Abbandono di minori o incapaci

27 Marzo 2024

Inserito nel capo «Dei delitti contro la vita e l'incolumità individuale», il reato previsto e punito dall'art. 591 c.p. («Abbandono di persone minori o incapaci») è stato oggetto di approfondite riflessioni dottrinarie e di interventi giurisprudenziali – di merito e di legittimità – che hanno contribuito a circoscriverne la portata.

Inquadramento

Inserito nel capo «Dei delitti contro la vita e l'incolumità individuale», il reato previsto e punito dall'art. 591 c.p. («Abbandono di persone minori o incapaci») è stato oggetto di approfondite riflessioni dottrinarie e di interventi giurisprudenziali – di merito e di legittimità – che hanno contribuito a circoscriverne la portata.

Qualsiasi riflessione in ordine al reato qui in esame, non può che partire da una sommaria analisi del testo letterale della disposizione normativa. Essa punisce «chiunque abbandona una persona minore degli anni 14, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura» con la pena da 6 mesi a 5 anni di reclusione (comma 1). È punito con la stessa pena «chi abbandona all'estero un cittadino italiano minore degli anni 18, a lui affidato nel territorio dello Stato per ragioni di lavoro» (comma 2). Infine, gli ultimi due commi prevedono altrettante circostanze aggravanti, qualora dalla condotta derivino lesioni (pena da uno a 6 anni di reclusione) o morte (pena da 3 a 8 anni di reclusione), e qualora il soggetto attivo sia un genitore, un figlio, un tutore, il coniuge, o dall'adottante o dall'adottato.

A seguito dell'approvazione della l. n. 76/2016, in materia di unioni civili e di convivenze di fatto, sembra che l'aggravante di cui al quarto comma debba ritenersi integrata anche nel caso in cui il reato sia compiuto da una parte dell'unione civile nei confronti dell'altra.

Oggetto tutelato

Per chiarire quale sia l'interesse tutelato dalla norma, può essere utile richiamare la

classificazione operata dal legislatore, che ha inserito il reato de quo nel capo dedicato ai delitti contro la vita e contro la incolumità individuale. In un senso ancora più circoscritto si è pronunciata anche la Corte di cassazione, che ha parlato di «valore etico-sociale della sicurezza della persona fisica contro determinate situazioni di pericolo» (così Cass., sez. V pen., 2 maggio 2016, n. 44089).

In un'ottica complessiva, pare quindi potersi sostenere che la norma non si limiti, in via generica, a tutelare la vita o l'incolumità individuale (come si vedrà, infatti, qualora la volontà del soggetto agente sia quella di abbandonare un minore o un incapace al fine di cagionare morte o lesioni, il fatto andrà correttamente inquadrato nelle previsioni degli artt. 575 c.p., omicidio, o art. 582 c.p., lesione personale), bensì il diritto del soggetto passivo aessereoggettodiunprecisoobbligodisolidarietàsociale,in considerazionedellasuaposizionedidebolezzaall'internodelsistema.

Soggetti attivi

È opinione diffusa che la fattispecie qui analizzata sia un reato proprio, dal momento che l'espressione «chiunque», utilizzata dal legislatore nell'incipit dell'articolo, è un termine ellittico ed omette di circoscrivere il novero dei soggetti attivi, dovendo invece desumersi dall'analisi complessiva dell'articolo.

Non v'è dubbio che, affinché sussista il reato in esame relativamente a «una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a sé stessa», il soggetto attivo debba avere con tale persona un rapporto di custodia o di cura; non è chiaro, tuttavia, se tale rapporto debba sussistere o meno anche per il minore infraquattordicenne. Il problema è chiarire la portata del pronome relativo «della quale»: si riferisce solo alla «persona incapace» oppure anche alla «persona minore degli anni quattordici»? La giurisprudenza ritiene corretta la prima interpretazione, assumendo che l'incapacità del minore infraquattordicenne sia da presumersi in via assoluta e che quindi l'obbligo di protezione del minore di anni 14 sussista sempre, anche quando tra esso e il soggetto attivo vi sia un rapporto di mero fatto.

Va inoltre rilevato che la “custodia” comporta la sorveglianza diretta e immediata anche se solo momentanea senza alcun obbligo di convivenza nei confronti di soggetti che ne abbiano bisogno. Col termine “cura” si indicano invece quelle prestazioni e quelle cautele necessarie a soggetti che si trovano in circostanze particolari. La giurisprudenza ha in proposito specificato che il dovere di custodia implica una relazione tra l'agente e la persona offesa che può sorgere non solo da obblighi giuridici formali, ma anche da una sua spontanea assunzione da parte del soggetto attivo nonché dall'esistenza di una mera situazione di fatto, tale per cui il soggetto passivo sia entrato nella sfera di disponibilità e di controllo dell'agente, in ciò differenziandosi dal dovere di cura, che ha invece unicamente ad oggetto relazioni scaturenti da valide fonti giuridiche formali (Cass. pen. sez. V, 03 febbraio 2021, n.18665).

