Ordini di protezione contro gli abusi familiari
01 Luglio 2024
Inquadramento Aggiornamento a cura di L. Dell'Osta Nell'ambito del sempre più articolato arsenale finalizzato alla tutela della parte debole di un rapporto (e, non secondariamente, degli eventuali figli minori), un ruolo non marginale occupano gli ordini di protezione contro gli abusi familiari, istituto introdotto nel nostro ordinamento con la legge 4 aprile 2001, n. 154 («Misure contro la violenza nelle relazioni familiari») la quale, per quanto qui di rilievo, ha modificato il codice civile e il codice di procedura civile introducendo i nuovi artt. 342-bis e 342-ter c.c. e 736-bis c.p.c. L'originaria disciplina – contenuta, come appena accennato, parte nel cod. civ. e parte nel cod. proc. civ. – è stata riordinata dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (cd. “riforma Cartabia”), che ha apportato modifiche al cod. proc. civ. introducendo gli artt. 473-bis.69 e segg.; per esplicita previsione dal d.lgs. 149/2022, come modificato dalla l. 29 dicembre 2022, n. 197, le nuove disposizioni si applicano ai procedimenti instaurati successivamente al 28 febbraio 2023, mentre ai procedimenti pendenti a tale data continuano ad applicarsi le disposizioni anteriormente vigenti. Come è stato correttamente sottolineato, «l'ordine di protezione civilistico di allontanamento dalla casa familiare è teso a limitare la conflittualità nell'ambito domestico, nonché a favorire il recupero della normalità delle relazioni e ad evitare la separazione dei coniugi» (C. Minnella, Ordine di protezione contro gli abusi familiari: nel bilanciamento di interessi prevale quello delle vittime di maltrattamenti, in Giur. merito, fasc. 2, 2013, p. 296), potendo quindi rivelarsi massimamente utile all'emergere delle prime criticità e quando il rapporto non sia ormai così compromesso da rendere necessario (anche) l'intervento del giudice penale; si è in presenza, quindi, di una misura che non si sostituisce né si sovrappone ai provvedimenti, generalmente più incisivi, che possono essere adottati dal giudice penale, ma che intende governare la conflittualità di coppia in una fase, come si vedrà, ancora fluida e suscettibile di essere arginata e contenuta. Gli ordini di protezione. presupposti soggettivi La giurisprudenza ha inteso offrire un'interpretazione ampia del rapporto di “convivenza” che deve sussistere quale presupposto per l'emanazione degli ordini di protezione contro gli abusi familiari. Così, sono stati emanati ordini a protezione dei genitori nei confronti dei figli (Trib. S. Angelo Lombardi, 2 novembre 2011 e Trib. Messina, 24 settembre 2005), e comunque in tutti i casi in cui soggetto abusante e vittima occupino, in via di fatto, la stessa abitazione, «anche senza formare un unico nucleo familiare» (Trib. Prato, 8 giugno 2009). Va poi segnalato, d'altro canto, che la l. 76/2016 ha esplicitamente esteso la tutela anche alle parti di una unione civile (art. 1 comma 14). Occorre poi evidenziare che, ben prima delle modifiche apportate dal d.lgs. 149/2022, la giurisprudenza di merito si era interrogata sulla possibilità di adottare un ordine di protezione anche nei confronti di soggetti che non fossero (più) effettivamente e stabilmente conviventi. In effetti, un risalente orientamento giurisprudenziale riteneva indispensabile tale requisito, sulla base di una interpretazione letterale della norma e temuto conto del fatto che l'art. 8 legge 4 aprile 2001, n. 154 prevedeva l'improponibilità del ricorso (e la cessazione degli effetti dell'eventuale ordine di protezione già emesso) in caso di adozione di provvedimenti urgenti in sede di separazione o cessazione degli effetti civili del matrimonio. Diverso orientamento valorizzava la ratio dell'istituto (ossia «non […] tanto […] interrompere situazioni di “convivenza turbata”, quanto piuttosto […] impedire il protrarsi di comportamenti violenti in ambito familiare, gravemente pregiudizievoli per l'integrità fisica o morale o per la libertà dell'altro coniuge o convivente»; Trib. Firenze, decreto 15 luglio 2002, in Fam. dir., 2003, 264) per fondare l'applicabilità dell'istituto anche nei confronti di partner non più conviventi. Il legislatore ha recepito questa ultima impostazione giurisprudenziale in quanto il d.lgs. 149/2022 ha abrogato l'art. 8, l. 4 aprile 2001, n. 154 e ha esplicitamente previsto, nell'ultimo periodo dell'art. art. 473-bis.69 c.p.c., la possibilità che gli ordini siano adottati, ricorrendone i