichi ai Servizi Sociali e altresì rimodulare la frequentazione del genitore non collocatario con la prole, nonché rideterminare la misura e/o le modalità di riparto tra i genitori della contribuzione al mantenimento della medesima.

L'impugnazione

La sentenza che chiude il giudizio di modifica è soggetta ad appello.

L'art. 473-bis.30 c.p.c. contiene, attraverso il richiamo all'art. 342 c.p.c., la scelta di modulare gli oneri di forma del ricorso ai requisiti di ammissibilità prescritti per l'appello ordinario, nella formulazione risultante all'esito della novella.

Più precisamente, l'appello dovrà essere proposto tramite ricorso motivato e per ciascuno dei motivi dovrà indicare a pena di inammissibilità, in modo chiaro, sintetico e specifico: 1) il capo della decisione di primo grado che viene impugnato; 2) le censure proposte alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado; 3) le violazioni di legge denunciate e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.

Il presidente, a seguito del deposito del ricorso in cancelleria, nei cinque giorni successivi, dovrà nominare il relatore, fissare l'udienza di comparizione e trattazione e fissare il termine entro il quale l'appellante dovrà provvedere alla notificazione del ricorso e del decreto all'appellato, con la precisazione che tra la data della notificazione e quella dell'udienza deve intercorrere un termine non inferiore a novanta giorni, da elevarsi a centocinquanta nel caso di notifica da eseguirsi all'estero (art. 473-bis.31, commi 1-2-3, c.p.c.).

Il presidente può acquisire d'ufficio le relazioni aggiornate dei servizi sociali o sanitari eventualmente incaricati e di ordinare alle parti di depositare la documentazione aggiornata di cui all'articolo 473-bis.12, comma 3, c.p.c. ovvero la documentazione reddituale e patrimoniale (art. 473-bis.31, comma 4, c.p.c.).

L'appellato dovrà costituirsi entro trenta giorni prima dell'udienza, depositando comparsa di costituzione contenente l'esposizione delle proprie difese e le precise contestazioni, in modo chiaro e specifico, al 

pari degli oneri formali prescritti per il ricorso in appello, e, a pena di decadenza, proporre appello incidentale (art. 473-bis.32, comma 1, c.p.c.).

L'art. 473-bis.32, ult. comma, c.p.c. stabilisce che l'appellante può depositare una memoria di replica, sino a venti giorni prima dell'udienza, e che l'appellato può replicare depositando ulteriore memoria difensiva fino a dieci giorni prima dell'udienza.

All'esito della discussione o dopo l'esaurimento dell'istruzione, il collegio trattiene la causa in decisione assegnando, previa richiesta delle parti, un termine per note difensive, e deposita la sentenza nei successivi sessanta giorni (art. 473-bis.34 c.p.c.).

Anche il giudice di appello può adottare i provvedimenti indifferibili e urgenti, previsti dall'art. 473-bis.15 c.p.c., in tutti i casi in cui ricorrono situazioni di pregiudizio imminente ed irreparabile, con le forme e le regole processuali ivi previste, con possibilità anche di intervenire inaudita altera parte e di fissare udienza per la conferma, modifica e revoca dei provvedimenti adottati, nonché quelli provvisori delineati dall'art. 473-bis.22 c.p.c. (art. 473-bis.34, ultimo comma, c.p.c.).

Il procedimento su ricorso congiunto

L’art. 473-bis.51, ult. comma, c.p.c. disciplina il procedimento per le domande congiunte di modifica delle precedenti condizioni.

Tale procedimento è molto snello avendo il legislatore della riforma previsto che il Tribunale provvede in camera di consiglio, previa acquisizione del parere del Pubblico ministero, senza disporre la comparizione personale delle parti, essendo prevista la fissazione dell’udienza solo su richiesta congiunta delle parti o qualora il tribunale ritenga necessario ottenere chiarimenti in merito alle condizioni proposte.

Il contenuto del ricorso per la modifica della regolamentazione relativa ai figli non matrimoniali è quello disciplinato dai primi due commi dell’art. 473-bis.51 c.p.c.: viene, in particolare, richiamato il disposto dell’art. 473-bis.12 c.p.c. con la precisazione che al ricorso – che deve essere personalmente sottoscritto dalle parti - non dovrà essere allegata la documentazione economica, prevista per il procedimento contenzioso, che viene sostituita dalle indicazioni delle parti circa le rispettive disponibilità reddituali e patrimoniali degli ultimi tre anni e degli oneri a loro carico (art. 473-bis.51, comma 2, c.p.c.). Si tratta di indicazioni indispensabili sia per permettere al giudice di effettuare le doverose verifiche, sia per valutare l’eventuale fondatezza di successive richieste di modifica delle condizioni in precedenza concordate.

A seguito del deposito del ricorso il presidente del collegio designa il giudice relatore e dispone la trasmissione degli atti al PM perché formuli il suo parere in un termine che deve essere necessariamente fissato dal giudice non essendo prevista alcuna udienza.

Il Tribunale deve limitarsi a verificare che gli accordi raggiunti dalle parti non siano lesivi degli interessi dei figli e, in caso positivo, provvederà in conformità ad essi emettendo una sentenza con cui vengono recepite le condizioni modificative concordate dalle parti.

