Assegni: regime probatorioFonte: Cod. Civ. Articolo 156
25 Febbraio 2021
Inquadramento
* In fase di aggiornamento In generale, il tema della prova risente sempre strettamente della tipologia del processo nel quale viene a inscriversi. La natura e la struttura del processo comportano significative ricadute sull'istruttoria e sui suoi presupposti, caratteri e contenuti. Da questo punto di vista, il processo di separazione e divorzio si contraddistingue per una (potenziale ma frequente) pluralità di contenuti, dalla quale discende altresì una pronuncia di natura complessa ed eterogenea. In particolare, con riferimento agli aspetti economici, il giudice è chiamato a statuire come debbano essere ripartiti, all'esito della crisi, i doveri di provvedere alle esigenze di vita in favore del coniuge più debole e dei figli minori, ovvero maggiorenni ma bisognosi di protezione (in quanto non economicamente autosufficienti o portatori di handicap o incapaci di agire). Nel processo di separazione e divorzio una rilevante parte del thema decidendum, e con esso anche del thema probandum, può essere identificata nella necessità di individuare forme e modalità di contribuzione ai bisogni della famiglia, attraverso la determinazione di un assegno da parte di un coniuge nei confronti dell'altro e da parte dei genitori nei confronti dei figli. Istruttoria e fase presidenziale
Ciò premesso, anche sul tema della prova ha rilievo la suddivisione del processo in due fasi distinte, aventi specificità e autonomia sul piano funzionale e strutturale. Da questo punto di vista, la fase centrale per la raccolta del materiale probatorio resta quella istruttoria in senso stretto e l'attività di acquisizione e assunzione della prova mantiene anche nella separazione e nel divorzio il suo terreno di elezione davanti al giudice istruttore; poiché peraltro la funzione degli assegni è quella di soddisfare le esigenze di vita del coniuge più debole e dei figli, un intervento giudiziale è necessario sin dall'inizio del processo. Diviene quindi naturale la deduzione e formazione della prova già nell'iniziale fase presidenziale, poiché il fallimento del tentativo di conciliazione e il dovere di assumere i provvedimenti provvisori e urgenti nell'interesse dei coniugi e della prole impongono al presidente di formarsi un primo convincimento circa i fatti di causa e adottare le misure più opportune per ovviare pro tempore alla situazione di crisi della famiglia. Ciò risulta confermato dall'art. 337 octies c.c., per il quale il «giudice» (genericamente qualificato) «può assumere» (su istanza di parte o d'ufficio) mezzi di prova «prima dell'emanazione in via provvisoria dei provvedimenti di cui all'art. 337 ter». L'istruttoria nella fase presidenziale ha caratteristiche particolari, di urgenza e sommarietà (in conformità alla cognizione con la quale il presidente è chiamato ad assumere i suoi provvedimenti) e di limitatezza del contenuto (circoscritto all'ambito delle misure da assumersi in via immediata e urgente). Sotto il primo profilo, la sommarietà dell'indagine alla quale il presidente è chiamato fa sì che la stessa non debba necessariamente svolgersi in modo analitico e capillare, e mantenga margini di officiosità e con essa anche di discrezionalità superiori rispetto a quanto avviene ordinariamente (dovendo i provvedimenti provvisori e urgenti fondamentalmente assicurare le esigenze immediate della famiglia in crisi). Per questo motivo è certamente preferibile adottare un criterio restrittivo e negare ingresso nella fase presidenziale a mezzi istruttori superflui e tali da aggravare inutilmente le esigenze di celerità riconnesse a questa specifica fase. Dal secondo punto di vista, in questa fase l'istruttoria non può estendersi ad alcuna indagine inerente domande che possono formare oggetto soltanto della decisione finale (ad esempio, nessun elemento di prova può essere in questo contesto tenuto in considerazione ai fini di un'eventuale successiva pronuncia di addebito e per escludere ab origine la concessione di un assegno di mantenimento in favore del coniuge più debole). Poste queste premesse, occorre interrogarsi circa il concreto ambito di funzioni istruttorie esercitate dal presidente, in particolare ai fini della determinazione degli assegni a favore del coniuge o dei figli. Al riguardo, il primo e fondamentale compito è quello di esaminare la documentazione allegata agli atti introduttivi e in particolare le dichiarazioni dei redditi delle parti. Invero, tra le attività complementari alla redazione degli atti introduttivi, dal 2005 è stata codificata una prassi già invalsa da tempo, nel segno della immediata produzione delle dichiarazioni dei redditi delle parti. L'art. 706, comma 3, c.p.c. e l'art. 4, comma 