Separazione dei beni

Vera Tagliaferri
Francesca Maria Bava
07 Aprile 2015

Il regime patrimoniale della famiglia, in mancanza di diversa convenzione, è costituito dalla comunione dei beni.
Inquadramento

Il regime patrimoniale della famiglia, in mancanza di diversa convenzione, è costituito dalla comunione dei beni.

L'art. 159 c.c., infatti, indica la comunione dei beni come il regime ordinario che vige tra i coniugi al momento del matrimonio in assenza di dichiarazione degli stessi; tale regime può essere derogato o integrato da convenzioni matrimoniali, stipulate in ogni tempo, costitutive di fondo patrimoniale, di comunioni convenzionali o di separazione dei beni.

La separazione dei beni, perciò, non è un regime automatico ed è necessaria, per la sua costituzione, una manifestazione espressa di volontà di entrambi i coniugi, che può avvenire in ogni tempo: prima del matrimonio, durante lo stesso o anche successivamente.

Tale regime, però, può instaurarsi anche giudizialmente, a seguito di una sentenza del Tribunale con cui viene sciolta la comunione dei beni, ovvero in seguito alla richiesta di uno dei coniugi, in caso di inabilitazione dell'altro coniuge, di cattiva amministrazione dei beni in comunione, o quando la cattiva gestione degli affari mette in pericolo gli interessi dell'altro coniuge, o della famiglia e i suoi beni.

Il regime di separazione dei beni può anche instaurarsi automaticamente in seguito a determinate circostanze ben individuate dalla legge, come la separazione personale dei coniugi ex art. 191 c.c., come innovato dalla l. n. 55/2015, ovvero il fallimento di uno dei due.

In evidenza

Il regime di separazione dei beni è un “non-regime”, in quanto rimane completamente inalterata l'indipendenza patrimoniale dei coniugi ed essi restano, nei confronti della titolarità dei beni, nella situazione giuridica in cui si troverebbero se non avessero contratto il vincolo matrimoniale

La separazione dei beni è un regime integrale che disciplina tutti i rapporti patrimoniali tra i coniugi, non lasciando escluso alcun tipo di acquisto.

Nell'ipotesi in cui due coniugi, nella massima espressione di autonomia privata, vogliano un regime di separazione di tipo parziale, che si riferisca cioè solamente ad una parte dei futuri acquisti dei coniugi, (ad esempio ai soli beni immobili), tale regime sarà possibile e lecito ma dovrà essere considerato non come regime di separazione parziale dei beni, ma semplicemente come comunione convenzionale aventi uno specifico oggetto.

Il regime di separazione dei beni non si sottrae in alcun modo all'applicazione del dovere di contribuzione, di cui all'art. 143 c.c.: entrambi i coniugi sono tenuti a contribuire al soddisfacimento dei bisogni della famiglia limitatamente alle capacità economiche a disposizione e il regime di separazione dei beni non costituisce valido motivo per non valorizzare il contributo di entrambi apportato anche mediante attività non remunerative, quali il lavoro casalingo.

Oggetto

La disciplina codicistica della separazione è estremamente scarna, perché rinvia agli ordinari criteri civilistici di circolazione ed amministrazione dei beni.

Oggetto del regime sono i beni acquistati in costanza di matrimonio da parte del singolo coniuge, sia a titolo originario che derivativo.

La titolarità del bene e i conseguenti diritti di godimento e amministrazione del bene spetteranno esclusivamente al coniuge parte acquirente. Di conseguenza il coniuge non acquirente non potrà vantare alcun diritto, nemmeno di godimento, su detti beni.

La scelta del regime di separazione permette in ogni caso ai coniugi, che desiderino acquistare un bene in comunione, di effettuare tale acquisto in comunione ordinaria, secondo le regole di cui agli artt. 1100 ss. c.c.; i coniugi potranno acquistare perciò in quote uguali o diseguali, in base all'effettivo apporto economico nell'acquisto e gestiranno il bene sempre secondo i principi di cui al terzo libro del codice civile.