Come evidenziato nella relazione illustrativa al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, tale procedimento si applica anche alle domande congiunte di modifica delle condizioni determinate in sede giudiziale e non solo originate da un ricorso congiunto, come potrebbe desumersi dal richiamo letterale contenuto nel principio di delega che, ove attuato pedissequamente, si sarebbe risolto in una norma priva di ragionevolezza e comunque sia in contrasto con le esigenze di unitarietà del rito che sono chiaramente espresse nell’intera legge delega.

La negoziazione assistita

L'art. 1, comma 35, l. 206/2021– in vigore dal 22 giugno 2022 - ha introdotto un nuovo comma (il comma 1-bis) all'art. 6, d.l. 132/2014, convertito nella l. 162/2014, estendendo l'ambito di applicazione dell'istituto della negoziazione assistita in materia familiare: per effetto della riforma si può ricorrere alla negoziazione assistita familiare – oltre che per la separazione, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e scioglimento per le unioni civili – anche per disciplinare l'affidamento e mantenimento dei figli minorenni nati fuori del matrimonio e per la modifica delle condizioni eventualmente già determinate.

A differenza degli accordi conclusi a seguito di negoziazione assistita tradizionale, quelli conclusi con negoziazione assistita familiare necessitano, per produrre effetti, dell'intervento del Procuratore della Repubblica e, in alcuni casi, del Presidente del Tribunale.

In particolare, in presenza di figli minori, maggiorenni non autosufficienti o portatori di handicap grave, l'accordo deve essere trasmesso con modalità telematiche dagli avvocati al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente (individuato secondo gli ordinari criteri di competenza) nel termine di dieci giorni dalla sua sottoscrizione. Il Procuratore, se ritiene quanto ricevuto rispondente all'interesse dei figli, rilascia autorizzazione che comunica con modalità telematiche agli avvocati di tutte le parti.

Quando il PM ritiene che l'accordo non risponde all'interesse dei figli, o che è opportuno procedere al loro ascolto, trasmette l'accordo non autorizzato, entro cinque giorni, al Presidente del Tribunale che fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e “provvede senza ritardo”.

La fase presidenziale ha natura pienamente giurisdizionale, si svolge secondo le regole del procedimento camerale e si chiude con un provvedimento non impugnabile.

All'esito della udienza, il Presidente – che non è vincolato ai rilievi del PM – può autorizzare l'accordo respinto dal pubblico ministero, rivalutando il provvedimento da questi emesso, discostandosi da esso, ovvero autorizzare un nuovo e diverso accordo sottoscritto dalle parti che può, ma non deve, tenere conto dei rilievi del PM.

La validità degli accordi negoziali come espressione dell'autonomia privata

Non appare inopportuno ricordare che la giurisprudenza considera pienamente valido un accordo intervenuto tra i genitori alla cessazione di un rapporto di convivenza di fatto, al fine di disciplinare -anche sotto forma di modifica di una precedente regolamentazione - le modalità di contribuzione ai bisogni e necessità della prole trattandosi di atto espressivo dell'autonomia privata, pienamente lecito nella materia, non essendovi necessità di un'omologazione o controllo giudiziale preventivo.

I giudici di legittimità hanno, invero, chiarito che, in tema di mantenimento dei figli nati da genitori non coniugati, alla luce del disposto di cu all'art. 337-ter c.c., comma 4, anche un accordo negoziale intervenuto tra i genitori non coniugati e non conviventi, al fine di disciplinare le modalità di contribuzione degli stessi ai bisogni e necessità dei figli, è riconosciuto valido come espressione dell'autonomia privata e pienamente lecito nella materia, non essendovi necessità di un'omologazione o controllo giudiziale preventivo. Tuttavia, avendo tale accordo ad oggetto l'adempimento di un obbligo ex lege, l'autonomia contrattuale delle parti assolve allo scopo solo di regolare le concrete modalità di adempimento di una prestazione comunque dovuta ed incontra un limite, sotto il profilo della perdurante e definitiva vincolatività fra le parti del negozio concluso, nell'effettiva corrispondenza delle pattuizioni in esso contenute all'interesse morale e materiale della prole (Cass. civ., sez. I, 11 gennaio 2022, n. 663).

Gli accordi di modifica non possono però avere ad oggetto “diritti indisponibili”, né tantomeno ledere i diritti della prole, cosicché si può ritenere che siano ammissibili gli accordi che modificano i tempi di visita dei figli presso questo o quel genitore, ma che non lo siano quelli che escludono qualsiasi frequentazione tra il figlio e il genitore non collocatario; parimenti possono essere ritenuti validi quegli accordi che modificano le statuizioni patrimoniali ma che non lo siano quelli che escludono qualsivoglia forma di contribuzione di uno dei due genitori; sono sicuramente invalidi poi gli accordi che modificano in senso sostanziale il regime di affido (da condiviso a esclusivo) così come quelli che tendono a cambiare precedenti provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale (es.: accordi che incidono su precedenti provvedimenti con i quali i minori erano stati affidati al Comune oppure era stato disposto un monitoraggio dei Servizi Sociali o la delega ad essi per la determinazione dei tempi di visita).

Si ricorda, sul punto, che tali richieste, non solo non possono essere oggetto di un mero accordo privato ma che il Tribunale, cui i genitori devono necessariamente rivolgersi, deve operare uno stringente controllo sui cambiamenti richiesti, onde verificare, a tutela della prole, che la “revoca” dei provvedimenti ablativi o limitativi della potestà corrisponda all'effettivo interesse della prole coinvolta.

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