presupposti, anche quando la convivenza è cessata. Gli ordini di protezione. Presupposti oggettivi La novella del 2022 non è intervenuta a modificare i cd. presupposti oggettivi, che ricalcano ora quanto già prevedeva l'art. 342-bis c.c., ove faceva riferimento a condotte del coniuge o del convivente che fossero causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale o alla libertà dell'altro partner. L'inciso “qualora il fatto non costituisca reato perseguibile d'ufficio”, contenuto nell'originaria formulazione del 2001, era già stato soppresso dall'art. 1 della l. 6 novembre 2003, n. 304: con tale modifica il legislatore aveva inteso sganciare la tutela civilistica da quella penalistica, così da impedire che la prima divenisse meramente ancillare rispetto alla seconda. Allo stato, pertanto, l'ordinamento offre una doppia tutela, civile e penale; pare non residuino margini, invece, per l'applicazione di provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c. Scopo delle previsioni qui in commento è quello di accordare «una risposta anche alle situazioni meritevoli di attenzione da parte dell'ordinamento giuridico, perché lesive della libertà della persona offesa: la finalità dell'ordine di protezione è quindi la prevenzione del pregiudizio, essendo diretto a evitare l'aggravamento del danno se già in atto o a evitarne l'insorgenza se ancora non si sia prodotto» (così Trib. S. Angelo Lombardi, 2 novembre 2011, che a sua volta cita, in termini, Trib. Napoli, 2 luglio 2008). Ora, le norme non tipizzano le condotte del partner/convivente; l'unico requisito è che i comportamenti siano causa di grave pregiudizio all'integrità fisica, o morale, o alla libertà dell'altro coniuge o convivente. L'utilizzo della congiunzione disgiuntiva «o» induce a ritenere che sia sufficiente che la condotta dell'abusante integri uno solo degli eventi descritti. Inoltre, la formulazione letterale della disposizione fa credere che il giudice a cui viene richiesto l'ordine di protezione disponga della più ampia discrezionalità. Indicazioni più precise per circoscrivere la portata della norma in esame possono essere desunti dalla giurisprudenza, di merito e di legittimità, e dai lavori parlamentari. Per questi ultimi, «la gamma dei comportamenti da considerare è tanto vasta da non consigliare una tipizzazione analitica: aggressione all'incolumità fisica, violenza morale e psicologica, costrizioni, minacce, maltrattamenti, abusi sessuali, privazione e menomazione della libertà di movimento o di determinazione. Per questa ragione si è preferito evitare di schematizzare l'abuso familiare in una rigida definizione e porre, invece, l'accento essenzialmente sul pregiudizio che la condotta arreca all'integrità o alla libertà fisica o morale del soggetto passivo dell'abuso. In tal modo, ogni tipo di comportamento che sia ritenuto lesivo degli interessi tutelati dal provvedimento potrà agevolmente rientrare nella previsione». Ancora, «nell'ambito del pregiudizio alla libertà o all'integrità fisica e morale dovranno comprendersi, oltre alle situazioni di danno immanente, anche i comportamenti tali da determinarne il concreto ed incombente pericolo: il pregiudizio, infatti, è agevolmente ravvisabile non soltanto quando il danno si sia già verificato, ma anche quando vi è grave pericolo che esso si verifichi. Naturalmente, l'apprezzamento della sussistenza del pericolo e della sua gravità nella fattispecie al suo esame è rimesso alla prudente valutazione del giudice» (così Senato della Repubblica, Relazione della seconda commissione permanente, ddl n. 2675, 72 e 159-A, 27 novembre 1998). È pertanto evidente che il grave pregiudizio debba essere inteso nel senso più ampio possibile, «come libertà personale, di circolazione, di lavoro ecc.»; la condotta deve essere «tale da determinare un vulnus alla dignità dell'individuo, o per le modalità dell'offesa arrecata o per la ripetitività o la prolungata durata nel tempo della sofferenza patita» (v. Trib. Vercelli, 22 marzo 2024; Trib. Reggio Calabria, 13 marzo 2008; Trib. Bari, 18 luglio 2002). Elemento soggettivo Per quanto riguarda l'elemento psicologico, la giurisprudenza ritiene che non sia necessaria la sua presenza (né quella della capacità di intendere e di volere) quale autonomo presupposto degli ordini di protezione contro gli abusi familiari (Trib. S. Angelo Lombardi 2 novembre 2011; Trib. Rovereto 26 luglio 2007). Il contenuto degli ordini di protezione L'art. 473-bis.69 c.p.c. (che si differenzia dall'art. 342-ter c.c. in minima parte) chiarisce quali siano i contenuti che possono assumere gli ordini di protezione. Un'analisi della lettera del testo induce a ritenere che vi siano alcuni contenuti necessari e altri facoltativi. Per quanto riguarda il contenuto necessario, vanno evidenziati:
