Affidamento condiviso

Gabriella Contiero
Andrea Conti
04 Novembre 2022

L'affidamento condiviso dei figli minori nell'ambito delle procedure di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ed all'esito dei procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati è stato introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento dalla l. 8 febbraio 2006, n. 54 ed è attualmente disciplinato dal Libro I, Titolo IX, Capo II, c.c.
Inquadramento

* Bussola aggiornata da A. Conti

L'affidamento condiviso dei figli minori nell'ambito delle procedure di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ed all'esito dei procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati è stato introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento dalla l. 8 febbraio 2006, n. 54 ed è attualmente disciplinato dal Libro I, Titolo IX, Capo II, c.c.

Prima di analizzare nel dettaglio la disciplina dell'affidamento, occorre notare come la disciplina dell'affidamento dei minori in occasione della fase patologica del rapporto di coppia dimostra come il vero baricentro assiologico della normativa siano i figli: indipendentemente dalle cause e dalle modalità con cui si disgrega il rapporto di coppia esistente tra i genitori, la normativa vigente impone di coniugare alla dissolubilità del rapporto orizzontale l'indissolubilità del rapporto verticale. In altri e più prosaici termini, si può cessare di essere partner, ma non di essere genitori.

Inoltre, occorre precisare che – come suggerisce la rubrica del Capo II del Titolo IX del Libro I del codice civile – la disciplina dettata in punto di affidamento risulta articolata in modo che venga garantito il principio dell'unicità dello status di figlio. Infatti, le modalità ed i contenuti dell'affidamento non differiscono in relazione alla tipologia di legame esistente tra i genitori. Tuttavia, occorre evidenziare che, almeno attualmente, persiste una difformità in punto di regime processuale: se l'affidamento dei minori trova necessariamente una regolamentazione giurisdizionale nel caso di genitori legati in matrimonio – posto che il vincolo matrimoniale può essere sciolto solo a seguito dell'intervento dell'Autorità Giudiziaria – nelle ipotesi in cui i genitori non siano coniugati, l'intervento dell'Autorità Giudiziaria in punto di affidamento appare del tutto eventuale e rimesso alla libera determinazione dei genitori. Pertanto, pur esistendo una omogeneità di trattamento in sede giudiziale, permane una difformità nell'accesso alla tutela giurisdizionale.

La norma cardine in punto di affidamento è rappresentata dall'art. 337-ter c.c., il quale – sulla scorta del principio della bigenitorialità (comma 1) – prescrive che, avendo sempre come obiettivo la tutela e la concretizzazione dell'interesse morale e materiale del minore (ovvero il c.d. best interest of the child), l'Autorità Giudiziaria valuta prioritariamente la possibilità che i figli restino affidati ed entrambi i genitori. Ne consegue che l'affidamento condiviso deve essere considerato quale regola generale da disattendere solo in casi assolutamente eccezionali, ossia quando sia inequivocabilmente dimostrato che l'affidamento bigenitoriale possa costituire pregiudizio agli interessi ed al benessere psico-fisico della prole. Da ciò deriva che l'affidamento esclusivo e l'affidamento a terzi devono essere considerati rimedi residuali. Tuttavia, va notato che il Giudice non è chiamato a valutare la maggiore idoneità ai compiti educativi di uno dei genitori, bensì è tenuto a considerare se sussiste l'inidoneità educativa del genitore, ammettendo solo in tali casi l'esclusione della condivisione dell'affidamento del minore (cfr. Cass., 6535/2019; Cass., 27346/2022 e Cass., 21425/2022 ove si legge che l'affidamento esclusivo può essere applicato laddove risulti pregiudizievole per l'interesse del minore con la duplice conseguenza che l'eventuale pronuncia di affidamento esclusivo dovrà essere sorretta da una motivazione non solo più in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa ovvero manifesta carenza dell'altro genitore).

