Divorzio: procedimento e impugnazioni

Giulia Sapi
02 Agosto 2016

L'art. 149 c.c. prevede che lo scioglimento del matrimonio consegue alla «morte di uno dei coniugi e negli altri casi previsti dalla legge», disciplinati questi ultimi solo dalla l. n. 898/1970 che ha introdotto il divorzio quale causa estintiva del vincolo matrimoniale, nelle ipotesi in cui la comunione materiale e spirituale tra i coniugi sia irreversibilmente cessata.
Inquadramento

*Valido fino al 28.02.2023

L'art. 149 c.c. prevede che lo scioglimento del matrimonio consegue alla «morte di uno dei coniugi e negli altri casi previsti dalla legge», disciplinati questi ultimi solo dalla l.n. 898/1970 che ha introdotto il divorzio quale causa estintiva del vincolo matrimoniale, nelle ipotesi in cui la comunione materiale e spirituale tra i coniugi sia irreversibilmente cessata. Tale condizione è da accertarsi in base alla sussistenza di una delle cause tassativamente enunciate dall'art. 3 della stessa legge, in presenza delle quali i coniugi possono chiedere lo scioglimento del matrimonio civile o la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario (anche se contratto prima dell'entrata in vigore della legge, Cass.civ. sez. I, n. 14073/2002).

La legge tiene distinte, come cause legittimanti la domanda di divorzio, quelle che discendono direttamente dal compimento di alcuni specifici reati (la cui natura è incompatibile con il rispetto del consorzio familiare) da quelle attinenti a fatti oggettivamente preclusivi del rapporto di coniugio. Tra queste ultime, quella statisticamente prevalente è la pronuncia della separazione personale dei coniugi con sentenza passata in giudicato - nel caso di separazione giudiziale - con decreto di omologazione - nel caso di separazione consensuale - ovvero con accordo concluso a seguito di convenzione di negoziazione assistita.

La sussistenza oggettiva di una delle predette cause non comporta l'automatica estinzione del vincolo matrimoniale, ma va corredata necessariamente con un accertamento in concreto del giudice che, caso per caso, sarà altresì tenuto a valutare la presenza dell'elemento soggettivo della crisi coniugale, identificato dalla giurisprudenza nelle varie circostanze da cui possa desumersi l'effettiva impossibilità di riconciliare le parti. Non costituisce poi (più) causa automatica di scioglimento del vincolo la sentenza di rettificazione di sesso, a seguito della declaratoria di incostituzionalità dell'art. 4 l. n. 154/1982 (C. Cost. n. 170/2014).

Il divorzio "breve"

Nel contesto di riforme avviate con l'obiettivo di accelerare i tempi per l'ottenimento del divorzio, tra cui la negoziazione assistita e gli accordi davanti al Sindaco (l. n. 162/2014), si inserisce altresì la l. n. 55/2015 che ha introdotto nel nostro ordinamento il cosiddetto “divorzio breve”. Nello specifico la norma ha apportato alcune modifiche all'art. 3, n. 2, lett. b), l. div. che pertanto oggi prevede che la domanda di divorzio può essere proposta già dopo un periodo di separazione ininterrotta di dodici mesi decorrenti dalla comparizione dei coniugi avanti il presidente del tribunale nel procedimento di separazione, ridotti a sei mesi nell'ipotesi di separazione consensuale – anche a seguito di trasformazione del rito (ma non nel caso di separazione giudiziale su precisazione congiunta delle conclusioni) – ed in quella di negoziazione assistita, nel qual caso i termini decorrono dalla data certificata nell'accordo di separazione. A tal proposito giova ricordare come i previgenti termini fossero fissati, in entrambi i casi, in tre anni, pertanto la riduzione temporale risponde all'evidente ratio di favorire il raggiungimento di un'intesa tra le parti.

La competenza

Competente per materia a conoscere della domanda di divorzio è il tribunale, che decide in composizione collegiale, con intervento obbligatorio del pubblico ministero (art. 50 bis, n. 1, c.p.c.), mentre la competenza territoriale segue regole differenti a seconda che il procedimento venga incardinato su domanda unilaterale o sulla base di un ricorso congiunto.

