Responsabilità civile dei genitori, dei tutori e degli insegnantiFonte: Cod. Civ. Articolo 2048
14 Aprile 2015
Inquadramento
L'art. 2048 c.c., al primo comma, prevede a carico dei genitori e dei tutori un regime di responsabilità civile piuttosto rigoroso per il fatto illecito dei figli minori (non emancipati) o dei minori sottoposti a tutela, che coabitano con essi. Presupposto per l'applicazione della norma è che i minori siano capaci, dal punto di vista naturale, di intendere e di volere; in caso contrario, il genitore o il tutore potrà ugualmente rispondere, ma nella diversa veste di sorvegliante di un incapace, in base all'art. 2047 c.c.. Tra le due previsioni normative sussiste dunque un rapporto di genere a specie. Nell'art. 2047 c.c. si fa riferimento al «danno cagionato dall'incapace», evidenziando come non possa qualificarsi “illecito” il comportamento di colui che, al momento del fatto, non aveva la capacità di intendere e di volere; l'art. 2048 c.c. fa uso della diversa espressione «danno cagionato dal fatto illecito» dei minori, ravvisando pertanto in quella condotta gli estremi dell'antigiuridicità. Da quanto sopra, consegue che, in base a detta ultima previsione normativa, la responsabilità dei genitori e dei tutori si aggiunge a quella dei minori, chiamati a rispondere in base alla previsione generale di cui all'art. 2043 c.c.. Al contrario, l'art. 2047 c.c. prevede che il giudice possa porre a carico dell'incapace un'equa indennità (e non un risarcimento, attesa la non imputabilità del soggetto), ma solo nell'ipotesi in cui il danneggiato non abbia potuto ottenere il risarcimento da chi è tenuto alla sua sorveglianza. Nella valutazione circa la capacità di intendere e di volere del minore, ai fini di una propria eventuale responsabilità civile, non trovano applicazione i criteri previsti per l'imputabilità in sede penale ex artt. 97 e 98 c.p., si tratta invece di un accertamento da condursi caso per caso, in cui l'età del minore concorre con lo sviluppo intellettivo e l'acquisita capacità di rendersi conto del disvalore e della dannosità delle sue azioni; ne consegue che anche bambini di età inferiore ai 14 anni potrebbero essere ritenuti capaci di intendere e volere, in relazione all'illecito cagionato. Molto si è discusso sul titolo della responsabilità dei genitori e dei tutori. L'orientamento più tradizionale individua una responsabilità presunta per colpa (in educando, ovvero in vigilando), che potrebbe essere superata dalla prova di non aver potuto impedire il fatto illecito, come recita il terzo comma dell'art. 2048 c.c.. La giurisprudenza, per parte sua, identifica peraltro la colpa in un comportamento antecedente la commissione dell'illecito, e più precisamente nella violazione dei doveri correlati all'esercizio della responsabilità (già potestà) genitoriale (ed in particolare in quelli di istruzione, educazione e di controllo), con la richiesta di una prova liberatoria di tipo positivo, afferente l'assolvimento di detti doveri, come si vedrà. Nel contempo, si sono ricercati altri criteri di responsabilità dei genitori, indipendenti da una colpa. Si è così affermato che i genitori risponderebbero in forza del loro status, ovvero di una relazione qualificata che li lega ai figli; ma pure si è ritenuta la sussistenza di un dovere di garanzia verso i terzi esposti al rischio di illeciti del minore, attribuendo così a quella dei genitori e tutori natura di responsabilità oggettiva.