6, l. div., prevedono espressamente che «al ricorso e alla (prima per l'art. 4, comma 6, l. div.) memoria difensiva sono allegate le ultime dichiarazioni dei redditi (rispettivamente per l'art. 4, comma 6, l. div.) presentate». Analogo obbligo è previsto nell'art. 5, comma 9, l. div.. La legge non precisa come debba essere qualificata l'attività di produzione dei documenti fiscali, né soprattutto evidenzia le sanzioni per l'eventuale inottemperanza. Ciò nonostante, deve ritenersi che la norma abbia natura precettiva e cogente e che l'attività in esame abbia carattere obbligatorio; la mancata produzione deve pertanto essere tenuta in considerazione dal presidente come comportamento valutabile ai fini dell'emanazione dei provvedimenti provvisori e urgenti. E il potere/dovere del presidente di sollecitare la produzione della documentazione fiscale deve essere indirizzato anche al coniuge convenuto che abbia ritenuto in questa fase di non presentare memoria difensiva come la legge lo autorizza a fare. Va poi ricordato come il richiamo alle «ultime» dichiarazioni dei redditi venga comunemente interpretato dalla maggior parte dei tribunali come richiamo alle dichiarazioni fiscali relative all'ultimo triennio, per consentire una più ampia disamina della situazione delle parti da un punto di vista diacronico. Ciò nonostante, il valore probatorio delle dichiarazioni dei redditi può essere ancora talvolta relativo e non del tutto chiarificatore dell'effettiva situazione della parte. Vi sono invero ipotesi in cui in un contesto di crisi familiare la situazione reddituale della parte viene preparata ad artem nell'anno (o negli anni) anteriori alla separazione. Le possibili tecniche sono purtroppo diverse: dismissioni o revoche da alcune cariche sociali nelle società di famiglia, con conseguente o parallela riduzione degli emolumenti; mancata distribuzione di utili da parte delle dette società; accorgimenti e misure varie per «dirigere» parte degli emolumenti verso soggetti terzi e società fiduciarie; accordi con istituti bancari; scritture private con i propri familiari (con o addirittura senza data certa) attestanti debiti di varia natura (per pretesi risanamenti di donazioni effettuate anni prima, magari in funzione del matrimonio, che all'improvviso vengono qualificate come prestiti) o addirittura retrocessioni di immobili. Prime esperienze di disclosure nella prassi applicativa
Poiché dunque il presidente può non considerare le dichiarazioni dei redditi come elementi probatori sufficienti e realmente idonei per formarsi un quadro completo dell'effettiva realtà della situazione dei coniugi, alcuni Tribunali (ad esempio Roma, Genova, Torino, Monza) hanno adottato (e formalizzato) una prassi volta a imporre alle parti in limine litis un'effettiva disclosure mediante una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà completa su tutti i beni, assets e attività ad esse riconducibili. La giustificazione normativa a tali prassi si rinviene nel già citato art. 5, comma 9, l. div. (che la Suprema Corte – Cass., 17 maggio 2005, n. 10344; Cass., 7 marzo 2006, n. 4872; Cass., 17 giugno 2009, n. 14081 – applica anche al processo di separazione) che impone alle parti di «presentare all'udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale» non soltanto «la dichiarazione personale dei redditi» ma «ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune», legittimando altresì, in caso di contestazioni, il ricorso a «indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria». Il presidente ben può quindi iniziare a effettuare le opportune verifiche sulla effettiva situazione delle parti, richiedendo la produzione di una dichiarazione giurata, da sanzionare, nell'ipotesi di omessa o falsa dichiarazione, come comportamento valutabile ai fini della decisione, e fatta salva la possibilità, ricorrendone i presupposti, anche di più incisive misure dal punto di vista penale o ai sensi dell'art. 709 ter c.p.c.. Qualora poi «le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi» (così l'art. 337 ter c.c.). Il giudice, ai fini della determinazione del contributo di mantenimento dei figli, può quindi altresì disporre – sempre d'ufficio e alle condizioni che meglio verranno specificate infra – un accertamento della polizia tributaria su redditi, beni e altri cespiti patrimoniali riferibili ai genitori, anche se formalmente intestati a soggetti terzi. Quanto invece allo strumento della consulenza tecnica, se in linea di principio non vi sono ragioni per escluderla a priori nella fase avanti al presidente, è parimenti incontestabile che in questa sede la stessa possa verosimilmente avere luogo soltanto per gli aspetti «personali», relativi alle scelte di vita esistenziali da adottare per i