Nell'ambito del primo caso è intervenuta una pronuncia della Corte costituzionale che ha espunto dall'art. 4, comma 1, l. div. il richiamo all'«ultima residenza comune dei coniugi», sul punto dichiarando l'illegittimità costituzionale della norma (C. cost. 19 maggio 2008, n. 169). La disposizione così novellata oggi prevede tre fori esclusivi non concorrenti ma successivi ovvero: il tribunale del luogo dove il coniuge convenuto ha la residenza o il domicilio ovvero, se il coniuge convenuto è irreperibile o sia residente all'estero, il tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell'attore ovvero ancora, se anche questi è residente all'estero, qualunque tribunale della Repubblica.

La domanda congiunta di divorzio, ex art. 4, comma 1, l. div., può essere presentata presso il tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell'uno o dell'altro coniuge.

La competenza territoriale è inderogabile, in ragione della partecipazione necessaria del pubblico ministero al giudizio e l'incompetenza - sia per materia sia per territorio - è soggetta alla disciplina dell'art. 38, commi 1, 3 e 4, c.p.c., dovendo dunque essere eccepita, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta tempestivamente depositata.

Le norme sulla competenza devono poi essere coordinate con i regolamenti europei in materia di “competenza giurisdizionale” e in particolare modo con il Reg. UE 2201/2003, che ha regolamento tutte le ipotesi di divorzio c.d. “internazionale” ovvero incide su legami matrimoniali che presentino elementi di transnazionalità (cfr. P. Amisano, Divorzio internazionale: competenza giurisdizionale, in ilFamiliarista.it)

Il ricorso introduttivo

La domanda di divorzio si propone con ricorso che, ai sensi dell'art. 4, comma 1, l. div., deve contenere l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali la domanda stessa si fonda. La norma stabilisce altresì che nel ricorso debba essere indicata l'esistenza di figli di entrambi i coniugi, e che allo stesso debbano essere allegate le ultime dichiarazioni dei redditi, (da prassi quelle riferite alle ultime tre annualità). L'attore potrà, pertanto, differire ad un secondo momento l'articolazione in termini più puntuali delle richieste contenute nell'atto introduttivo, esplicitandole (o formulandone di nuove) con il deposito della cosiddetta memoria integrativa che, secondo l'art. 4, comma 10, l.div., «deve avere il contenuto di cui all'art. 163, comma 3, nn. 2, 3, 4, 5 e 6», ovvero gli elementi essenziali che caratterizzano l'atto introduttivo del processo ordinario di cognizione.

Il procedimento

Proprio come quello di separazione, il procedimento di divorzio presenta una struttura bifasica: la prima fase si apre davanti al Presidente e prevede una cognizione sommaria essendo finalizzata alla conciliazione o, in subordine, all'emissione dei provvedimenti urgenti che si rendano necessari; la seconda si svolge davanti al giudice istruttore con poteri di cognizione piena, segue le regole del processo ordinario contenute nel codice di rito ed è finalizzata all'emissione, da parte del tribunale che decide in composizione collegiale, della sentenza di divorzio impugnabile. La peculiarità dei provvedimenti adottati nel giudizio di divorzio attiene alla loro validità rebus sic stantibus che consente, in caso di mutamento delle circostanze di fatto o di diritto, la loro modificabilità con le forme del procedimento in camera di consiglio.

La fase presidenziale

L'art. 4, comma 5, l. div. prevede che entro cinque giorni dall'iscrizione a ruolo della causa in cancelleria il presidente del tribunale, analogamente a quanto accade nel procedimento per separazione, fissi con decreto la data dell'udienza di comparizione dei coniugi davanti a sé, che deve avvenire entro novanta giorni dal deposito del ricorso. Lo stesso decreto deve contenere il termine per la notificazione del ricorso unitamente al decreto, nonché il termine entro cui il coniuge convenuto può depositare la propria memoria difensiva e documenti.