L'art. 217 c.c. prevede, al secondo e al terzo comma, la facoltà per ciascun coniuge in regime di separazione di conferire all'altro procura per amministrare i propri beni; tale procura, che può essere speciale o generale a seconda del contenuto, viene normalmente qualificata come revocabile, in quanto un conferimento irrevocabile andrebbe a ledere il principio di parità tra i coniugi.

Ad esempio, uno dei coniugi è proprietario di un immobile da prima del matrimonio. Conferisce procura speciale alla gestione di detto immobile, irrevocabile perché anche nell'interesse del mandatario, coniuge ivi residente. La irrevocabilità è limitata al principio rebus sic stantibus, perché certamente non potrà essere più presente l'interesse buono del mandatario, una volta intervenuta una separazione personale fra i coniugi.

La procura fra coniugi per la gestione di beni di godimento familiare è connotata da una forzata gratuità, in adempimento agli obblighi di solidarietà familiare.

Nel caso in cui il mandato sia conferito con obbligo di rendiconto, il coniuge cattivo amministratore non potrà però invocare il dovere di contribuzione come attenuante, ma risponderà solo per dolo o colpa grave nel limite dei frutti percepiti e percepibili con l'ordinaria diligenza. Senza l'obbligo di rendiconto, invece, il coniuge mandatario dovrà restituire i soli frutti esistenti, sul presupposto che la percezione e il godimento siano avvenuti nella normale gestione familiare.

Capacità

La regola generale prevista dal nostro ordinamento è che le convenzioni matrimoniali richiedano la capacità di agire degli stipulanti.

Esistono, però, alcune deroghe alla disciplina generale: l'art. 165 c.c. riconosce al minore autorizzato a contrarre matrimonio la facoltà di stipulare convenzioni matrimoniali con l'assistenza dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale, del tutore o del curatore speciale designato ai sensi dell'art. 90 c.c.. Qualora l'esercente la responsabilità genitoriale opponga un rifiuto, il minore può ricorrere al giudice tutelare ai sensi dell'art. 395 c.c.; nel caso in cui il giudice ritenga il rifiuto ingiustificato, può nominare un curatore speciale che provvederà in sostituzione.

L'inabilitato, ovvero colui contro il quale è stato promosso giudizio di inabilitazione, può, ai sensi dell'art. 166 c.c., stipulare convenzioni matrimoniali con l'assistenza del curatore già nominato, o, qualora questi non sia stato ancora designato, del curatore speciale da nominarsi appositamente.

L'interdetto legale non può stipulare convenzioni; però, poiché egli pur non potendo compiere atti di natura patrimoniale, conserva la capacità di agire relativamente agli atti di natura personale e familiare, si discute se queste vadano stipulate tramite il suo rappresentante legale oppure la rappresentanza sia da escludere perché si tratta di un atto di natura personale. In considerazione del fatto che non ci sono espresse deroghe all'incapacità dell'interdetto legale, è opportuno che sia il tutore debitamente autorizzato a sottoscrivere una convenzione matrimoniale in nome e per conto di questi.

L'interdetto per infermità mentale non ha la capacità di contrarre matrimonio e, quindi, gli è preclusa ogni possibilità di stipulare convenzioni matrimoniali, ex art. 85 c.c..

La costituzione pattizia del regime. Forma e pubblicità

La forma della convenzione con cui i coniugi scelgono il regime di separazione, precedentemente o successivamente alla celebrazione del matrimonio, è quella dell' atto pubblico, a pena di nullità, alla necessaria presenza di due testimoni.

La rigidità formali con cui avviene l'atto pubblico fanno sì che i coniugi riflettano ponderatamente sulla scelta del regime patrimoniale, che oggi ben può essere mutato più di una volta. È da segnalare che le convenzioni matrimoniali poste in essere prima dell'entrata in vigore della l. n. 142/1981 possono essere modificate solo con l'autorizzazione del giudice.

La forma dell'atto pubblico non è richiesta qualora la scelta del regime di separazione sia effettuata contestualmente alla celebrazione del matrimonio perché investita della forma solenne del matrimonio.

