L'art. 709 ter c.p.c., introdotto nel codice di rito dall'art. 2, l. 8 febbraio 2006, n. 54, disciplina la soluzione delle controversie sorte tra i genitori nell'attuazione di provvedimenti che abbiano regolato l'esercizio della responsabilità genitoriale o le modalità di affidamento dei figli. Lo strumento processuale può essere invocato in tutte le situazioni in cui si registrano gravi inadempienze, ovvero atti che possano arrecare pregiudizio al minore, ostacolando il corretto svolgimento delle modalità di affidamento della prole o di esercizio della responsabilità genitoriale. La disposizione è stata recentemente abrogata dalla c.d. Riforma Cartabia (d.lgs. n. 149 del 2022), ma l’impianto normativo è rimasto sostanzialmente identico a quello dell’art. 709-ter c.p.c. È, pertanto, utile conoscere l’inquadramento, i presupposti e l’ambito di applicabilità della precedente disposizione in tema di violazione dei provvedimenti, stante l’identità di ‘ratio’ della vecchia e della nuova regolamentazione.
Inquadramento. Prima della Riforma Cartabia
L'art. 709 ter c.p.c. viene introdotto nel codice di rito dall'art. 2, l. 8 febbraio 2006, n. 54, per disciplinare la soluzione delle controversie sorte tra i genitori nell'attuazione di provvedimenti che abbiano regolato l'esercizio della responsabilità genitoriale o le modalità di affidamento dei figli. Lo strumento processuale può essere invocato in tutte le situazioni in cui si registrano gravi inadempienze, ovvero atti che possano arrecare pregiudizio al minore, ostacolando il corretto svolgimento delle modalità di affidamento della prole o di esercizio della responsabilità genitoriale. La norma, sebbene inserita nel capo relativo alla separazione personale dei coniugi, si applica anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati (art. 4 l. 8 febbraio 2006, n. 54). La disposizione salvaguarda il rapporto equilibrato tra il minore ed entrambi i genitori, rafforzando, in via indiretta, l'efficacia dei provvedimenti giurisdizionali, nell'ottica della tutela della bigenitorialità.
Nello scenario delle trasformazioni della famiglia i margini di autonomia e delle libere scelte trovano un limite invalicabile nel rapporto tra genitori e figli, ove gli obblighi dei genitori appaiono inderogabili, ed, in quanto tali, non possono essere oggetto di rinuncia da parte dei genitori, tanto da essere meritevoli di essere protetti in una dimensione pubblicistica (Sesta M., Manuale di diritto di famiglia, III, Padova, 2009, 17).
Il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (c.d. Riforma Cartabia) ha introdotto nuove norme di procedura dedicate ai procedimenti che riguardano la persona e la famiglia: le nuove disposizioni sono contenute nel libro II, (nuovo) titolo VI bis del codice di procedura civile (Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie, c.d. procedimento PMF), in particolare negli articoli 473-bis e ss. c.p.c..
A seguito della Riforma, l'art. 709-ter c.p.c. è stato abrogato. La nuova disciplina in sostanza riprende il contenuto della norma abrogata, pertanto, l'illustrazione di quest'ultima disposizione sarà utile anche per inquadrare l'istituto come recentemente regolamento dall'art. 473-bis. 39 c.p.c.
Presupposti
E' evidente che la disciplina in esame non può trovare applicazione in assenza di prole od in presenza di prole maggiorenne, in ragione del fatto che, una volta cessata la responsabilità genitoriale, viene meno anche il presupposto logico e giuridico dell'affidamento (Danovi F., Le misure sanzionatorie a tutela dell'affidamento, art. 709 ter cod. proc. civ., in Riv.trim.proc., 2008, 11, 620). Quanto precede vale nei confronti dei figli, anche maggiorenni, portatori di handicap grave, ai sensi dell'art. 3, comma 3, l. 5 febbraio 1992, n. 104, i quali sono integralmente equiparati ai figli minori, per cui occorre provvedere all'affidamento. Incontroversa l'applicabilità della norma ad ogni rapporto di filiazione conosciuto e disciplinato dall'ordinamento (legittima, legittimata, naturale riconosciuta, naturale non riconoscibile, adottiva legittimante, adottiva in casi particolari).