Il decreto presidenziale può contenere altresì la nomina di un curatore speciale al convenuto malato di mente o legalmente incapace, e ancora disporre l'ascolto dei figli ultradodicenni e invitare il ricorrente a integrare la documentazione prodotta

Come disposto dall'art. 4, comma 7, l. div., entrambi i coniugi hanno l'onere di comparire personalmente avanti al presidente, con la necessaria assistenza di un difensore, ai fini del tentativo di conciliazione. Laddove la mancata comparizione sia determinata da gravi e comprovati motivi, si ritiene generalmente che il presidente possa disporre un rinvio ad un'udienza successiva. Nell'ipotesi in cui, invece, la mancata comparizione sia non giustificata, la legge divorzile disciplina le conseguenze in modo diverso per le due parti: nel caso in cui il ricorrente non compaia, tale contegno processuale vale come rinuncia alla domanda di divorzio che rimane, dunque, priva di effetti; nel caso in cui sia il coniuge convenuto a non comparire, il presidente può fissare un nuovo giorno per la comparizione, ordinando che la notificazione del ricorso e del decreto gli venga rinnovata (art. 4, l. div.).

A questo punto, alla presenza dei coniugi il presidente esperisce il tentativo di conciliazione, procedendo all'audizione delle due parti prima separatamente e poi congiuntamente (art. 4, comma 7, l. div.). Mentre l'orientamento giurisprudenziale più risalente riteneva tale incombente imprescindibile in vista della pronuncia di scioglimento del matrimonio o della cessazione dei suoi effetti civili, secondo la giurisprudenza di legittimità più recente può essere omesso «ove il giudice raggiunga il logico convincimento della sua inutilità» (Cass. civ., 16 novembre 2005, n. 23070; Cass., 23 luglio 2010, n. 17336).

Nel caso, peraltro assai prevalente, in cui il tentativo di conciliazione fallisca, il presidente con ordinanza nomina il giudice istruttore, fissando l'udienza davanti allo stesso, ed emana, anche d'ufficio, i provvedimenti temporanei e urgenti nell'interesse dei coniugi e della prole. Tali provvedimenti presidenziali hanno per lo più natura cautelare ed il loro contenuto è modulabile sulle esigenze che presenta il singolo caso concreto (collocamento dei figli, il loro mantenimento, l'assegnazione della casa coniugale, nonché l'eventuale assegno per il coniuge). A tal fine il presidente deve altresì disporre l'ascolto dei figli minori che abbiano compiuto i dodici anni di età, o anche di età inferiore qualora capaci di discernimento (art.4, comma 8, l. div.), la cui opinione deve essere debitamente tenuta in considerazione nell'emanazione dei provvedimenti che li riguardino. Tutti questi provvedimenti presentano il carattere della temporaneità, dal momento che rimangono sempre modificabili e revocabili nella fase successiva dal giudice istruttore, tuttavia costituiscono titolo esecutivo e ne sono fatti salvi gli effetti in caso di estinzione del processo, fino a quando non siano sostituiti da altro idoneo provvedimento.

I provvedimenti presidenziali sono reclamabili innanzi alla Corte d'appello nel termine di 10 giorni dalla notificazione di parte oppure, nel termine lungo di sei mesi (cfr. contra App. Torino, 10 dicembre 2013).

L'art. 4, comma 10, l. div. prevede che con l'ordinanza de qua il presidente assegna un termine al ricorrente per il deposito di una memoria integrativa, nonché un altro termine al convenuto per la costituzione in giudizio ex artt. 166 e 167, comma 1 e 2, c.p.c., per la proposizione delle eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio. L'ordinanza deve altresì contenere l'avvertimento al convenuto che la costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui agli artt. 167 e 38 c.p.c. e che oltre il termine stesso non potranno più essere proposte le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio.