L'art. 2048 c.c. non introduce alcuna distinzione fra minori, a seconda della loro età, purchè sussista la capacità del minore stesso. Manca dunque una graduazione della responsabilità civile a carico dei genitori, man mano che il figlio, con l'incrementare dell'età, acquisisce sempre maggiore autonomia. Situazione questa che evidenzia la difficoltà di identificare una colpa dei genitori, in fattispecie molto comuni nella pratica (si pensi ai danni cagionati dal minore alla guida di motoveicoli o autoveicoli, accessibili anche a chi non abbia ancora raggiunto la maggiore età). Più agevole sarebbe allora fare riferimento a criteri di responsabilità oggettiva, per meglio tutelare la posizione del danneggiato. Se il minore è capace di intendere e volere, risponde in proprio dell'illecito commesso; la sua responsabilità si aggiunge e concorre con quella dei genitori. Si è dunque in presenza di un'ipotesi di responsabilità solidale ex art. 2055 c.c.. Se il minore coabita con entrambi i genitori, padre e madre sono corresponsabili dell'illecito a prescindere dall'entità e del grado delle relative colpe. Eventuali assenze di colpa in vigilando o in educando, in relazione alla suddivisione tra i genitori dei compiti di istruzione e di crescita dei figli potranno rilevare solo nei rapporti interni, attraverso l'esercizio dell'azione di regresso. Il vincolo di solidarietà esclude la sussistenza di un litisconsorzio necessario: il danneggiato potrà dunque citare entrambi i genitori o uno solo, eventualmente insieme con il minore, la cui responsabilità civile dovrà comunque essere accertata. Genitori
La responsabilità civile fa capo ai genitori, senza alcuna distinzione per il fatto che la nascita sia avvenuta all'interno, ovvero al di fuori del matrimonio (purché in questo caso il vincolo di filiazione sia stato formalizzato con il riconoscimento, ovvero accertato in sede giudiziale). Ovviamente, anche i genitori adottivi sono assoggettati al regime in esame, e ciò tanto in presenza di adozione piena, quanto in quella in casi particolari ex art. 44 l. n. 184/1983: in questa seconda fattispecie grava infatti sull'adottato l'adempimento degli stessi obblighi dei genitori, in base all'art. 48, comma 2, l. n. 184/1983. La responsabilità di entrambi i genitori permane pure dopo la separazione, il divorzio o la cessazione della convivenza; e ciò a prescindere dal tipo di regime di affidamento disposto. Ciò è indubbio, ove sia stato disposto l'affidamento condiviso, ma altrettanto deve dirsi nell'ipotesi di affidamento esclusivo; infatti, il genitore non affidatario, ai sensi dell'art. 337-quater c.c. mantiene il dovere di vigilare sull'istruzione e sull'educazione dei figli. Se mai, come si vedrà, l'esclusione di responsabilità potrebbe indursi dalla mancanza di coabitazione con il minore.
Tutori
Ai genitori l'art. 2048 c.c. equipara il tutore, che svolge attività vicaria dei genitori, nel caso di decesso o di impossibilità ad esercitare la responsabilità genitoriale (art. 343 c.c.). Al tutore dovrà essere equiparato il protutore, nei casi in cui sia chiamato ad operare, ossia quando sussista conflitto di interessi fra il minore e il tutore, ovvero quando questi sia impossibilitato ad esercitare la cura della persona (art. 360 c.c.). Coabitazione
Condizione per il sorgere della responsabilità dei soggetti indicati dall'art. 2048 comma 1 c.c. è che il minore coabiti con loro; ciò in quanto la coabitazione consente lo svolgimento di quella attività di vigilanza e di educazione, il cui mancato assolvimento giustifica la responsabilità medesima. La locuzione “coabitazione” non deve essere intesa come materiale convivenza, bensì come consuetudine di vita comune. Ne consegue che l'allontanamento più o meno lungo del minore per motivi di studio o svago non esclude la responsabilità dei genitori (v. già Cass. 20 aprile 1978, n. 1895); del pari la responsabilità non è esclusa dall'allontanamento, anche se non volontario, del genitore della casa coniugale. Avuto riguardo a quanto sopra, deve affermarsi la perdurante responsabilità del genitore pure quando, a seguito della crisi della coppia genitoriale, il figlio sia affidato o collocato presso uno dei genitori, ovvero presso terzi. Il dovere dei genitori di educare e vigilare sui figli permane anche in caso di affidamento esclusivo all'altro, proprio in quanto espressione del principio generale di cui agli artt. 30 Cost. e art. 147 c.c.; non pare dunque ammissibile che, di regola, un genitore, pur sempre tenuto a farsi carico della crescita del figlio, possa pretendere di andare esente da responsabilità per gli illeciti da quegli posti in essere, adducendo la mancata coabitazione. Concorso dei genitori con terzi