In evidenza
L'art. 709 ter c.p.c. assicura la tutela del diritto soggettivo del minore alla bigenitorialità, regolando l'esercizio della responsabilità genitoriale e le modalità di affidamento dei figli.
Ambito di applicabilità
Speciali meccanismi sanzionatori e risarcitori possono essere, quindi, azionati in caso di gravi inadempienze, o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore o ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento. Il comma 2 dell'art. 709-ter c.p.c. prevede espressamente che in tali casi il giudice possa, oltre che modificare i provvedimenti in vigore, anche affiancare una vera e propria misura coercitiva, ossia possa, anche congiuntamente:
1) ammonire il genitore inadempiente;
2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore;
3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell'altro;
4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5000 euro a favore della Cassa delle ammende.
L'adozione dei provvedimenti opportuni, ai sensi del primo comma dell'art. 709-ter c.p.c., non può presupporre una condotta inadempiente o comunque pregiudizievole per il minore da parte del genitore, bensì l'esistenza di una controversia che abbia ad oggetto l'affidamento o l'esercizio della responsabilità genitoriale, con la conseguenza che il giudice può intervenire non già per modificare i provvedimenti in essere, ma anche soltanto per consentirne e renderne più agevole l'attuazione.
Nel caso in cui, invece, la richiesta dei provvedimenti si giustifichi sulla base di comportamenti di gravi inadempienze da parte di uno dei genitori o di atti che comunque arrechino pregiudizio alla prole, il giudice interviene anche applicando le sanzioni previste dal secondo comma della norma citata. L'art. 709-ter c.p.c. fa espresso riferimento ad ogni controversia inerente, non soltanto, l'affidamento, ma anche, l'esercizio della responsabilità genitoriale, ed è quindi suscettibile di applicazione in una vasta gamma di fattispecie. Ogni controversia insorta tra i genitori (coniugati e conviventi, separandi, separati, divorziandi, divorziati o non coniugati) in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale ed all'affidamento della prole, può essere regolamentata dalla norma citata, e sarà esperibile, incidentalmente in corso di giudizio, nel caso in cui lo stesso continui a pendere, ed anche in via autonoma e principale, qualora i giudizi medesimi siano conclusi (o altrimenti estinti), o non siano mai stati iniziati. Come abbiamo detto, la norma individua tre tipologie di misure afflittive adottabili nei confronti del genitore inadempiente, e non può non rilevarsi la singolarità rituale delle azioni esperibili come conseguenza delle inadempienze genitoriali, come è naturale riscontrare, secondo l'opinione prevalente, che si tratta sostanzialmente di provvedimenti di coartazione psicologica indiretta, volti a far cessare l'inadempimento degli obblighi familiari. Con riferimento agli obblighi di natura patrimoniale nei confronti della prole, le misure di cui alla disposizione vanno viste in funzione suppletiva rispetto ad un sistema di rimedi e garanzie, quali il processo di esecuzione e le disposizioni della legge sul divorzio, da tempo criticato, in quanto ritenuto non in grado di assicurare efficace tutela a situazioni delicate e di difficile risoluzione.
La difficoltà più significativa riscontrata dalla dottrina e dalla giurisprudenza riguarda l'applicazione della norma proprio con riferimento ai provvedimenti aventi contenuto patrimoniale. Il dibattito ha tratto origine dal carattere infungibile delle misure riguardanti gli aspetti personali del rapporto di filiazione che non consentirebbero l'adozione di misure coercitive, e per tale ragione il legislatore avrebbe previsto una norma ad hoc, la quale non consentirebbe l'estensione a questioni di natura economica del provvedimento in esame (Danovi F., Le misure sanzionatorie a tutela dell'affidamento (art. 709 ter c.p.c.), in Riv. dir. proc., 2008, p. 618). La tesi non è condivisa da chi ritiene che la “ratio” della riforma del 2006 è stata quella di apprestare una tutela “globale” in favore del minore, non limitata ai provvedimenti di affidamento, in quanto l'inciso «modalità di affidamento» di cui all'art. 709-ter c.p.c. è da interpretare come comprensivo degli obblighi economici. Si precisa, altresì, che gli inadempimenti relativi al mantenimento certamente influiscono sul «corretto svolgimento delle modalità di affidamento», con la conseguenza che tra le controversie prese in considerazione dalla norma rientrano anche quelle inerenti al mantenimento del minore e alla ripartizione del contributo tra i genitori (Trib. Modena, ord. 29 gennaio 2007, in Fam. e dir. 2007, 8-9, p. 923; Trib. Termini Imerese 12 luglio 2006, in Foro it. , 2006, I, 3243).