minori, sull'affidamento, sul collocamento e sulle modalità di visita. Per le questioni economiche il presidente ha invece ampi poteri di intervento e ben può emanare un provvedimento sommario anche in quanto provvisorio, rendendo di fatto inutile il ricorso in questa fase ad approfondite e analitiche indagini di tipo peritale. Il processo di separazione e divorzio, in quanto processo a cognizione piena, vede l'applicazione dei principi e delle norme generali in tema di istruttoria, fatte salve alcune particolarità legate, più che alla specialità del rito, alla specificità del thema decidendum. Le condizioni per la previsione di un assegno a favore del coniuge e gli elementi per la sua determinazione rientrano in ogni caso nell'ambito della piena disponibilità (quanto meno processuale) delle parti, e non possono essere rimesse all'impulso officioso e all'iniziativa del giudice. Peraltro, poiché tutti i provvedimenti resi nella separazione e nel divorzio sono soggetti alla clausola rebus sic stantibus e legati a una situazione che è fisiologicamente in evoluzione non è possibile applicare in chiave rigorosa le regole ordinarie sulle preclusioni endoprocessuali e deve ritenersi sempre possibile l'allegazione (e la prova) di fatti nuovi, autorizzando così di fatto una dilatazione delle tradizionali scansioni processuali in relazione all'evolversi delle situazioni sostanziali protette, ovvero del substrato fattuale sulla base del quale il giudice è chiamato a emanare i provvedimenti. Sotto questo profilo, dunque, anche la prova risente del regime di stabilità del provvedimento ed è chiamata ad assicurare una più effettiva rispondenza della situazione di fatto all'ambito della valutazione finale da sottoporre al giudice. In questo senso deve essere letta, ad esempio, la prassi consolidata in diversi tribunali di ordinare alle parti, in corso di causa e soprattutto prima della precisazione delle conclusioni, il deposito anche delle ulteriori dichiarazioni dei redditi medio tempore presentate, di eventuali nuovi bilanci societari, della documentazione inerente investimenti mobiliari, la vendita di beni immobili o la dismissione di altri cespiti. Assegni per i figli: poteri officiosi
In linea di principio, la regola dell'onere della prova trova applicazione anche nel processo di separazione e divorzio, fatti salvi ovviamente gli aspetti appena menzionati per i quali il giudice può esercitare poteri di indagine istruttoria anche in via officiosa. Con riferimento all'assegno ex art. 156 c.c., la sua determinazione passa attraverso un duplice accertamento, in quanto presuppone in primo luogo una verifica del diritto in astratto, in relazione alla mancanza di redditi adeguati in capo al coniuge per mantenere il pregresso tenore di vita; nella locuzione “redditi adeguati” rientrano il reddito da lavoro, anche di quello eventualmente non dichiarato (Cass. 2 novembre 2004, n. 21047); le disponibilità patrimoniali, mobiliare e immobiliari (Cass. 4 aprile 2016, n. 6427; Cass. 07 luglio 2008, n. 18613; Cass. 24 aprile 2007, n. 9915) nonché ogni altra entità suscettibile di valutazione economica e capace di incidere sulle condizioni economiche delle parti (Cass., 11 luglio 2013, n. 17199; Cass.13 febbraio 2013, n. 3502; Cass. 27 giugno 2006, n. 14840). Quanto al tenore di vita, inteso come parametro di riferimento dell'inadeguatezza dei redditi, si intende, quello "normalmente" godibile dalla coppia, sulla base della situazione economica complessiva della stessa (Cass. 03 aprile 2015, n. 6864) e ricomprende, ove possibile, «attività inerenti allo sviluppo della vita personale e di relazione, quali sport, viaggi, incontri, vacanze, ricevimenti ecc.» (Cass. 07 luglio 2008, n. 18613). Sotto il profilo probatorio, la parte non deve fornire una prova analitica, potendosi desumere il tenore di vita «dalle potenzialità economiche dei coniugi durante la vita matrimoniale, quale elemento condizionante la qualità dell'esigenza e l'entità delle aspettative del richiedente». (Cass. ord. 10 giugno 2014, n. 13026; Cass. 12 settembre 2011, n. 18618). La quantificazione in concreto, dell'assegno poi, potrà tenere conto, come previsto dal dettato normativo, delle “altre circostanze”, con riferimento alle quali il regime probatorio segue le regole generali: al richiedente spetta la prova del fatto da cui origina il suo diritto e alla parte resistente quella del fatto modificativo o estintivo. Con riferimento alla capacità lavorativa del coniuge richiedente l'assegno, sul coniuge richiedente incombe la prova di aver posto in essere tutte le attività necessarie a reperire un'attività produttiva di reddito (Cass. 20 marzo 2018, n. 6886; Cass. 2 ottobre 2020, n. 21141) ma non quella di non aver trovato un lavoro.