A tal proposito è appena il caso di rilevare che se il mancato deposito della memoria integrativa non determina alcun effetto, salvo la decadenza dalla facoltà di proporre domande nuove non svolte nel ricorso introduttivo, l'omesso deposito tempestivo della comparsa di costituzione comporta, invece, le ben più gravose decadenze indicate nell'ordinanza presidenziale: eccezioni di rito e di merito non rilevabili d'ufficio, domande riconvenzionali, chiamata in causa di un terzo (nei limiti di quanto possano essere ammissibili nei giudizi de quibus). Fermo restando che, ad ogni modo, laddove il convenuto si sia già regolarmente costituito con memoria difensiva sollevando ogni eccezione processuale e di merito non rilevabile d'ufficio, ben potrà omettere il deposito della comparsa di costituzione.

Le preclusioni del processo ordinario di cognizione non operano con riguardo ai provvedimenti emanati nell'interesse dei figli minorenni.

La fase di trattazione e istruttoria

Dopo la fase presidenziale, il procedimento entra nella fase di trattazione avanti il giudice istruttore, in base alla disciplina ordinaria del processo ordinario di cognizione: infatti, l'art. 4, comma 11, l. div. dedicato alla prima udienza di comparizione e trattazione, si limita a prevedere un rinvio agli artt. 180 e 183, commi 1, 2, 4, 5, 6, 7, e art. 184 c.p.c.. Pertanto la prima udienza avanti l'istruttore è assimilabile a quella prevista dall'art. 183 c.p.c.. Alla stessa udienza il Giudice concederà, su richiesta delle parti, i termini per le memorie di cui all'art. 183, comma 6 c.p.c.. Ancorché l'art. 4 esclude l'applicazione diretta dell'art. 183, comma 3 c.p.c., rientra comunque tra i poteri del giudice, su richiesta congiunta delle parti, quello di fissare udienza ad hoc per il tentativo di conciliazione di cui all'art. 185. c.p.c.; parimenti il Giudice Istruttore potrà formulare, ai sensi dell'art. 185 bis c.p.c. una proposta di conciliazione

Con riguardo all'istruzione probatoria strictu sensu, il comma 11 dell'art. 4 l. n. 898/1970 richiama espressamente i commi 1, 2, 4, 5, 6 e 7 dell'art. 183 e l'intero articolo 184 c.p.c. Dunque, quanto all'ammissione delle prove, il giudice istruttore provvederà direttamente sulle richieste istruttorie all'udienza successiva ex art. 184 c.p.c. (oppure riservandosi all'esito della scadenza dell'ultimo termine) e procederà quindi all'assunzione dei mezzi di prova ritenuti ammissibili e rilevanti. Non è remota, poi, la possibilità che si renda necessaria la produzione di documentazione relativa ai redditi delle parti che l'istruttore potrà ordinare a ciascuno ai sensi dell'art. 210 c.p.c., nonché disporre consulenze tecniche sia per la valutazione delle capacità genitoriali dei coniugi sia per accertare la consistenza dei patrimoni delle parti nel caso in cui la documentazione fornita sia contestata sulla base di elementi attendibili.

Unica, ma fondamentale, particolarità dell'istruttoria nel procedimento di divorzio consiste nell'ampiezza dei poteri ufficiosi del giudice in materia, posto che lo stesso detiene un rilevante potere di ammissione e ricerca delle prove nell'ipotesi in cui, come ribadito dalla legge sull'affidamento condiviso, nella crisi familiare siano coinvolti dei soggetti minori, tra cui quello particolarmente invasivo di ordinare indagini tributarie e patrimoniali (art. 5, comma 9., l. div.): un parziale sacrificio dei canoni del processo, tra cui il principio della domanda, viene ritenuto accettabile al fine di garantire il preminente interesse del minore.

L'art. 4 l. div. stabilisce che le decisioni assunte dal presidente nell'ambito di una cognizione sommaria sono certamente revocabili e modificabili in questa fase dal giudice istruttore, anche a prescindere da un mutamento sopravvenuto delle circostanze, a ciò essendo sufficiente anche una loro motivata differente valutazione. Le ordinanze del Giudice Istruttore modificative dei provvedimenti presidenziali non sono impugnabili (Cass. civ. n. 15416/2014)

La stessa norma prevede altresì che il tribunale ha la possibilità di pronunciare una sentenza non definitiva di divorzio laddove siano rimaste aperte le questioni di natura economica, disponendo la prosecuzione della causa in ordine alla determinazione dell'assegno. Tale sentenza può essere impugnata solo con appello immediato.