Con riferimento all’ambito di applicabilità, tenuto conto delle novità introdotte dalla c.d. Riforma Cartabia, va precisato che la risoluzione delle controversie sull’esercizio della responsabilità genitoriale, introdotte prima del 28.2.2023, è regolata dall’art. 709-ter c.p.c. e non dalle norme introdotte agli artt. 473-bis e ss c.p.c. dal d.lgs. n. 149 del 2022, in quanto la nuova disciplina, ai sensi della disposizione transitoria di cui all’art. 35, primo comma, si applica ai procedimenti instaurati a partire dal 1 marzo 2023.
L'art. 709-ter c.p.c. e "le punitive damages"
Il risarcimento del danno previsto dai punti 2 e 3 dell'art. 709 ter c.p.c., secondo un indirizzo della dottrina, costituisce una forma di “punitive damages” ovvero di sanzione privata, non direttamente riconducibile alle ipotesi di responsabilità extracontrattuale di cui agli artt. 2043 e 2059 c.c.. La previsione del danno punitivo per l'illecito endofamiliare consente di risolvere, almeno in parte, il rebus della liquidazione equitativa del danno patito dal familiare vittima della lesione dei propri diritti fondamentali che spesso, già nelle attuali decisioni, nasconde intenti giudiziari comprensibilmente sanzionatori della violazione di obblighi di lealtà, fedeltà e rispetto.
Nel nostro sistema giuridico la categoria dei danni punitivi non è espressamente riconosciuta, ma, poiché la legge sull'affidamento condiviso, secondo certa dottrina, recepisce integralmente la disciplina anglosassone e nordamericana, si potrebbe ritenere che sia stato introdotto un “quid novum”, ossia la condanna al risarcimento del danno, la cui finalità è quella di punire l'autore dell'illecito. La tesi si basa sull'assunto che il provvedimento è ancorato alle “gravi inadempienze” e non prevede né la presenza, né la prova della sussistenza di una danno effettivo; inoltre, la presenza di strumenti diversi che il giudice può utilizzare modulandoli a seconda della particolarità del caso, agevolerebbe la funzione sanzionatoria e di induzione psicologica alla rimozione delle condotte illecite, assegnando al giudicante il ruolo, del tutto inedito, di censore e garante delle regole e non più solo risolutore del contrasto. Questa sanzione ha lo scopo di dissuadere l'autore dal rinnovare la realizzazione dell'illecito, evitando che ne commetta un altro nell'immediato futuro. Non potendosi ricondurre la norma a nessuna delle tipologie di danno esistenti, si tende ad escludere la funzione compensatoria dei provvedimenti, esprimendosi in termini di una generica natura sanzionatoria (Facci G., l'art. 709 ter c.p.c., l'illecito endofamiliare e i danni punitivi, in Fam. e dir., 2008, 11, p.1024).
Altri autori ritengono incompatibile con l'ordinamento italiano l'istituto dei danni punitivi, il quale non sarebbe neppure riferibile alla risarcibilità dei danni non patrimoniali o morali. La risarcibilità è sempre condizionata all'accertamento della sofferenza o della lesione determinata dall'illecito e non può essere considerata provata in re ipsa.
