Reclamo e contestazione dello stato di figlioFonte: Cod. Civ. Articolo 239
31 Agosto 2023
Inquadramento
Gli artt. 239 e 240 c.c. individuano rispettivamente, denominandole e precisandone l'operatività, le azioni di reclamo e di contestazione dello stato di figlio. Prima della riforma della filiazione, che ha introdotto lo “stato unico” del figlio, l'azione di reclamo (della legittimità) era il mezzo con il quale lo stesso poteva rivendicare lo stato di figlio legittimo, pur essendo privo del relativo atto di nascita ovvero, in mancanza, del possesso di stato, oppure in caso fosse stato iscritto sotto falsi nomi o come nato da genitori ignoti (cfr. art. 241 c.c., previgente); il figlio poteva poi rivendicare uno stato diverso qualora, a seguito di supposizione di parto o di sostituzione di neonato, fosse stato iscritto sotto falsi nomi, ancorché vi fosse un atto di nascita conforme al possesso di stato (si v. l'art. 239 c.c., nella formulazione previgente, che contemplava l'azione di reclamo insieme a quella di contestazione della legittimità). Il legislatore della riforma ha anteposto la norma sul reclamo (art. 239 c.c., sostituito dall'art. 14 d. lgs. 28 dicembre 2013, n. 154) a quella sulla contestazione dello stato di figlio (art. 240 c.c., sostituito dall'art. 15 d. lgs. 28 dicembre 2013, n. 154). L'esercizio delle due azioni, la legittimazione ed i relativi caratteri, risultano peraltro disciplinati dall'art. 248 c.c., che tratta della contestazione prima del reclamo, di cui alla norma dell'art. 249 c.c.. Si osserva, al riguardo, che normalmente chi agisce in reclamo deve dapprima rimuovere lo stato risultante dall'atto di nascita, tramite l'azione di contestazione, per l'evidente rapporto di pregiudizialità che lega il procedimento volto a rimuovere il precedente titolo di filiazione, ove l'interessato ne sia in possesso, e quello di reclamo del nuovo titolo. Come noto, la disciplina previgente alla riforma della filiazione distingueva fra figli legittimi e figli naturali. Lo status di figlio legittimo spettava a colui che fosse stato concepito durante il matrimonio (al riguardo, si indicavano le due presunzioni juris tantum, di paternità del marito e di concepimento durante il matrimonio); lo stato di figlio naturale, a seguito di nascita da madre non coniugata, derivava invece da un formale atto di riconoscimento (ovvero da una sentenza dichiarativa della paternità o della maternità). In oggi, il nuovo art. 231 c.c., di cui al Capo I («Della presunzione di paternità», prima così rubricato: «Della filiazione legittima») del Titolo VII («Dello stato di figlio») del Libro I del codice, dispone che il marito è padre del figlio concepito «o nato» durante il matrimonio. Il successivo art. 232 c.c., al comma 1, ribadisce, a sua volta, il principio secondo cui si presume concepito durante il matrimonio il figlio nato quando non sono ancora trascorsi 300 giorni dalla data dell'annullamento, dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio, individuando nel matrimonio la funzione di indice non più della legittimità dei figli, ma per la determinazione della paternità; detta presunzione di concepimento durante il matrimonio non opera decorsi 300 giorni dalla pronuncia di separazione giudiziale o dall'omologa di separazione consensuale, ovvero dalla data di comparizione dei coniugi davanti al giudice, quando gli stessi sono stati autorizzati a vivere separatamente nelle more del giudizio di separazione, di annullamento, ovvero di divorzio, venendo meno l'obbligo di fedeltà coniugale legato alla convivenza (art. 232 comma 2 c.c.). A seguito della riforma, sono rimasti inalterati i primi due commi dell'art. 234 c.c., riferiti alla nascita del figlio dopo i suddetti 300 giorni e alla prova per i coniugi e i loro eredi del concepimento durante il matrimonio; il comma 3 è stato invece modificato, in conseguenza dell'istituzione dello status unico della filiazione, e attualmente, anche il figlio, nelle condizioni di cui sopra, «può provare di essere stato concepito durante il matrimonio», e non più «proporre azione per reclamare lo stato di legittimo» (si v. la precedente formulazione). Il novellato art. 236 c.c. che apre il Capo II relativo proprio alleprove della