In evidenza

L'affidamento condiviso dei figli minori viene considerato dalla giurisprudenza consolidata in termini di regola generale da disattendere solo in casi eccezionali in cui siano evidenti l'inidoneità e l'inadeguatezza di uno dei genitori

Il diritto alla bigenitorialità

L'art. 337-ter c.c. statuisce il diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore e a ricevere da entrambi i genitori cura, educazione, istruzione e assistenza morale. Si tratta di una disposizione di fondamentale importanza soprattutto in quanto attribuisce e riconosce al minore il diritto alla bigenitorialità, nonostante la crisi della coppia genitoriale. Quest'ultima statuizione è di primaria rilevanza e, anche se di primo acchito può apparire scontata, va detto che il principio in essa contenuto, coniato per la prima volta dalla l. 54/2006, aveva necessità di essere espressamente sancito in una disposizione normativa al fine di richiamare i genitori separati, divorziati o al termine di una convivenza more uxorio al dovere di continuare ad essere genitori e di elaborare e rispettare un progetto genitoriale sinergico nel supremo interesse dei figli in grado di superare le inevitabili difficoltà connesse all'assenza della convivenza e alla conflittualità.

Si può indubbiamente affermare che il diritto del minore alla bigenitorialità costituisca e rappresenti l'essenza stessa dell'affidamento condiviso che è stato disciplinato come scelta da valutare in via prioritaria proprio al fine specifico di garantire alla prole minorenne il diritto di continuare ad avere, non solo nominalmente, ma anche tangibilmente e concretamente un rapporto costante con entrambi i genitori a prescindere dal dissolvimento del legame sussistente tra questi ultimi.

Modalità e tempi di frequentazione

L'art. 337-ter, comma 2, c.c. statuisce che il giudice debba stabilire i tempi e le modalità della presenza dei figli minori presso ciascun genitore. Si tratta decisamente di una norma di amplissima elasticità e non poteva, peraltro, essere diversamente, posto che ogni caso sottoposto al vaglio dell'Autorità Giudiziaria rappresenta un universo a sé stante e non è in alcun modo possibile statuire regole generalmente valide. In argomento va tuttavia evidenziato un dato di fatto incontrovertibile, valido per ogni contesto familiare: l'affidamento condiviso non impone e non prevede, ai fini della sua attuazione pratica, una matematica suddivisione dei tempi di permanenza del minore con ciascun genitore. Benché, infatti, il figlio minorenne abbia il diritto di trascorrere tempi di durata sostanzialmente analoga con ciascun genitore, è evidente che ciò che deve essere salvaguardata e perseguita è soprattutto la qualità del tempo rispetto alla quantità dello stesso. Infatti, secondo la più attenta e recente giurisprudenza, il giudice può regolare la tempistica della frequentazione genitore-figlio partendo dall'esigenza di garantire al minore la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena, tenendo conto, da un lato, del suo diritto a una significativa relazione anche con il genitore non convivente, dall'altro del diritto di entrambi i genitori a una piena realizzazione della loro relazione con i figli e all'esplicazione del loro ruolo educativo (cfr., da ultimo, Cass., 19323/2020; Cass., 17221/2021 e Cass., 4790/2022). Nella regolamentazione delle tempistiche di frequentazione tra il minore ed il genitore non collocatario dovranno essere anche tenuti in considerazione i bisogni del minore anche legati all'età (cfr. Cass., 273/2014 e Cass., 19594/2011): si tratta, ancora una volta, dell'applicazione del principio generale del best interest of the child in forza del quale – come ricorda l'art. 337-ter, comma 1, c.c. – ogni decisione deve avere come scopo ed obiettivo la tutela e la salvaguardia degli interessi del minore. Pertanto, anche la regolamentazione dei rapporti tra figlio minorenne, genitore collocatario e genitore non collocatario deve avvenire cercando, da un lato, di mantenere anche nella fase successiva alla rottura del rapporto di coppia dei genitori, un assetto di vita familiare conforme il più possibile allo status quo ante e, dall'altro lato, di garantire che la vita del minore e la sua serenità non vengano eccessivamente turbate e poste in crisi dalle scelte di vita ascrivibili unicamente ai genitori.