Unaltro orientamento considera la natura del provvedimento in termini di pena privata e c'è chi ritiene di distinguere tra le misure sanzionatorie exart. 709 ter c.p.c. e tradizionali rimedi risarcitori di cui agli artt. 2043 e 2059 c.c., individuando una singolare ipotesi di sanzione civile.( Farolfi F., L'art. 709 ter c.p.c.: sanzione civile con finalità preventiva o punitiva?, in Fam e dir., 2009, 6, p.619). La norma persegue la finalità di stimolare i genitori, sotto la minaccia di una sanzione, a cooperare al corretto svolgimento dell'affidamento, per tale ragione, da parte di alcuni, si è ritenuto che l'apparato sanzionatorio possa essere ricondotto alle astraintes di derivazione francese, ovverossia strumenti di coercizione indiretta aventi finalità punitive e non risarcitorie, le quali mirano alla coazione psicologica dell'obbligato prima della realizzazione della condotta illecita, mediante la minaccia della condanna al pagamento di una somma di denaro che si realizzerà soltanto al momento della inosservanza (Lena, sub art. 709 ter cod. proc. civ., in Sesta (a cura di), Codice della famiglia, II, Milano, 2009, 2556).
La giurisprudenza di legittimità ha precisato che l'astreinte non ripara il danno in favore di chi l'ha subito, ma minaccia un danno nei confronti di chi si comporterà in modo indesiderato. La misura coercitiva indiretta riguarda un obbligo già posto all'interno della relazione diretta tra le parti «in quanto derivante dal provvedimento giudiziale e da adempiersi in futuro». La caratteristica del danno punitivo sta, invece, nel fatto di mirare certamente all'adempimento futuro di un obbligo «restando però il contenuto suo proprio quello di sanzione per il responsabile». La Corte prosegue affermando che: «il parallelismo si estende in senso inverso, poiché l'astreinte, se mira a convincere all'adempimento ex post, funziona anche come sanzione per il suo contrario» (Cass. 15 aprile 2015, n. 7613). La Cassazione ha ritenuto finora che l'irrogazione nell'ambito del processo civile di sanzioni con finalità afflittive e deterrenti deve ritenersi contraria all'ordine pubblico, perché estranea ai principi risarcitorio - indennitari propri del nostro ordinamento (Cass. 19 gennaio 2007, n.1183).
L'orientamento prevalente della dottrina tende a far rientrare la disciplina nell'ambito del danno non patrimoniale, ritenendo che l'art. 709 ter c.p.c. costituisca una norma speciale rispetto all'art. 2043 c.c., col quale condivide la natura, la ratio e le modalità di risarcimento del danno.
Per la giurisprudenza di merito (Trib. Varese, 7 maggio 2010), il risarcimento del danno previsto dall'art. 709 ter c.p.c. rientra nel danno non patrimoniale dell'art. 2059 c.c., con la conseguenza che esso dovrà essere qualificato in una delle sottovoci contenute nella categoria e conseguentemente provato. Si obietta che affermare la riconducibilità delle misure di cui ai numeri 2 e 3 all'interno della categoria degli strumenti di tutela risarcitoria significherebbe legare l'adozione delle stesse all'accertamento dell'esistenza di un danno ed alla sua quantificazione (basata sulla consistenza della lesione). Tale accertamento e tale quantificazione, nella delicata materia della responsabilità genitoriale e dell'affidamento, potrebbero, però, risultare non particolarmente agevole (Cassano G., In tema di danni endofamiliari: la portata dell'art.709- ter, comma 2, c.p.c. ed i danni prettamente “patrimoniali” fra congiunti, in Dir. fam.e pers. 2008, 1, p. 502).
Orientamenti a confronto
Art. 709 ter c.p.c.
La funzione punitiva dell'art. 709 ter c.p.c.