filiazione prevede, in proposito, che la filiazione, indipendentemente da nascita avvenuta dentro o fuori del matrimonio, si prova con l'atto di nascita iscritto nei registri dello stato civile, ovvero, in mancanza di questo titolo, con il possesso continuo dello stato di figlio. Quanto all'atto di nascita, si evidenzia come si tratti di titolo con efficacia probatoria esclusiva, da cui risulta formalmente lo stato di figlio, senza che rilevi la nascita in costanza di matrimonio o meno (cfr. Trib. Arezzo, sez. civ., 11 marzo 2015, n. 313). Il successivo art. 237 c.c., anch'esso modificato, è riferito ai fatti costitutivi delpossesso di stato, ossia agli elementi che, nell'insieme, dimostrano le relazioni di filiazione e di parentela fra una persona e la famiglia a cui essa pretende di appartenere. Precisa la norma che in ogni caso devono concorrere, tra i fatti, il c.d. tractatus, consistente nell'essere stata la persona sempre trattata dal genitore come figlio e, quindi, come tale mantenuto, educato e collocato, nonché la prova che la persona medesima sia stata costantemente considerata come figlio nei rapporti sociali e sia stata riconosciuta in detta qualità dalla famiglia. Il possesso di stato, unito ad un valido atto di nascita, assume efficacia costitutiva dello status. Al riguardo, l'art. 238 c.c. dispone che nessuno può reclamare uno stato contrario a quello che gli attribuiscono l'atto di nascita di figlio («legittimo», ma trattasi evidentemente di refuso) e il possesso di stato corrispondente all'atto stesso, salvo specifiche eccezioni e precisamente:
In questi casi, in ossequio al favor veritatis, il figlio potrà reclamare uno stato diverso da quello che gli appartiene, una volta rimosso lo stato precedente attraverso l'azione di contestazione (art. 239, ultimo comma, c.c.) esperibile ex art. 240 c.c.. A seguito della riforma della filiazione, è stato abrogato il comma 2 dell'art. 238 c.c., che si riferiva alla contestazione dello status nei casi indicati, ed individuato, nel nuovo art. 240 c.c., la contestazione dello stato di figlio. La disposizione dell'art. 239 c.c. («Reclamo dello stato di figlio») è stata modificata dalla riforma in maniera rilevante. La norma stabilisce al comma 1 che il figlio può reclamare uno stato diverso da quello che possiede in presenza di supposizione di parto, ossia quando una maternità sia falsamente attribuita ad una donna che non ha partorito, o di sostituzione di neonato, ove si attribuisca ad una donna, che invece ha partorito, la maternità di un bambino diverso da quello che ha partorito: in entrambi i casi la madre è differente dalla persona che risulta dall'atto di nascita. Il testo ante riforma della filiazione dell'art. 239 commi 1 e 2 c.c. indicava precisi limiti probatori, ammettendo il ricorso alla prova per testimoni, secondo le regole del previgente art. 241 c.c. e dell'art. 242 c.c. (ora abrogato). Inoggi, ai sensi dell'art. 241 c.c. («Prova in giudizio», modificato dall'art. 16 d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154), la prova della filiazione (ed ancor prima della supposizione di parto o della sostituzione di neonato) può darsi in giudizio con ogni mezzo (sul punto v. infra). Il comma 2 dell'art. 239 c.c. legittima all'esercizio dell'azione di reclamo anche chi, nato nel matrimonio, erroneamente venne iscritto all'anagrafe dello stato civile come “figlio di ignoti”, salvo che sia intervenuta sentenza di adozione, passata in giudicato, e si sia acquisito un diverso status filiationis. A sua volta, il terzo comma dell'art. 239 c.c. tratta dell'azione esercitata per reclamare uno status di figlio conforme alla presunzione di paternità da colui che è stato riconosciuto in contrasto con tale presunzione (nel caso in cui la madre ebbe a riconoscere il figlio come nato da persona diversa dal marito, terzo che poi provvide al riconoscimento) e da chi fu iscritto come figlio di altro padre, in conformità di altra (erronea) presunzione di paternità. In ogni caso, il comma 4 dell'articolo in esame prevede che l'azione possa essere esercitata per reclamare un diverso status di figlio, quando il precedente sia stato comunque rimosso. L'azione medesima compete al solo figlio, ai sensi dell'art. 