La responsabilità dei genitori o dei tutori potrebbe concorrere con quella di altri soggetti, tenuti ad una specifica vigilanza sul minore, quando l'atto illecito sia ascrivibile anche ad una culpa in educando. Si pensi ai danni che il minore dovesse cagionare nell'esercizio di un'attività lavorativa (art. 2049 c.c.), ovvero quando si trovi sotto la vigilanza di un insegnante o di un maestro (art. 2048 comma 2 c.c.) Prova liberatoria
La formulazione della prova liberatoria è identica nelle previsioni degli artt. 2047 e 2048 c.c. («non aver potuto impedire il fatto»). La giurisprudenza, con una vera e propria opera creativa, ha finito per differenziare in modo sensibile le due fattispecie. In particolare, la prova negativa per i genitori (ed i tutori) del minore capace di intendere e di volere, si traduce in una duplice prova positiva, consistente nella dimostrazione di aver bene educato il minore e diligentemente vigilato la sua condotta. È costante infatti l'affermazione per cui, ai fini della prova liberatoria, non basta la dimostrazione di non aver potuto impedire il fatto dannoso, per essere stato questo cagionato dalla naturale esuberanza del minore (Cass. 10 febbraio 1987, n. 1427), ovvero da una condotta tenuta dallo stesso in assenza dei genitori (Cass. 9 gennaio 2002, n.199; Cass. 17 aprile 1988, n. 2738) o, comunque, senza che questi avessero la possibilità di intervenire per prevenire l'evento (Cass. 21 novembre 1984, n. 5957). Occorre invece la prova di aver svolto nei riguardi del figlio una vigilanza adeguata e di avergli impartito un'idonea educazione, tale da indirizzarlo ad una corretta vita di relazione. Culpa in educando ed in vigilando costituiscono così autonomi criteri di imputazione della responsabilità per il fatto illecito del minore, alla quale il genitore può sottrarsi solo fornendo prove idonee a vincere entrambe le presunzioni (Cass. 29 maggio 1992, n. 6464; Cass. 7 ottobre 1997, n. 9742). In particolare si precisa che l'obbligo di allevare un figlio non possa esaurirsi nell'avviamento all'istruzione obbligatoria con profitto per il minore, ma richieda un processo educativo, da condursi, avuto riguardo alla personalità e alla capacità del minore (Cass. 11 agosto 1997, n. 7459). Quanto alla vigilanza, si pone in evidenza il carattere relativo e non assoluto del dovere, tenuto conto dell'età e dell'indole del figlio (Cass. 9 gennaio 2002, n. 199). I principi ora rappresentati vengono tradotti con modalità diverse nella decisione delle singole fattispecie; spesso si afferma infatti che le stesse modalità dell'illecito possono essere indicative dell'inadeguatezza dell'educazione impartita (Cass. 10 luglio 1988, n. 6741; Cass. 29 maggio 2001, n. 7270; Cass. 7 agosto 2000, n.10357). Talora si ritiene che il dovere di educazione rientrerebbe in quello di vigilanza (Cass. 18 giugno 1985, n. 3664). A prescindere dai criteri adottati, non è comunque agevole per i genitori riuscire a fornire la prova liberatoria richiesta dalla norma. Si potrebbe quasi ipotizzare che il dovere dei genitori di educare e sorvegliare il figlio si trasformi da obbligazione di mezzi in obbligazione di risultato: la responsabilità dei genitori finisce così per essere assoggettata ad un regime liberatorio rigido, quale quello previsto dall'art. 2049 c.c. per il fatto illecito dei dipendenti. La responsabilità di cui all'art. 2048 c.c. tende quindi ad assumere progressivamente caratteri di oggettività. Insegnanti e maestri
L'art. 2048 comma 2 c.c., chiama a rispondere i precettori e «coloro che insegnano un mestiere o un'arte» per il fatto illecito dei loro allievi ed apprendisti, se commesso nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza. La formulazione della norma deve essere attualizzata, facendo riferimento alla figura dell'insegnante e del maestro di una qualunque attività (lavorativa, sportiva, artistica, ecc.). Questa responsabilità, come quella dei genitori, si fonda sempre su un illecito del minore, fornito di capacità naturale di intendere e volere. Anche in questo caso vi è una presunzione di colpa in educando e in vigilando, ancorché con specifico riferimento all'insegnamento impartito. Si discute da tempo se la responsabilità in esame possa essere affermata pure quando gli allievi abbiano raggiunto la maggiore età; ciò in quanto nessun riferimento alla figura del minore, quale autore dell'illecito, è contemplata nel