L'art. 709 ter c.p.c., nel prevedere, in caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore o impediscano il corretto svolgimento dell'affidamento condiviso, una sanzione irrogabile per il comportamento lesivo posto in essere all'interno del nucleo familiare, ha introdotto nel nostro ordinamento una figura di danno c.d. punitivi derivanti dall'esperienza dell'ordinamento giuridico statunitense, i quali svolgono la chiara funzione pubblicistica della deterrenza e della punizione (Trib. Vallo della Lucania 7 marzo 2007, in Resp.civ., 2007, 5, p.472)
Applicabilità della norma in caso diinadempimento degli obblighi di mantenimento della prole
I provvedimenti sanzionatori di cui all'art. 709 ter, comma 2, c.p.c., possono essere disposti anche nel caso di inadempimenti all'obbligo di mantenimento del figlio (Trib. Padova 3 ottobre 2008, in Resp. Civ., 2008, 12, p. 1047)
“Punitive damages”
In tema di separazione dei coniugi, il risarcimento dei danni in favore del minore o di un genitore, previsto dall'art. 709 ter c.p.c., in caso di gravi inadempienze e di violazione dei provvedimenti sull'affidamento dei figli minori da parte dell'altro genitore, ovvero di condotte pregiudizievoli per i minori stessi, non ha natura compensativa, ma assolve ad una funzione sanzionatoria deterrente della condotta del genitore per evitare che nel futuro lo stesso continui a rendersi inadempiente rispetto ai propri obblighi nei confronti della prole e al contenuto dei provvedimenti (Trib. Messina 8 ottobre 2012, in Danno e Resp., 2013, 4, 409)
Il ruolo del giudice nell'applicazione dei provvedimenti ex art. 709 ter c.p.c.
La massiccia ingerenza voluta dal Legislatore con l'innesto nel codice di rito dell'art. 709 ter c.p.c. presuppone, per potersi considerare legittima e in reale sintonia con gli obiettivi segnati dall'impianto normativo, che il mancato perfezionamento dell'accordo tra i genitori esercenti la potestà (n.d.r. responsabilità genitoriale) sia accertato come insuperabile e lo stesso integri, un consistente pregiudizio dei suoi più pregnanti interessi. Di conseguenza, la pur prevista ingerenza giurisdizionale è da intendersi quale estremo rimedio nell'interesse della prole minore, quanto a dire come intervento del tutto residuale per i casi nei quali qualsiasi tentativo di accordo tra i genitori sia definitivamente accertato come infruttuoso (Trib. Milano, sez. IX civ., decr., 5 dicembre 2012)
Ammonizione ed altre sanzioni ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c.
I comportamenti in concreto sanzionabili non sono, ovviamente, classificabili in modo tassativo; tra questi, ad esempio, possono rientrare le ipotesi di reiterata violazione della disciplina delle frequentazioni, oppure casi in cui siano state assunte decisioni di rilievo da un genitore senza che siano state concordate con l'altro, tanto più se non conformi all'interesse del minore, come, in specie, le ipotesi di trasferimento di residenza effettuato unilateralmente, in modo repentino (e magari del tutto arbitrario) del genitore con il quale il minore convive.
Il giudicante deve tenere conto di tutti i comportamenti genitoriali che siano in qualsiasi modo manipolatori ed invasivi nella sfera psichica del figlio, e, se si dà rilievo alla prospettiva sanzionatoria, appare importante la gravità della condotta e non l'evento lesivo in sé considerato. Con la prescrizione dell'”ammonimento” di cui all'art. 709 ter, 2 comma, n. 1, c.p.c. il legislatore ha rilevato la valenza imperativa e cogente dei provvedimenti sull'affidamento della prole, introducendo un richiamo per evitare ulteriori inottemperanze, con conseguenti misure più incisive in caso di reiterazione delle violazioni.
I provvedimenti previsti dai nn. 2 e 3 costituiscono, invece, il ristoro economico di danni tipicamente economici o patrimoniali, anche se riferiti ad aspetti personali e psicologici delle relazioni familiari, potendo anche riferirsi a danni non patrimoniali, attinenti alla sfera intima della persona. Il provvedimento di cui al n. 4 della norma in commento, infine, introduce proprio una sanzione privata in favore della Cassa delle ammende, e risulta particolarmente adatto in tutte le situazioni in cui il comportamento lesivo non abbia, in concreto, cagionato veri e propri danni al minore e al genitore.