249 comma 1 c.c.. La norma, all'ultimo comma, rinvia all'applicazione del comma 6 dell'art. 244 c.c. e del comma 2 dell'art. 245 c.c., rispettivamente in tema di legittimazione (per il disconoscimento) di un curatore speciale nominato dal giudice, su istanza del figlio minore se ultraquattordicenne, ovvero del pubblico ministero o dell'altro genitore, quando si tratti di figlio di età inferiore, ed in ordine alla legittimazione ad agire di un curatore speciale, nominato dal giudice, al figlio che si trovi in stato di interdizione ovvero versi in condizioni di abituale grave infermità di mente, che lo renda incapace di provvedere ai propri interessi. La previgente formulazione dell'art. 249 c.c. prevedeva che, se il figlio non avesse promosso l‘azione e fosse morto in età minore, o nei 5 anni dopo aver raggiunto la maggiore età (ossia entro i 23 anni), l'azione avrebbe potuto essere proposta dai discendenti di lui; la vigente disposizione ne esclude la trasmissibilità (diversamente dalle altre azioni di stato, tra le quali la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità esperibile dai discendenti entro 2 anni dalla morte del figlio). Legittimati passivi sono i genitori, che devono essere chiamati entrambi nel giudizio. Quando l'azione è proposta nei confronti di persone premorte o minori o altrimenti incapaci, si osservano le disposizioni dell'art. 247 c.c., relativo all'azione di disconoscimento, che, nel comma 4, con un rinvio all'art. 246 c.c., in caso di morte dei genitori, indica in loro vece i discendenti o gli ascendenti. In loro mancanza, la domanda andrà proposta nei confronti di un curatore nominato dal giudice, davanti al quale il giudizio deve essere promosso. Della domanda di reclamo è competente il tribunale ordinario, in composizione collegiale, con intervento obbligatorio del pubblico ministero (artt. 50-bis, comma 1, n. 1 e 70, comma 1, n. 3, c.p.c.); il giudizio, ordinario di cognizione, vertendo in materia di status, è introdotto con atto di citazione. Quanto alla prova, si è visto che l'art. 241 c.c., novellato dalla riforma, prevede che, in mancanza di atto di nascita e di possesso di stato, la prova della filiazione possa essere data con ogni mezzo, anche per testimoni; è stato abrogato il comma 2 riferito ai limiti della medesima, come pure l'art. 242 c.c., circa il principio di prova per iscritto, necessario per renderla ammissibile, nonché l'art. 243 c.c., che ammetteva la prova contraria. Si dovrà dunque dimostrare innanzitutto la maternità, e dunque la prova del parto della donna che si assume essere madre e l'identità del figlio di lei con il reclamante. Secondo l'orientamento prevalente in dottrina, l'azione di reclamo presuppone genitori convenuti che siano o siano stati coniugati (cfr. sul punto, in prospettiva generale, Dogliotti M., Figone A., Le azioni di stato: diritti e procedimenti dopo la riforma della filiazione, Giuffrè, 2015; Sesta M., Le azioni di stato dopo il decreto n. 154/2013, in www.consiglionazionaleforense.it). Dovrà pertanto provarsi il matrimonio tra i genitori e il concepimento (o la nascita) in costanza di esso, con conseguente presunzione legale juris tantum della paternità del marito della madre ed inversione dell'onere della prova, gravando sui convenuti dimostrare che l'attore non è figlio della donna, della quale si è accertata la maternità. L'azione di reclamo dello stato di figlio è imprescrittibile. La sentenza di accoglimento della domanda accerta lo status di figlio nato all'interno del matrimonio. Essa deve essere annotata, nell'atto di nascita del reclamante ex art. 49 d.P.R. n. 396/2000 (regolamento dello stato civile, tra l'altro modificato dal d.P.R. 30 gennaio 2015, n. 26, regolamento recante attuazione dell'art. 5, comma 1, legge 10 dicembre 2012, n. 219). Se il reclamante non aveva status, la sentenza gli attribuisce anche diritti successori, nonché diritti ed obblighi alimentari, costituendo legami di parentela con i parenti dei genitori. Al proposito si segnala, in generale, la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 243 del 17 ottobre 2022 (suppl. ord. n. 38/L) del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, recante attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, delega