Onere della prova: assegno divorzile
L'intervento delle Sezioni Unite (Cass. Civ. SS.UU. 11 luglio 2018, n. 18287) ha determinato nuove regole in materia di ripartizione dell'onere probatorio sull'assegno divorzile: la sussistenza o meno del divario economico tra le parti è sottoposto ai poteri ufficiosi del Giudice; al richiedente l'assegno spetta invece la prova rigorosa dell'esistenza del nesso causale tra il divario e le scelte comuni di vita degli ex coniugi (Cass. 17 aprile 2019, n. 10782) nonché quella di aver posto in essere tutte le iniziative necessarie a reperire un'attività lavorativa, confacente alle proprie attitudini ed esperienze, che le permetta di superare il pregiudizio patito a seguito delle scelte fatte in costanza di convivenza (Cass. 13 febbraio 2020, n. 3661). Onere della prova: assegno al figlio maggiorenne
L'obbligo del genitore di provvedere al mantenimento del figlio non viene meno automaticamente con la maggiore età ma perdura sino al raggiungimento dell'autosufficienza economica del figlio. Quanto alla ripartizione dell'onere probatorio, la giurisprudenza ha ritenuto, per lungo tempo e con orientamento granitico, che spettasse al genitore obbligato, che agisce per la revoca o diminuzione del contributo, provare che il figlio è divenuto economicamente indipendente ovvero che lo stesso si rifiuti ingiustificatamente di cogliere le occasioni per raggiungere la propria indipendenza (ex plurimis Cass.20 dicembre 2017; n. 30540; Cass, 25 settembre 2017, n. 22314; Cass. 22 giugno 2016, n. 12952; Cass. 1° febbraio 2016, n. 1858; Cass. 26 febbraio 2014, n. 4534). Nel 2020, tuttavia, si è registrata su questo fondamentale aspetto una oscillazione. Un recente motivato orientamento, infatti, ha affermato che spetta al figlio, divenuto maggiorenne (o al genitore convivente), fornire la prova non solo della mancanza di indipendenza economica – che è la precondizione del diritto preteso- ma anche quella di aver curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale e tecnica e di avere, con pari impegno, operato nella ricerca di un lavoro (Cass. 14 agosto 2020, n. 17183; Cass. 29 dicembre 2020, n. 29779). Tale orientamento è stato fondato da un punto di vista generale sul principio di autoresponsabilità, nonché, dal punto di vista strettamente processuale, sul principio di vicinanza della prova. In parallelo, tuttavia, non sono mancate anche pronunce della Cassazione che ancora (in ossequio al vecchio orientamento) pongono l'onere della prova a carico del genitore obbligato (Cass. 14 settembre 2020, n. 19077; Cass. 9 ottobre 2020, n. 21752), sicché si confida in una definitiva presa di posizione chiarificatrice da parte delle Sezioni Unite sul punto. Ordini di esibizione
Un mezzo istruttorio particolarmente efficace, nel processo di separazione e divorzio, è rappresentato dall'ordine di esibizione giudiziale,ex art. 210 c.p.c., alla parte o a un terzo. Per mezzo di esso il giudice può in particolare ottenere validi elementi di indagine e valutazione con riferimento ai flussi reddituali (oltre alle dichiarazioni dei redditi, già esaminate la documentazione relativa agli eventuali trattamenti pensionistici), alle concrete disponibilità economiche delle parti (saldi dei conti correnti, depositi titoli e altre forme di investimento mobiliare) anche detenute in via indiretta (partecipazioni societarie) o per mezzo di interposte persone (società fiduciarie), nonché al tenore di vita goduto precedentemente alla crisi (estratti di conto corrente e dei conti relativi alle carte di credito). In particolare è stato precisato che «sia l'art. 5 l. n. 898/1970, sia l'art. 155 c.c. attribuiscono al Giudice del divorzio o della separazione il potere di ottenere dalla società fiduciaria una completa disclosure riguardo alle generalità del fiduciante e ai beni fiduciariamente intestati, senza prevedere alcuna limitazione (nemmeno in analogia con i limiti che il d.P.R. n. 600/1973 ha imposto all'Erario)» (Trib. Reggio Emilia, ord., 27 marzo 2006).