secondo comma dell'art. 2048 c.c.. La giurisprudenza pressoché univoca, insieme a buona parte della dottrina, ha escluso l'estensione della previsione all'illecito del maggiorenne (v. per tutte Cass. 30 maggio 2001, n. 7387; App. Torino 5 aprile 1968, in Arch. Resp. civ. 1968, 913). La responsabilità dell'insegnante potrà se mai essere affermata, nelle singole fattispecie, in base ad altro titolo: art. 2043 c.c., ovvero art. 2050 c.c. (quando, ad esempio, abbia sottoposto l'allievo ad un'attività pericolosa per sé e gli altri). In particolare, per quanto riguarda la responsabilità degli insegnanti, rileverà qualunque tipo di insegnamento, impartito in scuole pubbliche o private, di qualunque ordine e rango. Per gli insegnanti delle scuole materne e delle prime classi delle elementari, più opportuno pare il richiamo all'art. 2047 c.c., per le ragioni già esposte. La responsabilità degli insegnanti ha un ambito più limitato di quella dei genitori; viene infatti in considerazione l'illecito posto in essere dagli allievi, quando si trovano sotto la vigilanzadegli insegnanti stessi; il più generale compito educativo compete infatti solo ai genitori. Ciò non esclude, come anticipato, la possibilità di un concorso di responsabilità fra genitori e insegnanti, quando il minore, pur se sottoposto alla vigilanza di costoro, tenga comportamenti connotati da mancanza di insegnamento e controllo, non arginabili con la sola vigilanza, ancorché adeguata. La posizione della scuola
L'esistenza di un fatto illecito imputabile al minore determina la corresponsabilità dell'insegnante e, di rimando, quella del datore di lavoro ex art. 2049 c.c., ove l'illecito stesso sia stato posto in essere nell'esercizio delle incombenze del dipendente. Il principio è pacifico non solo per gli insegnanti privati, ma pure per quelli di scuole pubbliche, in forza del rapporto organico con la pubblica amministrazione. D'obbligo il richiamo all'art. 61 della l. 11 luglio 1980, n. 312, che limita ai soli casi di dolo o colpa grave la responsabilità del personale scolastico nei confronti dello Stato che risarcisca i danni subiti dalla condotta degli alunni sottoposti alla vigilanza del predetto personale. Si è così ripetutamente affermato che unico legittimato passivo per i danni cagionati dal minore è lo Stato (il Ministero dell'istruzione, università e ricerca), il quale potrà rivalersi nei confronti dell'insegnante e dei soggetti tenuti alla vigilanza, in caso di dolo o colpa grave. Il danno autoprodotto dal minore
Molto si era discusso quanto all'applicabilità dell'art. 2048 comma 2 c.c., per i danni che il minore abbia cagionato a se stesso, durante la vigilanza dell'insegnante. Il contrasto è stato composto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass., S.U., 27 giugno 2002, n. 9346). Si è così precisato che la norma in esame riguarda solo il danno cagionato dall'allievo a terzi. Ove il minore arrechi un danno a se stesso, la responsabilità di chi è preposto alla vigilanza avrebbe natura contrattuale ex art. 1218 c.c.: l'avviamento di un minore ad un'arte o uno sport impegna l'ente che impartisce l'insegnamento ad attuare anche tutte le cautele necessarie perché il minore stesso non abbia a farsi male; la responsabilità, nello specifico, dell'insegnante è conseguenza di quel contatto sociale, che già la giurisprudenza ha da tempo elaborato in relazione ai danni nell'attività medico-chirurgica. La successiva giurisprudenza si è uniformata a tale indirizzo (cfr. Cass. 4 febbraio 2014, n. 2413, in Fam. dir. 2015, 111; Cass. 24 novembre 2011, n. 24835; Cass. 20 aprile 2010, n. 9325). Prova liberatoria
Solo apparentemente la prova liberatoria per gli insegnanti è uguale a quella dei genitori. Gli insegnanti scolastici risponderanno solo per culpa in vigilando, mentre i maestri di altre discipline (sport, guida, ecc.) anche di culpa in educando. La prova di non aver potuto impedire il fatto (e quindi il superamento della presunzione di colpa) grava sull'insegnante. La stessa culpa in vigilando progressivamente si attenua con l'incremento dell'età dei figli. La giurisprudenza tende così a valutare in termini meno rigorosi la prova liberatoria per l'insegnante; si è così affermato più volte che possa andare esente da responsabilità, ove dimostri di essere stato presente al fatto, ma di essere stato impossibilitato materialmente ad impedire l'evento, per il suo carattere imprevedibile e repentino (Cass. 18 aprile 2001, n. 5668; Cass. 22 ottobre 1991, n. 12538). Casistica
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