Va precisato che la Corte costituzionale, con sentenza Corte cost. 10 luglio 2020, n. 145, ha affermato che l'art. 709-ter comma 2, c.p.c., va interpretato nel senso che il mancato pagamento dell'assegno di mantenimento della prole, nella misura in cui è già sanzionato penalmente, non rientra tra le condotte inadempienti per le quali può essere irrogata la sanzione pecuniaria ‘amministrativa' di cui al n. 4) della medesima disposizione; tale sanzione riguarda infatti le sole obbligazioni infungibili relative alla responsabilità genitoriale e all'affidamento di minori. Secondo la Consulta, la disposizione di cui all'art. 709-ter c.p.c. rinviene la sua ratio nell'esigenza di assicurare una tutela effettiva rispetto all'adempimento di una serie di obblighi di carattere prevalentemente infungibile nei confronti della prole che, prima dell'emanazione della stessa, mancavano di efficaci strumenti ci attuazione e di coazione. In tale prospettiva, la sanzione pecuniaria ‘amministrativa' contemplata dall'art. 2 della legge n. 54 del 2006, che ha introdotto appunto l'art. 709–ter c.p.c., è simmetrica a quella prevista dal successivo art. 3, da cui si evince che gli obblighi patrimoniali relativi all'assegno di mantenimento, eseguibili nelle forme del processo esecutivo per espropriazione, è presidiata in sede penale dal reato di cui all'art. 570-bis c.p. e, qualora il mancato pagamento dell'assegno di mantenimento si risolva in deprivazione dei mezzi di sussistenza, financhè da quello di cui all'art. 570, c. 2, n. 2), c.p. Secondo la Corte, il parallelismo tra le due disposizioni, aventi finalità differenti, esclude che la condotta sanzionata come reato dagli artt. 570 e 570 – bis c.p. possa essere sanzionata anche con la pena pecuniaria ‘amministrativa' dell'art. 709-ter c.p.c..A tale riguardo, v. infra le novità introdotte dalla Riforma Cartabia.
La limitata incisività dell'art. 709 ter c.p.c.
L'art. 709 ter c.p.c. viene introdotto dalla l. n. 54/2006 a seguito delle continue sollecitazioni delle associazioni di papà separati che lamentavano le continue difficoltà di esercitare ed implementare il proprio diritto di visita, pur giudizialmente riconosciuto e regolamentato, con i figli minori, a causa di condotte impeditive ed ostruzionistiche della madre affidataria. Nonostante le novità della norma, molti lamentano la scarsa efficacia ed incisività, riscontrata anche da alcune decisioni della giurisprudenza sovranazionale. Anche se le intenzioni del legislatore possono ritenersi in via astratta lodevoli, non può non registrarsi la non opportuna collocazione della disposizione, che avrebbe meritato un provvedimento legislativo autonomo, consentendo di precisarne i presupposti applicativi, i profili di competenza e procedimentali, nonché il coordinamento con altre disposizioni che, attinenti all'esercizio della responsabilità genitoriale, nella prassi finiscono con il sovrapporsi. Infatti, tutti i dubbi registrati dalla dottrina, all'indomani dell'approvazione della legge, hanno trovato conferma nelle incertezze delle decisioni delle Corti (Schlesinger P., l'affidamento condiviso è diventato legge! Provvedimenti di particolare importanza, purtroppo con inconvenienti di rilievo, in Corr.giur.2006,3 p. 301).
Tre recenti pronunce dei giudici di Strasburgo sembrano rilevare come nell'ordinamento italiano il diritto dei figli minori e dei padri non coabitanti alla reciproca frequentazione non sia efficacemente tutelato (C. EDU, 30 giugno 2005, Bove c. Italia; C. EDU, 2 novembre 2010, Piazzi c. Italia; C. EDU, 29 gennaio 2013, Lombardo c. Italia). Nel caso di Piazzi c. Italia, la Corte EDU ha affermato che le autorità nazionali hanno dato eccessivo peso alla volontà negativa del figlio, violando così il diritto alla vita familiare del genitore rifiutato, oltre che del figlio stesso. Mentre nel caso Lombardo c. Italia, la Corte EDU, pronunciandosi sul ricorso di un padre che lamentava la violazione del diritto al rispetto della vita familiare con la figlia minore, con lui non convivente, da parte dei tribunali, aditi per garantire il diritto di visita alla bambina, nonché dai servizi socio-sanitari, chiamati dal giudice a predisporre interventi diretti all'attuazione delle decisioni giudiziarie, ha accolto la domanda riconoscendo l'avvenuta violazione dell'art. 8 CEDU. Secondo la decisione della Corte EDU il giudice del merito, tenuto all'attuazione dei provvedimenti pronunciati ai sensi dell'art. 709 ter, comma 1, c.p.c., non può esimersi, in relazione all'obbligo positivo con cui lo Stato è tenuto in forza dell'art. 8 CEDU, dal rendere effettivo il rispetto della vita familiare.