al Governo per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata. Si tratta di disposizioni dall'impianto, nel complesso, articolato, di riforma della giustizia familiare e minorile, nell'ambito di quella più generale civile. L'art. 3, comma 33, d.lgs. n. 149/2022, dando attuazione alla legge delega, ha previsto un nuovo rito, introdotto nel libro II del codice di procedura civile, dopo il Titolo IV, in un titolo apposito, rubricato “norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie”, il Titolo IV bis. Un rito unico per tutti i procedimenti in materia di famiglia, domanda contestuale di separazione e di divorzio: queste sono, tra le tante, le novità contenute nella riforma Cartabia in materia di famiglia, con effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023, anticipata di qualche mese rispetto alla data inizialmente prevista del 30 giugno 2023 da applicarsi alle cause dal 1 marzo 2023, con l'introduzione, nell'ottobre 2024, del tribunale della famiglia. Detto nuovo organo viene istituito proprio per questo tipo di procedimenti ed è composto da una sezione distrettuale nella sede della corte di appello e varie sezioni circondariali coincidenti, per territorio, con i relativi tribunali e formato da giudici specializzati. Si noti come il d.lgs. 149/2022 abbia introdotto il nuovo titolo nel libro secondo del codice di rito, dedicato al processo di cognizione, assoggettando il procedimento sulle persone, minorenni e famiglie, salvo che non esistano disposizioni ad hoc nel suddetto Titolo IV bis, alla disciplina generale del rito di cognizione. Le nuove norme di applicano anche ai procedimenti relativi allo stato delle persone (“azioni di stato”) incluso, tra gli altri, il procedimento previsto dall'art. 250 c.c. sul riconoscimento, espressamente modificato dalla riforma, secondo i principi che reggono il nuovo rito unitario in materia di procedimenti per le persone, i minorenni e le famiglie (si v., al riguardo, la Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149 in Gazz. Uff. 19.10.2022, serie gen. n. 245, suppl. ord. n. 5).
L'art. 240 c.c. stabilisce che lo stato di figlio può essere contestato nei casi di cui al comma 1 (supposizione di parto o sostituzione di neonato) e al comma 2 dell'art. 239 c.c. (iscrizione di colui che è nato nel matrimonio come figlio di ignoti, salvo che sia intervenuta sentenza di adozione). Prima della riforma era prevista l'inammissibilità della contestazione dello status legimitatis del figlio, il quale avesse un possesso di stato conforme all'atto di nascita (art. 238 comma 2 c.c., previgente). Inammissibile era la contestazione di legittimità in ipotesi di figlio nato da due persone decedute, che avessero convissuto pubblicamente come coniugi, mancando la prova della celebrazione del matrimonio (ad es. per impossibilità di reperire l'atto di matrimonio) e con conforme possesso di stato, non in opposizione con il titolo individuato dall'atto di nascita (si v. art. 240 c.c., formulazione previgente). A seguito della riforma della filiazione, con l'introduzione dello stato unico di filiazione, si è discusso in riferimento all'estensione dell'azione di contestazione (come per l'azione di reclamo) anche alla filiazione nata al di fuori del matrimonio. Al riguardo, si rileva che tale estensione non sembra proponibile (cfr., in proposito, Dogliotti M., Figone A., Le azioni di stato: diritti e procedimenti dopo la riforma della filiazione, cit.). Nell'ipotesi, tra le altre, di necessità di esperire un'azione per far valere la non corrispondenza del riconoscimento alla verità biologica della filiazione quella tipica è rappresentata dall'azione di impugnazione del medesimo per difetto di veridicità, con differenze in ordine a presupposti e caratteri rispetto all'azione di contestazione (si v. l'imprescrittibilità riferita a quest'ultima, a differenza della prima sottoposta ad un termine decadenziale per l'autore del riconoscimento e i terzi). Quanto all'azione di contestazione e a quella di disconoscimento, entrambe si riferiscono a situazioni di esistenza di un titolo di stato o di un possesso di stato di figlio nato da genitori coniugati differente dalla realtà che si vuole affermare.