La norma poi prosegue indicando ulteriori prescrizioni e obblighi che possono essere impartiti dal giudice «ove occorra»:
I divieti e le prescrizioni sopra elencate possono anche essere cumulativi; rientra nella discrezionalità del giudice, preso atto della situazione concreta, parametrare il contenuto del decreto di protezione sulla base delle reali esigenze delle vittime degli abusi (così Trib. S. Angelo Lombardi, 2 novembre 2011). Con il decreto in cui il giudice stabilisce l'ordine di protezione, deve essere anche indicato il termine massimo di durata, che non può essere superiore a un anno (fino alla modifica intervenuta con il d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, conv. in l. 23 aprile 2009, n. 38, il termine massimo era di sei mesi), e che decorre dal giorno dell'avvenuta esecuzione dell'ordine di protezione. In ogni caso, il decreto può essere prorogato anche oltre il termine massimo di un anno, ma solo per il tempo strettamente necessario e qualora ricorrano gravi motivi. Procedimento La disciplina degli ordini di protezione è regolata dal principio dell'impulso di parte (il giudice, infatti, non può intervenire d'ufficio). La relativa istanza va proposta, non necessariamente con l'ausilio di un avvocato ma anche dalla parte personalmente, con ricorso rivolto al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell'istante. Il presidente del tribunale assegna la trattazione del ricorso a un giudice dell'ufficio, il quale, dopo aver sentito le parti, procede alla fase istruttoria nel modo che ritiene più opportuno. In particolare, ai sensi dell'art. 736-bis comma 2 c.p.c., può disporre indagini sui redditi, sul tenore di vita e sul patrimonio personale e comune delle parti, anche per mezzo della polizia tributaria. La decisione assume la forma di decreto motivato, immediatamente esecutivo. Il Tribunale decide in camera di consiglio in composizione monocratica. Tuttavia, qualora vi sia una situazione di urgenza, il giudice può assumere immediatamente l'ordine di protezione – assunte, se del caso e ove occorra, sommarie informazioni – fissando contestualmente l'udienza di comparizione delle parti entro un termine non superiore a quindici giorni, e fissando un termine non superiore a otto giorni per la notifica del ricorso. All'udienza di comparizione il giudice può confermare, revocare oppure modificare l'ordine di protezione che aveva precedentemente emanato inaudita altera parte. Il decreto motivato del giudice, qualunque sia il suo contenuto, può essere reclamato davanti al tribunale – che provvede in camera di consiglio, in composizione collegiale, ascoltate le parti – entro i termini previsti dall'art. 739 c.p.c. (dieci giorni dalla comunicazione del decreto se è dato in confronto di una sola parte, o dalla notificazione se è dato in confronto di più parti). Il reclamo non sospende l'esecutività dell'ordine di protezione; il decreto con cui il collegio decide sul reclamo non è più impugnabile. Tale ultimo punto è stato chiarito anche dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha evidenziato che tale decreto «non è impugnabile per Cassazione né con ricorso ordinario – stante l'espressa previsione di non impugnabilità contenuta nell'art. 736-bis c.p.c. – né con ricorso straordinario ai sensi dell'art. 11 Cost., giacché detto decreto difetta dei requisiti della decisorietà e della definitività» (Cass. civ., sez. I, 6 novembre 2009, n. 23633; anche Cass. civ., sez. I, 15 gennaio 2007, n. 625 e Cass. civ., sez. I, 5 gennaio 2005, n. 208). Infine, per quanto riguarda la natura del procedimento, pare potersi escludere che il peculiare istituto qui in esame possa essere ricondotto alla tutela cautelare, dal momento che non è strumentale a una successiva fase di merito (in tal senso, come già ricordato supra, si esclude che in materia di abusi familiari possano essere disposte misure ex art. 700 c.p.c., essendo le situazioni di pregiudizio completamente tutelabili dalle previsioni di cui alla l. 154/2001). Va evidenziato che con il d.lgs. 149/2022 che ha introdotto, in parte qua, l'art. 473-bis.69 c.p.c. (per i ricorsi successivi al 28 febbraio 2023), ha attribuito legittimazione