In caso di rifiuto, il giudice può trarre dal comportamento della parte elementi di convincimento ex art. 116, comma 2, c.p.c. (Cass. civ., sez. VI, ord., 11 gennaio 2016, n.225). Consulenza tecnica patrimoniale
Allorquando la ricostruzione della situazione reddituale e patrimoniale delle parti (o anche di una soltanto di esse) si presenta particolarmente complessa, il giudice può disporre, anche d'ufficio, come le regole generali stabiliscono (e dunque prescindendo da una rigida applicazione degli oneri probatori), una consulenza tecnica di carattere patrimoniale e reddituale. Mediante tale indagine possono essere meglio approfonditi da un professionista (di regola un dottore commercialista) tutti gli elementi riferibili alle parti direttamente o indirettamente (per il tramite di società, anche fiduciarie o altri istituti giuridici, quali trust o patrimoni separati) che concorrano alla determinazione della loro posizione economico-patrimoniale. Dal punto di vista del suo iter, la CTU segue le regole generali previste dal codice di rito (artt. 191 ss. c.p.c.). Indagini
Un rafforzamento dei poteri istruttori del giudice è dato dalla possibilità per quest'ultimo di valersi della polizia tributaria per una più approfondita indagine sui patrimoni e redditi delle parti. Ai sensi dell'art. 5, comma 9, l. div., infatti, «I coniugi devono presentare all'udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria». Si tratta di un particolare mezzo probatorio, quanto al potere di iniziativa esperibile anche ex officio (Cass., 28 gennaio 2011, n. 2098; Cass., 6 giugno 2013, n. 14336)e dunque costituente una vera e propria deroga alle regole generali sull'onere della prova (Cass., 28 gennaio 2011, n. 2098). Esso è inoltre rimesso alla valutazione discrezionale del giudice (Cass. civ.,sez. I, 17 giugno 2009, n. 14081), al quale non può quindi imputarsi come erronea una decisione negativa in merito, a condizione che quest'ultima sia motivata attraverso una correlazione anche implicita alla superfluità dell'iniziativa o alla sufficienza dei dati istruttori acquisiti (Cass., 6 giugno 2013, n. 14336). Peraltro, anche un'eventuale omissione di motivazione sul diniego di esercizio del relativo potere, «non è censurabile in sede di legittimità, ove, sia pure per implicito, tale diniego sia logicamente correlabile ad una valutazione sulla superfluità dell'iniziativa per ritenuta sufficienza dei dati istruttori acquisiti» (Cass. civ., sez. I, 18 giugno 2008, n.16575). In linea generale, l'esercizio del potere di disporre le indagini non deve e non può sopperire alla carenza probatoria della parte onerata, ma “vale ad assumere, attraverso uno strumento a questa non consentito, informazioni integrative del “bagaglio istruttorio” già fornito, incompleto o non completabile attraverso gli ordinari mezzi di prova; tale potere non può essere attivato a fini meramente esplorativi, sicché la relativa istanza e la contestazione di parte dei fatti incidenti sulla posizione reddituale del coniuge tenuto al predetto mantenimento devono basarsi su fatti specifici e circostanziati» (Cass.,28 gennaio 2011, n.2098; Cass. civ., sez. I, 22 maggio 2014, n. 11415). Non deriva, dunque, l'esigenza di tali indagini dal mero fatto che vi sia contestazione delle parti in ordine alle loro rispettive condizioni patrimoniali e reddituali, trattandosi di un potere d'intervento a fine d'indagine patrimoniale eccezionale e di natura sussidiaria, che si giustifica e trova ingresso nel solo caso in cui risulti insufficiente o inappagante il risultato dell'ordinaria dinamica dell'attività istruttoria espletata dalle parti in giudizio (Cass. civ., sez. I, 22 maggio 2014, n. 11415). Casistica
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