La pubblicità avviene in modi distinti a seconda del momento in cui il regime è scelto: se la dichiarazione è contestuale al matrimonio, la pubblicità è ad opera dell'ufficiale celebrante, se invece la convenzione è stipulata avanti al notaio in un momento precedente o posteriore al matrimonio, la pubblicità è compito del notaio.

Gli obblighi di pubblicità del regime patrimoniale di separazione dei beni sono duplici: un primo obbligo derivante dalla sola scelta del regime, ovvero la trascrizione a margine dell'atto di matrimonio, e un secondo obbligo, invece, di pubblicità - circolazione, ovvero la trascrizione presso la competente conservatoria dei registri immobiliari ogniqualvolta nella comunione sciolta sia stato presente un bene immobile.

L'opponibilità ai terzi è data dalla trascrizione a margine dell'atto di matrimonio ai sensi dell'art. 162 comma 4 c.c.. Per ottenere tale trascrizione, il notaio che ha ricevuto la convenzione deve produrre all'ufficiale di Stato Civile del Comune competente una copia conforme dell'atto e una nota di trascrizione contenente l'indicazione della data del contratto, il notaio rogante e le generalità dei contraenti, di modo che tali informazioni vengano riportate a margine dell'atto di matrimonio e possano essere estrapolate dall'estratto per sunto dell'atto stesso.

La trascrizione nei registri immobiliari serve per rendere noto che il bene non è più in comunione legale, ma in comunione ordinaria e perciò ciascun coniuge potrà liberamente disporre della sua quota di comproprietà, secondo le regole del libro terzo.

Nel caso in cui venga effettuato un acquisto in regime di separazione dei beni, la trascrizione nei registri immobiliari dovrà essere fatta dando conto di detto regime. Però tale acquisto sarà opponibile al creditore procedente nei confronti dell'altro coniuge solo se entrambi gli obblighi di pubblicità evidenziati siano stati rispettati, ovvero se sia stato trascritto l'acquisto in separazione e se la scelta del regime patrimoniale di separazione risulti regolarmente annotata a margine dell'atto di matrimonio (Cass. civ., sez. I, 22 gennaio 1986, n. 397).

In evidenza

I coniugi in regime patrimoniale di comunione legale, al fine di effettuare l'acquisto anche di un solo bene in regime di separazione (tale essendo l'eventuale acquisizione in comunione ordinaria, che esige un regime di separazione) sono tenuti a previamente stipulare una convenzione matrimoniale derogatoria del loro regime ordinario, ai sensi dell'art. 162 c.c., sottoponendola alla specifica pubblicità per essa prevista, non essendo al riguardo viceversa sufficiente una più o meno esplicita indicazione contenuta nell'atto di acquisto, posto che questo non viene sottoposto alla pubblicità delle convenzioni matrimoniali, le quali solo conferiscono certezza in ordine al tipo di regime (patrimoniale) cui sono sottoposti gli atti stipulati dai coniugi (Cass., sez. II, 24 febbraio 2004, n. 3647).

Tale orientamento (in contrasto con la tesi tradizionale in base alla quale per escludere un bene - non avente i requisiti di cui all'art. 179 c.c. - dalla comunione legale sarebbe necessario il mutamento preventivo o contestuale del regime patrimoniale nel suo complesso, vd. Cass. 27 febbraio 2003, n. 2954 e Cass., sez. un. civ., 28 ottobre 2009, n. 22755) è stato condiviso anche dal Consiglio Nazionale del Notariato (Studio n. 31-2021/C, Le attuali criticità della comunione legale e la convenzione matrimoniale impeditiva dell'acquisto in comunione, Vera Tagliaferri).

In particolare si ritiene che la necessaria programmaticità delle convenzioni matrimoniali non sia prevista da alcuna effettiva normativa, anzi dalla possibilità, espressamente contemplata, mediante la comunione convenzionale di includere un singolo bene in comunione legale si deve ammettere l'ammissibilità dell'esclusione di un singolo bene, confermata anche dalla disciplina della trascrizione di cui all'art. 2647 c.c. nonché dal secondo comma dell'art. 191 c.c. che prevede espressamente che i coniugi possano sciogliere la comunione limitatamente al bene azienda. Secondo il Consiglio Nazionale del Notariato, la titolarità differenziata fra coniugi in regime di comunione dei beni può crearsi sia in sede di acquisto, dove la volontà negoziale è quella dell'esclusione dalla comunione di ciò che dovrebbe invece entrare all'interno della stessa per effetto dell'operatività del regime legale, sia in sede di vita della comunione, dove la volontà negoziale è quella di estromettere un bene già in comunione assoggettandolo al regime di comunione ordinaria, con la finalità poi di attribuirlo in proprietà personale.