Ciò doverosamente premesso, anche nell'affidamento condiviso il minore avrà collocazione prevalente e residenza presso uno solo dei genitori (Cass., 18131/2013), che dovrà essere individuato tenendo conto della soluzione che risponda al superiore interesse del minore, anche considerando le consuetudini di vita acquisite (cfr. Cass., 13619/2010) e la rete affettiva e relazione creata dal minore. In linea generale secondo l'orientamento più che consolidato della giurisprudenza, il genitore con cui il minore risiederà prevalentemente sarà assegnatario della casa familiare. Infatti il provvedimento di assegnazione può essere adottato dal giudice solo ed esclusivamente al fine di garantire ai figli minori e a quelli maggiorenni senza colpa non economicamente autonomi la permanenza nell'habitat in cui sono nati e cresciuti, tanto è vero che, in assenza di prole cui confermare tale diritto abitativo, il giudice non può e non deve disporre alcunché in merito alla sorte della casa coniugale (cfr. Cass., 16649/2014: Cass., 1491/2011 e Cass., 3934/2008).

Affidamento condiviso e conflittualità tra genitori

L'affidamento condiviso rappresenta la modalità di affidamento più complessa e difficile da realizzare in quanto presuppone ed impone che i genitori collaborino sinergicamente e quotidianamente alla ideazione ed attuazione del progetto bigenitoriale, nonostante il loro rapporto di coppia si sia dissolto.

Tale fine, che è di per sé già di complessa attuazione nell'ambito della famiglia unita, rischia di divenire particolarmente ostico, se non irrealizzabile, laddove la coppia genitoriale in crisi sia connotata da un elevato livello di conflittualità. Ovviamente per conflittualità destinata ad incidere sull'affidamento bigenitoriale non si devono intendere i dissapori e le dispute che caratterizzano inevitabilmente la quasi totalità delle procedure di separazione e divorzio nella loro fase iniziale, bensì il conflitto aspro, continuo, esasperato ed insuperabile anche dopo parecchio tempo. Laddove la coppia genitoriale sia interessata da tale tipo e livello di conflittualità, appare decisamente inverosimile che la medesima sia in grado di superare tale situazione per svolgere sinergicamente il ruolo genitoriale come richiede l'affidamento condiviso. È, invece, molto probabile che il conflitto di coppia si amplifichi e si aggravi proprio nello svolgimento del ruolo genitoriale a discapito della prole minorenne che viene ad essere direttamente coinvolta nelle problematiche personali dei genitori con evidente pregiudizio dei diritti e del benessere psico-fisico della stessa. Ciononostante la giurisprudenza maggioritaria si è espressa e si esprime nel ritenere che una conflittualità genitoriale conclamata, anche se caratterizzata da comportamenti di reciproche accuse, non vada ritenuta di per sé ostativa alla disposizione dell'affidamento condiviso della prole. Infatti, la Suprema Corte di Cassazione (cfr. Cass., 6535/2019; Cass., 7477/2014; Cass. 5108/2012; Cass., 21591/2012; e Cass., 16593/2008), ha precisato che la mera conflittualità riscontrata tra i genitori non preclude al ricorso al regime preferenziale dell'affidamento condiviso dei figli ove si mantenga nei limiti di un tollerabile disagio per la prole, mentre può assumere connotati ostativi alla relativa applicazione, ove si esprima in forme atte ad alterare e a porre in serio pericolo l'equilibrio e lo sviluppo psico-fisico dei figli e dunque tali da pregiudicare il loro interesse. Tale opzione interpretativa è seguita anche dalla più recente giurisprudenza di merito (cfr., da ultimo, C.A. Firenze, 8 aprile 2022, n. 668 e Trib. Genova, 29 aprile 2022 ove si legge che diversamente ragionando, l'affidamento condiviso avrebbe una applicazione solo residuale, mentre il figlio ha diritto a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori e di ricevere cura ed educazione da entrambi).