Quanto all'esercizio dell'azione, l'art. 248 c.c. («Legittimazione all'azione di contestazione dello stato di figlio» non più «della legittimità», ex art. 20 d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154) attribuisce la legittimazione a chi dall'atto di nascita del figlio risulti suo genitore e a chiunque vi abbia interesse, interesse che potrebbe essere di natura personale o patrimoniale (si v. ad. es. quello dell'erede testamentario che contesti lo stato di figlio coniugale del defunto per impedire un'azione di riduzione ai propri danni); dovrebbe escludersi l'azione del PM, riguardando l'azione interessi di natura privata (salva l'ipotesi in cui l'accertamento dello status sia necessaria per perseguire un reato; v. però Cass. 29 ottobre 1963, n. 2888;cfr. anche, per le altre azioni di stato, Trib. Milano 6 dicembre 1957). Quando l'azione è intrapresa nei confronti di persone premorte o minori o altrimenti incapaci, la domanda andrà proposta nei confronti di un curatore speciale, a norma dell'art. 247 c.c.. Nel giudizio devono essere chiamati tutti e due i genitori, che sono contraddittori necessari. Si applicano, anche all'azione di contestazione, il comma 6 dell'art. 244 c.c. e il comma 2 dell'art. 245 c.c. (che disciplinano il disconoscimento), riferiti rispettivamente all'azione promossa da un curatore speciale nominato dal giudice, su istanza del figlio minore ultraquattordicenne ovvero del pubblico ministero o dell'altro genitore, se di età inferiore, nonché all'azione promossa dal curatore speciale in ipotesi di figlio in stato di interdizione ovvero che versa in condizioni di abituale grave infermità di mente, che lo renda incapace di provvedere ai propri interessi. L'azione di contestazione dello stato di figlio è, come si è visto, imprescrittibile (art. 248 comma 2 c.c.). Competente a conoscere della domanda è il tribunale ordinario, trattandosi di materia relativa allo stato delle persone, in composizione collegiale. La sentenza, che accoglie la domanda, accerta l'inesistenza dello stato di figlio in capo ai genitori coniugati fra di loro; essa ha efficacia erga omnes e deve essere annotata nell'atto di nascita ai sensi dell'art. 49 d.P.R. n. 396/2000 (regolamento dello stato civile, tra l'altro modificato dal d.P.R. 30 gennaio 2015, n. 26, regolamento recante attuazione dell'art. 5, comma 1, legge 10 dicembre 2012, n. 219, su cui anche v. supra). Se il figlio risultava iscritto come nato all'interno del matrimonio, egli perde lo status, insieme con il cognome paterno; se la domanda si fondava sulla supposizione di parto o sulla sostituzione di neonato, con contestazione della maternità, dall'atto di nascita di figlio nato nel matrimonio dovrà essere cancellata anche l'indicazione della madre, con la conseguente perdita anche del cognome materno (si v., tra l'altro, da ultimo, per gli importanti riflessi, in generale, in materia, Corte Cost. 31 maggio 2022, n. 131, in ordine alla disciplina del cognome quale “rappresentazione sintetica della personalità individuale”). Casistica
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