Si ha inoltre affidamento ogni volta in cui tra il minore e il soggetto agente, sussista un rapporto di dipendenza e, quindi, fiduciario, anche temporaneo, fondato, in questo caso, su motivi di lavoro.

Soggetti passivi

Problemi sono sorti in ordine all'individuazione dei soggetti passivi. Nulla quaestio per i minori di anni 14 (comma 1) e per i minori di anni 18 affidati per ragioni di lavoro (comma 2), visto che in tal caso la norma non è fraintendibile.

Si ritiene che il legislatore riconosca la fragilità implicita al minore che non ha compiuto i 14 anni, fragilità che non richiede accertamenti giudiziari e prescinde dunque da valutazioni sulle condizioni psicofisiche. Ciò fa nascere un dovere di protezione in capo a tutti coloro che entrano in contatto con questo soggetto, dai genitori ai parenti fino agli insegnanti ma anche ad altri soggetti in grado di rilevare la situazione di "abbandono" del minore.

Per quanto riguarda invece le persone incapaci, al giudice procedente si impone un'analisi in concreto, caso per caso, in ordine alla sussistenza o meno dell'incapacità, che non può essere presunta in alcun caso non solo per quanto riguarda la vecchiaia (si veda ancora Cass. pen., sez. V, 9 aprile 1999, n. 6885, per la quale «il dovere di cura e di custodia deve essere raccordato con la capacità, ove sussista, di autodeterminazione del soggetto anziano». Si veda anche), ma anche per quanto riguarda la malattia e, più genericamente, le «altre cause» di cui parla la norma. Nei casi in cui il soggetto passivo sia un diversamente abile, l'art. 36, comma 1, l. 5 febbraio 1992, n. 104 prevede un'aggravante del reato base, con un aumento di pena da un terzo e fino alla metà.

Elemento oggettivo

Va rilevato come l'elasticità dei concetti di abbandono e di incapacità, così come formulati dalla norma, ha

permesso alla giurisprudenza di merito e di legittimità di interpretare ed adeguare la disposizione ai soggetti e alle situazioni più svariate.

  •  Nozione di abbandono. Per la Cassazione, è da ritenersi condotta abbandonica «qualunque azione o omissione contrastante con il dovere giudico di cura (o di custodia) che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumità del soggetto passivo»( Cass. pen., sez. V, 21 ottobre 2021, n.44657; Cass. pen., sez. V., 17 gennaio 2022, n. 1780). Di conseguenza, la condotta può integrarsi anche qualora il soggetto attivo non si allontani fisicamente dalla vittima (Cass. pen., sez. II, 6 dicembre 2012, n. 10994, da cui la citazione riportata, e Cass. pen., sez. I, 15 gennaio 2009, n. 5945).

  • Sull'incapacità, sia consentito rimandare supra, al paragrafo “Soggetti passivi”;

  • Rapporto di cura o di custodia. Non rileva in alcun modo il titolo giuridico da cui derivino gli obblighi di cura e di custodia, dovendoli ritenere fondati a titolo derivativo

(ossia sulla volontà negoziale delle parti: è il caso del contratto, tipico o atipico), o a titolo originario (ossia sulla legge). Parte della dottrina sostiene che si possa parlare di obbligo di custodia (ma non di cura) anche nel caso di relazione meramente fattuale, quando cioè il soggetto attivo «ha la custodia del soggetto passivo» (così Basile F., Il delitto di abbandono di persone minori o incapaci, Giuffrè, 2008).

Va specificato che, qualora l'agente non abbia già in custodia o in cura l'incapace o il minore, non risponderà del reato qui in commento, potendosi al più configurare, qualora sia comunque legalmente tenuto alla cura o alla custodia del soggetto passivo, un altro tipo di reato (per esempio la violazione degli obblighi di assistenza familiare ex art. 570 c.p.,

qualora la moglie si rifiuti di accogliere il marito, affetto da sclerosi multipla, dimesso poco prima dall'ospedale e accompagnato presso la sua abitazione dal fratello e da un amico;

cfr. Cass. pen., sez. V, 19 maggio 1995, n. 7003);

Infine, per la consumazione del reato occorre che si crei una situazione di pericolo anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumità del soggetto passivo (Cass. pen. sez. II, 14 settembre 2022, n. 38374)