L'esercizio della responsabilità genitoriale nell'affidamento condiviso

La modalità di affidamento stabilita dal Giudice all'esito di un procedimento che prenda atto della crisi del rapporto personale esistente tra i genitori incide necessariamente sulle modalità di esercizio della responsabilità genitoriale.

Sul punto l'art. 337-ter, comma 3, c.c., regolando l'affidamento condiviso, sancisce che la responsabilità genitoriale debba essere esercitata da entrambi i genitori e che le decisioni di maggiore interesse relative alla prole concernenti l'istruzione, l'educazione, la salute e la scelta della residenza abituale del minore debbano essere assunte di comune accordo tenendo in considerazione le capacità, l'inclinazione naturale e le aspirazioni dei figli. Dalla lettura della norma, emerge, come confermato anche dal prevalente orientamento di legittimità, che il baricentro di ogni decisione riguardante i figli debba essere il minore tanto che le decisioni riguardanti i figli non devono tenere conto degli interessi dei genitori, ma esclusivamente di quelli della prole (Cass., 6132/2015).

L'esercizio congiunto della responsabilità genitoriale può dare vita a notevoli problematiche e difficoltà soprattutto laddove l'affidamento condiviso della prole sia stato disposto nella permanenza di un'elevata conflittualità genitoriale. È, infatti, impensabile che laddove una coppia sia in aperto e conclamato contrasto possa superare ogni attrito per assumere concordemente le decisioni di maggiore interesse relative ai figli. Il Legislatore appare ben consapevole di tale realtà nella misura l'art. 337-ter, comma 3, secondo periodo, c.c. precisa che in caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice (cfr. Cass., 21553/2021). Tale norma deve essere interpretata in combinato disposto con l'art. 316, comma 3, c.c.: il giudice dovrà, innanzitutto, tentare di comporre il contrasto suggerendo le determinazioni che ritiene maggiormente utili e, solo nel caso in cui il contrasto permanga, attribuire il potere decisionale al genitore che, nel caso specifico, ritiene più idoneo a curare l'interesse del figlio.

L'art. 337-ter, comma 3, c.c. indica tre differenti livelli in cui si può articolare l'esercizio della responsabilità genitoriale.

Innanzitutto, vi sono le decisioni di maggiore interesse relativi ai figli ovvero quelle decisioni in grado di incidere in maniera determinante sulla vita del minore e sulla formazione della sua personalità e che dovranno essere assunte congiuntamente da entrambi i genitori. Rientrano in questa categoria, per quanto concerne l'istruzione, le decisioni relative alla scelta dell'indirizzo scolastico: pubblico o privato e, in quest'ultimo caso, laico o religioso, nonché quelle che riguardino la tipologia della formazione scolastica: classica, scientifica, professionale. Queste ultime decisioni, che interessano normalmente figli minori, ma non più in tenera età e quindi capaci di discernimento, andranno compiute tenendo obbligatoriamente conto delle inclinazioni, capacità ed aspirazioni della prole.

Tra le decisioni da assumere di comune accordo relative all'educazione, si annovera quella relativa all'opportunità o meno di fare crescere i figli secondo i precetti di una determinata religione o di lasciare alla prole libertà di scelta al raggiungimento di una ragionevole età. I genitori devono altresì decidere in modo sincronico quali sistemi educativi adottare e, quindi, comportarsi con coerenza rispetto alla scelta compiuta.

Per quanto riguarda le decisioni di maggiore rilevanza riguardanti la salute, vanno concordemente assunte, ad esempio: la scelta in merito allo specialista e alle cure più adatti ad una patologia grave, la scelta in punto di regime alimentare (Trib. Roma, 7 ottobre 2016) ed in ordine all'esecuzione di un intervento chirurgico non immediatamente necessario ed alle vaccinazioni non obbligatorie.