La fase decisoria

Anche l'ultima fase del processo di divorzio è disciplinata dalle norme sul processo ordinario di cognizione (artt. 275 ss. c.p.c.), ad eccezione degli aspetti inerenti all'efficacia esecutiva dei provvedimenti patrimoniali e alla pronuncia del divorzio con sentenza non definitiva cui si è testé accennato.

L'art. 4, comma 14, l. div. dispone che la sentenza di divorzio sia «provvisoriamente esecutiva» per la parte concernente i «provvedimenti di natura economica», sebbene ormai valga la regola generale ex art 282 c.p.c. che sancisce l'immediata esecutività di tutte le sentenze di primo grado (ad esclusione delle statuizioni sullo status): oggi, pertanto, sono immediatamente esecutivi anche i capi della pronuncia che riguardano aspetti diversi da quelli patrimoniali.

Quanto al momento da cui iniziano a prodursi gli effetti della sentenza che dichiara lo scioglimento del matrimonio o la cessazione dei suoi effetti civili, devono distinguersi gli effetti tra le parti da quelli nei riguardi dei terzi: i primi si producono con il passaggio in giudicato della sentenza (ancorché il Giudice possa stabilire la decorrenza dell'assegno di divorzio dalla data della domanda, ex art. 4 comma 13), gli altri dal momento in cui sono compiute le formalità pubblicitarie descritte all'art. 10 l. div.

Le impugnazioni

La sentenza emessa al termine del giudizio può essere impugnata nelle forme ordinariamente previste dal codice di procedura civile, sia per quanto attiene al capo che contiene la dichiarazione di scioglimento del matrimonio o la cessazione dei suoi effetti civili, sia per quanto riguarda le domande accessorie.

Sebbene la formulazione letterale dell'art. 5 l. div. preveda che l'impugnazione possa essere proposta «da ciascuna delle parti», è opinione ormai consolidata che sia legittimata in tal senso, conformemente alla natura dei mezzi di gravame, solamente la parte che sia risultata soccombente.

Anche il pubblico ministero ha il potere di impugnare la pronuncia di divorzio, seppur limitatamente ai capi che contengono statuizioni relative agli interessi patrimoniali della prole (id est in materia di amministrazione del patrimonio, di assegno di mantenimento), pertanto possono esserne oggetto anche le disposizioni sull'affidamento laddove incidano anche su questioni economiche riguardanti i figli.

Quanto allo svolgimento del giudizio d'appello, l'art. 4, comma 15, l. div. dispone che questo «sia deciso in camera di consiglio», da interpretarsi conformemente all'orientamento di legittimità come forma del giudizio estendibile a tutte le fasi del procedimento (ex plurimis Cass. civ. n. 21161/2011). Seguendo l'impostazione del rito camerale l'atto introduttivo non può essere che il ricorso, sebbene il giudizio introdotto per errore con citazione non inficia la validità dell'impugnazione se la citazione stessa sia stata depositata regolarmente entro i relativi termini perentori, ovvero il termine breve ex art. 325 c.p.c. di trenta giorni dalla notificazione della sentenza di prime cure ed il termine lungo ex art. 327 c.p.c. di sei mesi dalla sua pubblicazione.

Inoltre nell'ipotesi in cui emergano, successivamente all'emissione, giustificati motivi tali da richiedere una revisione dei provvedimenti contenuti nella sentenza di divorzio, l'art. 9 l. div. prevede che il tribunale possa, su istanza di parte, e con la partecipazione necessaria del pubblico ministero laddove vengano in esame disposizioni inerenti la prole, disporre la revisione dei capi relativi all'affidamento dei figli ed all'entità del mantenimento.

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