In entrambe le ipotesi lo snodo cruciale sarebbe rappresentato dalla natura della convenzione matrimoniale, elevandola a momento regolativo della vita della famiglia e riducendone la tradizionale portata programmatica. In questo modo la convenzione matrimoniale, supportata dai relativi requisiti di forma (atto pubblico e testimoni), assumerebbe la struttura di negozio regolatore dell'interesse meritevole di tutela dei coniugi e degli uniti a regolare la titolarità dei beni in costanza di matrimonio o di unione civile, mantenendo costante la struttura voluta dal legislatore. La forma, poi, deve essere anche supportata dalla pubblicità e sarà necessario annotare a margine dell'atto di matrimonio la convenzione matrimoniale così sottoscritta, rispettando in tale modo la disciplina delle convenzioni matrimoniali per l'opponibilità a terzi. Non sarà invece necessaria un'apposita trascrizione nei registri immobiliari poiché l'acquisto risulterà effettuato direttamente a favore del coniuge a titolo di bene personale o di entrambi in comunione ordinaria, secondo la scelta negoziale effettuata all'interno dell'atto.

Inoltre, nelle ipotesi di scelta del regime di separazione dopo il matrimonio, si pongono questioni in ordine alla titolarità di beni mobili. Il problema si manifesta pressante se sol si pensa che i coniugi possono stabilire di sciogliere la comunione legale e optare per il regime di separazione dei beni anche dopo decenni di matrimonio. L'art. 219 c.c. riconosce al coniuge la facoltà di provare, con ogni mezzo nei confronti dell'altro, la proprietà esclusiva di un bene; nel caso in cui nessuno dei coniugi possa dimostrare la proprietà esclusiva di un bene, esso è di proprietà indivisa per pari quota di entrambi i coniugi (tale regola vale anche per le somme di denaro; Cass., sez. II, 15 febbraio 2010, n. 3479).

Il secondo comma contiene una presunzione volta a derogare alla regola generale sull'onere della prova in tema di rivendicazione, deroga non necessaria invece per la circolazione degli immobili (Cass., sez. I, 15 novembre 1997, n. 11327).

In assenza di contenzioso fra le parti sarà sempre possibile un atto di scioglimento della comunione con divisione e assegnazione di alcuni o tutti i beni in proprietà esclusiva.

La costituzione automatica del regime. Forma e pubblicità

Diverse sono le situazioni nelle quali la costituzione del regime di separazione dei beni avviene automaticamente in forza di legge.

La separazione giudiziale dei beni instaura automaticamente il regime di separazione dei beni: il comma 4 dell'art. 193 c.c. prevede espressamente che la sentenza che pronunzia la separazione ha l'effetto di instaurare il regime di separazione dei beni; poiché detta sentenza retroagisce al giorno in cui è stata proposta la domanda è possibile ipotizzare che anche gli effetti dello scioglimento della comunione retroagiscano al giorno in cui è stata proposta la domanda, in deroga al principio in forza del quale gli effetti di tale sentenza non possono prodursi se non dal passaggio in giudicato della stessa (Cass., sez. I, 27 febbraio 2001, n. 2844).

Il regime di separazione dei beni si instaura automaticamente ogni qualvolta il Tribunale emetta una sentenza di interdizione o di inabilitazione dell'altro coniuge, di cattiva amministrazione dei beni in comunione, oppure quando la cattiva gestione degli affari metta in pericolo gli interessi dell'altro coniuge, o dei beni in comune o della famiglia. Infine, quando l'altro coniuge non contribuisca ai bisogni della famiglia in misura proporzionale alle proprie sostanze e capacità di lavoro.