Elemento soggettivo

Per l'integrazione del reato in discussione è sufficiente il dolo generico, consistente nella

consapevolezza di abbandonare il minore di anni 14 o la persona incapace (comma 1), o il minore di anni 18 (comma 2), in un contesto di pericolo per la sua integrità fisica e di cui si abbia percezione. Non è richiesta la sussistenza di un particolare malanimo da parte del reo (Cass. pen., sez. II, 6 dicembre 2012, n. 10994). Tuttavia, in questo senso parte della giurisprudenza di legittimità ritiene che ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo rilevi esclusivamente la volontà dell'abbandono, «sicché il dolo non è escluso dal fatto che chi ha l'obbligo di custodia ritenga il minore in grado di badare a se stesso» (Cass. pen., sez. V, 8 gennaio 2009, n. 9276).

È certamente da escludersi il dolo nel caso in cui il soggetto attivo non si rappresenti, nemmeno in via potenziale, la situazione di danno o pericolo in cui potrebbe incorrere l'abbandonato.

Si sostiene inoltre che la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di abbandono d'incapace è evidente per i soggetti conviventi con la persona offesa e pertanto perfettamente consapevoli dei rischi connessi alle gravi condizioni cognitive del soggetto che nonostante ciò abbiano posto in essere una condotta omissiva nell'assistenza della vittima (Trib. Napoli sez. V, 2 novembre 2021, n.9141)

Infine, va specificato che l'abbandono di persone minori o incapaci è ritenuto un reato a dolo permanente: i termini prescrizionali inizieranno quindi a decorrere o dal momento in cui cessa la condotta abbandonica e il soggetto attivo inizia (o torna) a prendersi cura del minore o dell'incapace, o dal momento in cui intervenga un soggetto esterno che ponga fine alla condotta criminosa.

Rapporti con altri reati/circostanze

Limitatamente al rapporto tra il reato di abbandono di minori o incapaci ex art. 591 c.p. e il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, si veda supra, paragrafo “Elemento oggettivo”.

Per quanto riguarda il rapporto con l'omicidio, l'infanticidio e le lesioni personali, la distinzione che va effettuata deve prendere le mosse dal diverso elemento psicologico. Nel caso del reato oggetto della presente trattazione, l'elemento soggettivo è costituito dalla coscienza e volontà di abbandonare il minore, con la consapevolezza dei potenziali pericoli, conseguenti al suo stato di incapacità di difesa o di percezione dei

pericoli, a cui resterebbe esposto. Nel caso dell'omicidio, dell'infanticidio o delle lesioni, vi sono invece la volontà e la consapevolezza di cagionare la morte o le lesioni (cfr. Cass. pen., sez. I, 18 dicembre 1991, n. 2269), e il reato di abbandono deve ritenersi assorbito da quello ex artt. 575 (omicidio), 578 (infanticidio) o 582 (lesione) c.p. dal momento che la condotta è finalizzata all'ottenimento di un altro scopo che non sia quello meramente abbandonico.

In questo senso, va escluso che le previsioni del terzo comma dell'articolo («La pena è della reclusione da uno a sei anni se dal fatto deriva una lesione personale, ed è da tre a otto anni se ne deriva la morte») costituiscano fattispecie autonome di reato. Sono, infatti, esclusivamente circostanze aggravanti, ed è da escludersi l'applicabilità del reato di abbandono qualora il soggetto attivo, al momento del commesso delitto, si configurasse l'esito letale o lesivo della sua condotta: in tal caso, infatti, si ricadrebbe nelle ipotesi di cui agli artt. 575 (omicidio) o 582 (lesioni personali) c.p., imputabili a titolo quantomeno di dolo eventuale. In accordo con la giurisprudenza di legittimità, resta scontato che l'evento aggravatore della morte si pone in un rapporto di «concausa con la condizione patologica della parte lesa», che deve trovarsi, quale presupposto del reato aggravato, nelle condizioni previste dal primo comma dell'articolo in commento, ossia in uno stato di «malattia di mente o di corpo» o di «vecchiaia», tale da non poter provvedere a se stessa (cfr. Cass. pen., sez. I, 15 gennaio 2009, n. 5945).

Infine, si sostiene che tra i reati di maltrattamenti in famiglia e di abbandono di persone minori o incapaci esistono differenze strutturali ed eziologiche tali fa consentire il concorso tra figure di reato. In particolare, sotto il profilo del bene giuridico tutelato, oltre all'incolumità fisica e psichica del soggetto passivo i maltrattamenti tutelano anche la personalità nello svolgimento di un rapporto fondato su vincoli familiari. Sotto il profilo materiale, invece, la prima ipotesi risulta integrata dalla condotta di programmatici e continui maltrattamenti psico-fisici ai danni di persone di famiglia o comunque conviventi, l'altra dall'abbandono ingiustificato di un soggetto incapace di provvedere a sé stesso e che si abbia l'obbligo giuridico di custodire, che lo esponga ad un pericolo anche solo potenziale (Cass. pen. sez. VI, 20 ottobre 2021, n.3661).