Accanto alle decisioni di maggior interesse, l'art. 337-ter, comma 3, disciplina le decisioni attinenti all'ordinaria amministrazione ovvero tutte quelle scelte capaci di incidere sulla vita del minore in maniera meno determinante rispetto a quelle di maggiore interesse. Tali decisioni dovranno essere, in linea di massima, assunto di comune accordo tra i genitori, ma questi potranno essere autorizzati ad esercitare la responsabilità genitoriale separatamente. In tali casi, le scelte attinenti all'ordinaria amministrazione verranno assunte da ciascun genitore in corrispondenza dei tempi di rispettiva permanenza della prole minorenne presso ciascuno di loro (cfr. App. Salerno, 9 novembre 2020, n. 14).

Infine, vi sono le decisioni riguardo agli atti di ordinario accadimento che possono essere assunte autonomamente e sul momento dal genitore che ha con sé il figlio.

Gli accordi dei genitori in punto di affidamento condiviso

L'art. 337-ter, comma 2, c.c. stabilisce che il giudice debba prendere atto degli accordi intervenuti tra i genitori a condizione che non siano contrari all'interesse dei figli minori. L'art. 1, comma 5, lett. a), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (c.d. Riforma Cartabia) ha modificato l'art. 337-ter, comma 2, c.c. prevedendo che il giudice dovrà prendere atto degli accordi in modo particolare se tale accordo è stato raggiunto all'esito di un percorso di mediazione familiare. In tal modo, la novella legislativa ha inteso valorizzare l'accordo formato a seguito di un percorso compiuto dai genitori al di fuori delle aule di giustizia con l'aiuto ed il supporto di un terzo, fermo restando il dovere di valutarne la compatibilità con l'interesse superiore del minore.

Alla luce del dettato normativo risulta, pertanto, ammissibile un accordo in ordine al regime di affidamento. Tuttavia, deve essere negata la validità alle intese genitoriali che prevedano l'affidamento dei figli ad un solo genitore quando non siano sorrette da adeguata motivazione con cui venga specificato quali siano le circostanze che rendano l'affidamento condiviso pregiudizievole e inadeguato per il minore.

Il giudice non è chiamato a svolgere un mero ruolo di omologatore dell'accordo, ma è chiamato a valutare l'accordo al fine di verificarne la rispondenza rispetto al superiore interesse del minore (Cass., 21178/2018; Cass., 25055/2017 e Cass., 11412/2014). Laddove dovesse emergere una distonia tra l'accordo e l'interesse del minore, l'Autorità Giudiziaria non dovrà limitarsi a rifiutarsi di omologare l'accordo, ma potrà esercitare anche un potere propositivo, modificativo ed integrativo della volontà dei genitori.

Casistica

Affido condiviso e appartenenza dei genitori a religioni differenti

La professione da parte dei genitori di differenti credo religiosi non può e non deve essere causa ostativa all'affidamento condiviso innanzitutto per la salvaguardia del precetto costituzionale che riconosce assoluta libertà di confessione eprofessione. Anche in tal caso la prole può essere affidata ad entrambi i genitori seppur con la chiara disposizione che se i figli sono stati cresciuti secondoi dogmi di una religione, il genitore che abbia deciso di seguire i precetti di un altro credo religioso dovrà astenersi dall'imporre la propria scelta ai minori (Cass. civ., sez. I, 4 novembre 2013, n. 24683; Cass. civ., sez. I, 12 giugno 2012, n. 9546).

Affido condiviso e distanza geografica tra le città di residenza dei genitori

L'oggettiva distanza esistente tra i luoghi di residenza dei genitori non preclude la possibilità di unaffidamento condiviso del minore, potendo tale distanza incidere soltanto sulla disciplina dei tempi e delle modalità della presenza del minore presso ciascun genitore (Cass. civ., sez. VI, 2 dicembre 2010, n. 24526)

Affido condiviso disposto a seguito di revoca di un affidamento esclusivo

L'obiettivo di affidare i figli minori ad entrambi i genitori va perseguito, anche qualora in prima istanza la prole sia stata affidata ad un solo genitore, laddove venga dimostrato il superamento delle cause e delle ragioni in base alle quali si era in passato reso necessario un affido monogenitoriale (Cass. civ., sez. I, 17 maggio 2012, n. 7770)
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