La Riforma Cartabia e l'art. 473-bis. 39 c.p.c.
Con il d.lgs. n. 149 del 2022 (c.d. Riforma Cartabia), nei casi in cui si verifichino le inadempienze sopra illustrate, il legislatore ha previsto un articolo specifico per disciplinare la fattispecie: l'art. 473-bis.39 c.p.c. La disposizione ripropone il contenuto, con qualche modifica, dell'abrogato art. 709-ter c.p.c., ed ha la peculiarità di rafforzare i poteri officiosi del giudice. La norma prevede che: “in caso di gravi inadempienze, anche di natura economica, o di atti che arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento e dell'esercizio della responsabilità genitoriale, il giudice può d'ufficio modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente:
ammonire il genitore inadempiente;
individuare ai sensi dell'articolo 614 bis la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione del provvedimento;
condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro ad un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende.
Il giudice può inoltre condannare il genitore inadempiente al risarcimento dei danni a favore dell'altro genitore o, anche d'ufficio, del minore. I provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari.”
L'interpretazione della giurisprudenza precedente alla Riforma sull'ambito applicativo dell'art. 709-ter c.p.c. può, pertanto, essere estesa anche alle fattispecie regolamentate dalla nuova disposizione, stante l'identità di ‘ratio' legis e delle in concreto condotte sanzionabili. Tra le differenze più rilevanti con la vecchia disciplina è che, per ‘gravi inadempienze' che possono sollecitare l'intervento del giudice, si considerano anche quelle di natura economica. La novità legislativa sembra disattendere l'indirizzo espresso dalla Consulta, con sentenza 10 luglio 2020, n. 145, secondo cui l'art. 709-ter, comma 2, c.p.c. doveva essere interpretato nel senso che il mancato pagamento dell'assegno di mantenimento della prole, nella misura in cui è già sanzionato penalmente, non doveva essere compreso nel novero delle condotte inadempienti per le quali poteva essere irrogata dall'autorità giudiziaria adita la sanzione pecuniaria del pagamento alla Cassa delle Ammende. Come precisato sopra, secondo la Corte costituzionale, le condotte sanzionabili dovevano essere tutte quelle che potevano costituire oggetto di obblighi relativi alla responsabilità genitoriale e all'affidamento di minori.
La norma concede al giudice il potere d'ufficio di individuare, ai sensi dell'articolo 614-bis c.p.c., la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni giorno di ritardo. La ‘ratio' di tale regolamentazione viene chiaramente spiegata nella Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, laddove si precisa che: “Il giudice una volta verificata la sussistenza dei descritti comportamenti incidenti negativamente sul corretto svolgimento del programma di affidamento, ovvero anche per gravi inadempienze di ordine economico, può intervenire a modificare il provvedimento vigente e, anche in assenza di istanza di parte, procedere a condannare le parti al pagamento delle sanzioni descritte dalla norma. La natura di queste ultime, tipicamente sanzionatoria, può essere ricondotta, a quei ‘punitive damnages' molto diffusi nei paesi di Common law, previsti in relazione a comportamenti denotati dalla c.d. ‘malice' (assimilabile al dolo nel nostro ordinamento) relativi alla possibile lesione di diritti fondamentali. La natura sanzionatoria assimilabile tipicamente a quella di natura penale di tali provvedimenti ne consente la cumulabilità con il risarcimento del danno previsto dal successivo quarto comma dell'articolo in esame. Risarcimento al quale il giudice può procedere anche d'ufficio nel caso venga disposto in favore del minore”.
La novella legislativa si applica a tutte le ‘famiglie', ossia a tutti i modelli familiari, vuoi che si tratta di coppie unite in matrimonio, vuoi che si tratti di convivenze di fatto. Le nuove norme si applicano anche alle unioni civili tra persone dello stesso sesso. Le novità legislative riguardano anche le controversie tra genitori non legati da vincolo matrimoniale.
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