Il fallimento di un coniuge o di entrambi produce la cessazione degli effetti della comunione legale e l'instaurarsi ex lege del regime di separazione, dalla data in cui viene dichiarato il fallimento. Nel caso di revoca della dichiarazione di fallimento il regime di comunione legale viene ripristinato.

La dichiarazione di assenza, invece, non instaura il regime di separazione dei beni, pur facendo venir meno la comunione legale, poiché fa cessare gli effetti del matrimonio.

La separazione personale dei coniugi pronunciata giudizialmente è causa di scioglimento della comunione legale: il secondo comma dell'art. 191 c.c., come novellato dalla l. n. 55/2015, prevede espressamente che la comunione si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero dalla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato.

Il novellato art. 191 c.c. si preoccupa inoltre di disciplinare come vada effettuata la pubblicità di tale mutamento di regime: l'ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati è comunicata all'ufficiale dello stato civile ai fini dell'annotazione dello scioglimento della comunione. Purtroppo la norma non dice chi deve effettuare tale comunicazione e nel silenzio normativo si deve ritenere certamente obbligata la Cancelleria, ma potrà effettuare tale comunicazione chiunque sia interessato, ricordando che senza detta annotazione a margine dell'atto di matrimonio lo scioglimento della comunione legale non è opponibile ai terzi.

La separazione di fatto non rileva ai fini dello scioglimento della comunione legale.

In caso di riconciliazione a seguito di separazione personale dei coniugi, si discute se la ricostituzione della comunione legale avvenga automaticamente o se sia necessaria una dichiarazione di volontà dei coniugi. Secondo una tesi, al fine di ricostituire la comunione legale, sarebbe necessaria una convenzione matrimoniale ad hoc, secondo invece un'altra tesi si ripristinerebbe automaticamente la comunione legale. Nell'ambito di tale secondo orientamento si discute se la ricostituzione avvenga con effetti ex tunc, con effetti ex nunc (Cass., 12 novembre 1998, n. 11418) oppure con effetti ex nunc tra i coniugi e con effetto dalla pubblicità ex art. 69 lett. f) d.P.R. n. 396/2000 verso i terzi (Cass., 5 dicembre 2003, n. 18619).

Estinzione del regime di separazione

Il regime patrimoniale della separazione dei beni si estingue, principalmente, in forza di un atto volontario dei coniugi, con il quale essi decidano di passare al regime della comunione legale dei beni o ad un altro regime composito.

La separazione dei beni può venir meno anche a seguito dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio o quando viene dichiarata la morte presunta di un coniuge. Infine, causa di scioglimento del regime è l'avveramento della condizione risolutiva o scadenza del termine apposti alla convenzione stessa.

Casistica

Separazione dei beni e rifiuto del coacquisto: la causa di esclusione dalla comunione deve effettivamente sussistere e non basta una dichiarazione in tal senso effettuata dai coniugi

Nel caso di acquisto di un immobile effettuato dopo il matrimonio da uno dei coniugi in regime di comunione legale, la partecipazione all'atto dell'altro coniuge non acquirente, prevista dall'art. 179 c.c., comma 2, si pone come condizione necessaria ma non sufficiente per l'esclusione del bene dalla comunione, occorrendo a tal fine non solo il concorde riconoscimento da pare dei coniugi della natura personale del bene, richiesto esclusivamente in funzione della necessaria documentazione di tale natura, ma anche l'effettiva sussistenza di una delle cause di esclusione della comunione tassativamente indicate dall'art. 179 comma 1, lett. c), d) ed f) c.c. (Cass. 12 maggio 2015, n. 9637).