attiva anche al pubblico ministero nel caso in cui la condotta del coniuge partner possa «arrecare pregiudizio ai minori»; in questo caso la competenza è del Tribunale per i minorenni. Deve intendersi, chiaramente, che la competenza (nel caso previsto dall'art. 473-bis.69 comma 1 c.p.c. e in quello previsto dal successivo co. 2) sarà definitivamente e complessivamente attribuita all'instaurando Tribunale per le persone, i minorenni e le famiglie a far data dal 17 ottobre 2024. Se obiettivo di questa Bussola è un approfondimento degli aspetti di natura civilistica, appare comunque doveroso, per completezza di informazione, analizzare la l. 154/2001 anche nella sezione in cui apporta modifiche al codice di procedura penale e, in particolare, al titolo Misure cautelari personali. L'art. 1, l. 154/2001, infatti, ha introdotto l'art. 282-bis (Allontanamento dalla casa familiare), il quale prevede che il giudice penale, in presenza dei richiesti requisiti (fumus e periculum), può disporre che l'indagato si allontani immediatamente dalla casa familiare, o che non vi faccia più rientro. Il rientro può comunque essere autorizzato dal giudice che procede, il quale può anche prescrivere determinate modalità di visita (art. 282-bis comma 1). Nel caso in cui sussistano anche ulteriori esigenze di tutela della parte offesa o dei suoi prossimi congiunti, il giudice può prescrivere all'indagato di non avvicinarsi a determinati luoghi, che sono identificati nel provvedimento applicativo della misura cautelare, e che si riferiscono in particolare ai siti abitualmente frequentati dalla persona offesa, quali il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti. Il giudice può autorizzare la frequentazione di tali posti solo per motivi di lavoro, e in tal caso deve prescrivere le relative modalità e può imporre limitazioni (art. 282-bis comma 2). Su richiesta del pubblico ministero, inoltre, il giudice può ingiungere il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, a causa dell'allontanamento dell'indagato, rimangano prive di mezzi adeguati. Il giudice deve parametrare l'entità della somma dovuta alle circostanze e ai redditi dell'obbligato; inoltre, nello stabilire le modalità di corresponsione del denaro, può ordinare che l'assegno sia versato direttamente al beneficiario da parte del datore di lavoro dell'obbligato, il quale potrà poi detrarlo dalla retribuzione a quest'ultimo spettante. Questa misura è particolarmente significativa in quanto – come emerge dalle relazioni parlamentari (si vedano Senato della Repubblica, Relazione della seconda commissione permanente, ddl n. 2675, 72 e 159-A, 27 novembre 1998; Camera dei deputati, Relazione al ddl n. 5979-A, XIII legislatura) – si era rilevato che, non infrequentemente, le vittime dei reati non denunciavano gli abusi subiti per timore di ritorsioni di natura economica da parte dell'abusante. Infine, i provvedimenti che non siano il mero allontanamento dalla casa familiare possono essere assunti anche successivamente, sempre che l'allontanamento dalla casa familiare non sia stato revocato o non abbia perduto efficacia. Le statuizioni del giudice penale sull'assegno a favore delle persone conviventi cessano di avere effetti anche qualora sopravvenga un provvedimento del giudice civile che disciplini i rapporti economico-patrimoniali tra coniugi o il mantenimento dei figli. V'è un problema in ordine al potenziale conflitto tra una misura cautelare ex 282-bis c.p.p. disposta dal giudice penale e un ordine di protezione emanato ai sensi degli artt. 473-bis.69 e segg. c.p.c.; la Cassazione, seppure con riferimento all'art. 282-ter c.p.p. (Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, inserito dal d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, conv. in l. 23 aprile 2009, n. 38), ha chiarito che divieto del bis in idem non è applicabile in relazione al provvedimento cautelare emesso ai sensi dell'art. 282-ter c.p.p., il cui contenuto contrasta con quello di un ordine di protezione contro gli abusi familiari precedentemente disposto dal giudice civile e non reclamato. E questo sia perché le decisioni assunte in sede civile sono subordinate al soddisfacimento dell'onere probatorio di parte, sia perché la lettera dell'art. 649 c.p.p. prevede la sola impossibilità di sottoposizione “a nuovo giudizio penale” (Cass. pen., sez. VI, 12 marzo 2013, n. 16259). Casistica
Tabella di raffronto: vecchia e nuova disciplina
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