Profili processuali

La competenza per giudicare il reato in esame è del tribunale monocratico, adesclusione della seconda ipotesi del terzo comma (morte del soggetto passivo), nel qual caso è competente la corte d'assise.

Il reato è sempre procedibile d'ufficio. L'arresto è facoltativo, e il fermo è consentito solo se dalla condotta del reo derivi la morte del soggetto passivo.

Casistica

Elemento soggettivo

Il dolo del delitto di abbandono di persone minori o incapaci è generico e può assumere la forma del dolo eventuale quando si accerti che l'agente, pur essendosi rappresentato, come conseguenza del proprio comportamento inerte, la concreta possibilità del verificarsi di uno stato di abbandono del soggetto passivo, in grado di determinare un pericolo anche solo potenziale per la vita e l'incolumità fisica di quest'ultimo, persiste nella sua condotta omissiva, accettando il rischio che l'evento si verifichi, ovvero in caso di condotta attiva, è richiesta la consapevolezza di abbandonare a se stesso il soggetto passivo che non abbia la capacità di provvedere alle proprie esigenze, in una situazione di pericolo per la sua integrità fisica, anche in assenza di un particolare malanimo da parte del reo (Cass. pen., sez. V, 11 ottobre 2023, n.4557).

Pericolo

Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 591 c.p., la condotta di "abbandono" è integrata da qualunque azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumità del soggetto passivo (fattispecie in cui la Corte ha ritenuto sussistente il reato con riguardo alla condotta due imputati che, in qualità di badanti, avevano lasciato sola, per qualche ora, la donna anziana a loro affidata). (Cass. pen. sez. II, 14 settembre 2022, n.38374)

Elemento materiale

Non integra il delitto di cui all'art. 591 c.p. la condotta del direttore amministrativo di una residenza sanitaria assistenziale (R.S.A.) – sul quale grava soltanto un dovere di custodia delle persone incapaci, per malattia mentale, di provvedere a se stesse – che abbia adottato le misure organizzative e strutturali compatibili con le finalità meramente assistenziali della struttura e non anche più penetranti misure di contenzione “meccanica”, non essendo queste previste né consentite dalla normativa di settore, che riflette l'abbandono del modello cd. “custodialistico” nella cura dei malati psichiatrici. (Fattispecie relativa al suicidio di un ospite della struttura assistenziale affetto da psicosi cronica, nella quale la Corte, ha annullato senza rinvio, per insussistenza del fatto, la condanna dell'imputato che aveva intensificato la sorveglianza dell'ospite, lo aveva ripetutamente inviato al Pronto soccorso, in occasione di pregressi episodi autolesionistici, e aveva più volte sollecitato la rivalutazione del quadro clinico e della risposta assistenziale più adeguata.Cass. pen., sez. V, sent., 17 dicembre 2018, n. 50944)

In tema di abbandono di persone minori o incapaci, il dovere di custodia implica una relazione tra l'agente e la persona offesa che può sorgere non solo da obblighi giuridici formali, ma anche da una sua spontanea assunzione da parte del soggetto attivo nonché dall'esistenza di una mera situazione di fatto. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza con la quale era stata affermata la responsabilità dell'imputato che aveva lasciato in abbandono la madre incapace, con lui convivente, omettendo di richiedere l'intervento di soggetti esterni in grado di evitare l'insorgere di un pericolo per l'incolumità della donna ed impedendo a chiunque altro l'accesso all'ambiente domestico, Cass. pen. sez. V, 03 febbraio 2021, n.18665)

Incorre nell'imputazione per il reato p. e p. dall'art. 591 c.p. la prevenuta che, in qualità di moglie, abbandonava l'anziano marito incapace di provvede a sé stesso e di cui doveva avere cura (Trib. Ascoli Piceno sez.pen. sent. 1 luglio 2021 n. 366)

L'elemento oggettivo del reato di abbandono di persone minori o incapaci, di cui all'art. 591 c.p., è integrato da qualsiasi condotta, attiva od omissiva, contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia), gravante sul soggetto agente, da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumità del soggetto passivo (confermata la condanna per l'imputata che in quattro diverse occasioni aveva abbandonato i propri figli minori, lasciandoli, soli ed addormentati, nella propria autovettura parcheggiata, in ora notturna, all'esterno di alcuni locali di pubblico divertimento, ove ella si era recata per trascorrere la serata, Cass . pe n. sez. V, 21 ottobre 2021, n. 44657).