“... la partecipazione all'atto dell'altro coniuge non acquirente, prevista dall'art. 179, comma 2, c.c. si pone come condizione necessaria ma non sufficiente per l'esclusione del bene dalla comunione, occorrendo a tal fine non solo il concorde riconoscimento da parte dei coniugi della natura personale del bene, richiesto esclusivamente in funzione della necessaria documentazione di tale natura, ma anche l'effettiva sussistenza di una della cause di esclusione dalla comunione tassativamente indicate dall'art. 179 c.c., comma 1, lett. c), d) ed f), con la conseguenza che l'eventuale inesistenza di tali presupposti può essere fatta valere con una successiva azione di accertamento negativo, non risultando precluso tale accertamento dal fatto che il coniuge non acquirente sia in intervenuto nel contratto per aderirvi”. (Cass., 12 marzo 2019, n. 7027 conforme a Cass., sez. un. 28 ottobre 2009, n. 22755; Cass., 2 febbraio 2012, n. 1523; Cass., 14 maggio 2018, n. 11668).

“In regime di comunione legale, la partecipazione alla stipula del coniuge formalmente non acquirente e l'eventuale dichiarazione di assenso, da parte sua, all'intestazione personale del bene, immobile o mobile registrato, all'altro coniuge, non hanno efficacia negoziale o dispositiva, sotto forma di rinuncia, del diritto alla comunione incidentale sul bene acquisendo, nè sono elementi di per sé sufficienti ad escludere l'acquisto dalla comunione, ma hanno carattere ricognitivo degli effetti della dichiarazione, resa dall'altro coniuge, circa la natura personale del bene, se ed in quanto questa oggettivamente sussista, atteso che il secondo comma dell'art. 179 c.c. è norma limitativa dei casi di esclusione della comunione risultanti dalle lett. c), d) ed f) del primo comma dello stesso articolo, nel senso che essa, al fine di escludere la comunione legale, richiede, in caso di acquisto di un bene immobile o di un bene mobile registrato, oltre ai requisiti oggettivi previsti dalle citate lett. c), d) ed f), che detta esclusione risulti espressamente dall'atto di acquisto, allorché l'altro coniuge partecipi al contratto. Da ciò consegue che, ove tale natura personale del bene manchi (e tale mancanza si ha allorché il bene, senza essere di uso strettamente personale o destinato all'esercizio della professione del coniuge, venga acquistato con danaro del coniuge stesso, ma non proveniente dalla vendita di beni personali), la caduta in comunione legale non è preclusa dalle dette partecipazione e dichiarazione, tanto più che, nella pendenza di tale regime, il coniuge non può rinunciare alla comproprietà di singoli beni acquistati durante il matrimonio (e non appartenenti alle categorie elencate nel primo comma dell'art. 179 c.c.), salvo che sia previamente o contestualmente mutato, nelle debite forme di legge e nel suo complesso, il regime patrimoniale della famiglia. (Cass., 27 febbraio 2003, n. 2954).

Scioglimento della comunione legale e conto corrente cointestato: può proseguire in comunione ordinaria

Oggetto della comunione residuale da ripartire tra i coniugi è esclusivamente l'importo non consumato esistente al momento della cessazione del regime di comunione legale.

Poiché nel caso specifico le parti avevano di fatto mantenuto il conto corrente cointestato, facendo confluire sullo stesso altri redditi personali, maturati posteriormente allo scioglimento della comunione, la regola da applicare ai rapporti interni tra correntisti è quella di cui all'art. 1298 comma 2 c.c. in base al quale, in mancanza di prova contraria, le parti di ciascuno si presumono uguali, sicché ciascun cointestatario, anche se avente facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, nei rapporti interni non può disporre in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito dell'altro, della somma depositata in misura eccedente la quota parte di sua spettanza, e ciò sia in relazione al saldo finale del conto, sia all'intero svolgimento del rapporto (Cass. 17 aprile 2015, n. 7915)

Acquisto di bene personale e denari di provenienza donativa

L'art. 179 lett. b) c.c. esclude dalla comunione i beni personali di uno dei due coniugi acquisiti dopo il matrimonio per effetto di donazione. Tale donazione può essere indiretta ovvero consistere nell'elargizione dell'importo necessario all'acquisto del bene da non ricomprendere nella comunione legale. Perché ricorra la deroga al regime ordinario della comunione legale è necessario che sia dimostrata la provenienza da un terzo donante del corrispettivo necessario all'acquisto e che tale elargizione sia stata fatta a tale specifico fine (Cass. 7 maggio 2015, n. 9194)

Sommario