Figli nati fuori dal matrimonio: procedimento e competenza

Ida Cubicciotti
01 Gennaio 2017

L'entrata in vigore della l. n. 219/2012 e del d.lgs. n. 154/2013 ha determinato l'introduzione del principio dell'unicità dello stato di figlio, anche adottivo, e conseguentemente l'eliminazione dei riferimenti, presenti nelle norme, ai figli “legittimi” ed ai figli “naturali” e la sostituzione degli stessi con quello di “figlio”.
Inquadramento

*Valido per i procedimenti instaurati fino al 28 febbraio 2023

L'entrata in vigore della l. n. 219/2012 e del d.lgs. n. 154/2013 ha determinato l'introduzione del principio dell'unicità dello stato di figlio, anche adottivo, e conseguentemente l'eliminazione dei riferimenti, presenti nelle norme, ai figli “legittimi” ed ai figli “naturali” e la sostituzione degli stessi con quello di “figlio”. Sotto il profilo sostanziale si afferma dunque il principio per cui la filiazione fuori dal matrimonio produce effetti successori nei confronti di tutti i parenti e non solo nei confronti dei genitori; si sostituisce la nozione di “potestà genitoriale” con quella di “responsabilità genitoriale”; si modificano le disposizioni di diritto internazionale privato con previsione di norme di applicazione necessaria in attuazione del principio dell'unificazione dello stato di figlio. Sotto il profilo processuale si attribuisce al Tribunale ordinario la competenza a decidere sull'affidamento ed il mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio, prevedendosi la residua competenza del Tribunale per i minorenni solo per la fase patologica del pregiudizio e per l'ipotesi di insussistenza di previa pendenza di “giudizio separatizio”.

In evidenza

Con la riscrittura dell'art. 38 disp. att. c.c. (art. 3 l. 10 dicembre 2012, n. 219) il legislatore ha inteso che se un giudizio di separazione è in corso al momento della proposizione della domanda diretta all'adozione di un provvedimento de potestate si verifica l'effettivo attrattivo della competenza, in favore del giudice davanti al quale è in corso il giudizio di separazione. Tale lettura testuale appare anche rispettosa del principio generale della perpetuatio jurisdictionis di cui all'art. 5 c.p.c. secondo cui la competenza si determina con riguardo allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda. Diversamente, se la domanda diretta all'adozione di provvedimenti de potestate da parte del Tribunale per i minorenni è stata proposta anteriormente alla instaurazione davanti al tribunale civile del giudizio di separazione o divorzio da parte dei genitori, resta ferma la competenza dell'ufficio Minorile, per non vanificare il percorso processuale svolto

Il nuovo assetto di competenza tra Tribunale minorile e Tribunale ordinario

L'attuale formulazione dell'art. 38 disp. att. c.c, prevede che per i procedimenti di cui all'art. 333 c.c. resta esclusa la competenza del Tribunale per i minorenni nell'ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell'art. 316 c.c.; in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario. Sono, altresì, di competenza del Tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli artt. 251 e 317-bis c.c..

Le poche prescrizioni univoche desumibili dalla citata norma impongono anzitutto di ritenere che i procedimenti ex art. 333 c.c., diretti ad ottenere misure limitative della responsabilità genitoriale, sono di competenza del giudice non specializzato in pendenza del giudizio di separazione e per tutta la durata del processo, non apparendo controverso che la pendenza per i procedimenti che s'instaurano con ricorso si determina dal deposito dell'atto con il quale s'instaura il giudizio e che la locuzione "per tutta la durata del processo" individua il lasso temporale tra l'instaurazione e la definizione con decisione irrevocabile, ricomprendente anche le fasi di quiescenza quali la pendenza dei termini per l'impugnazione, l'eventuale sospensione del procedimento o la sua interruzione.

Rimane invece controversa la competenza nelle azioni di decadenza dalla responsabilità genitoriale(art. 330 c.c.) in pendenza di un giudizio “separatizio”, promosso anche congiuntamente alla richiesta di provvedimenti limitativi della responsabilità.

Tra i due orientamenti divergenti che si sono andati affermando, il primo limita la deroga alla competenza del giudice specializzato alle sole ipotesi di azione ex art. 333 c.c. in cui il procedimento incardinato innanzi al giudice ordinario verta tra le stesse parti che hanno dato origine a quello intentato innanzi al giudice specializzato, così escludendo la competenza del Tribunale ordinario in tutte le ipotesi in cui il procedimento di decadenza sia stato promosso innanzi al Tribunale per i minorenni dal Pubblico Ministero o da soggetti diversi dai genitori. La seconda opzione interpretativa ritiene invece superabile la non coincidenza delle parti del giudizio ex art. 330 c.c. e di quello relativo al conflitto familiare fondandosi sull'interpretazione testuale della norma.

Già con la pronuncia Cass. n. 20352/2011 la Corte di Cassazione ha ritenuto, in considerazione della preminenza del diritto del minore a poter condurre la propria esistenza sulla base di provvedimenti giudiziali non equivoci e fondati su un unico accertamento dei fatti rilevanti per la decisione, di superare le suddivisioni di competenza stabilite astrattamente nell'art. 38 disp. att. c.c. previgente e di assegnare al giudice del conflitto familiare anche le richieste di limitazione della responsabilità genitoriale.

Ovviamente il presupposto imprescindibile a cui ancorare la competenza del Tribunale ordinario rimane la situazione di conflitto genitoriale, permanendo appannaggio esclusivo del giudice specializzato le situazioni di pregiudizio, prognosticamente foriere di provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale nascenti da criticità tali da determinare l'apertura di un procedimento volto alla dichiarazione di adottabilità o a misure minori quali l'affido etero.

Nelle ipotesi in cui sia domandata contestualmente la misura ablativa e quella limitativa della responsabilità genitoriale si impone comunque il simultaneus processus, innanzi al giudice del conflitto genitoriale, in ossequio al principio della concentrazione delle tutele.

Merita di essere segnalata la peculiarità consistente nel fatto che per “stesso giudice” del procedimento separatizio deve intendersi il medesimo Ufficio e non già la stessa persona fisica, con conseguente eventuale possibilità dell'assegnazione del procedimento per decadenza ad istruttore diverso da quello del conflitto genitoriale e necessità di apportare gli opportuni correttivi mediante deroghe all'assegnazione automatica dei fascicoli ovvero con il ricorso allo strumento ordinatorio della riunione per connessione.

Modifica dei provvedimenti ex art. 333 c.c.

Ai sensi dell'art. 333 comma 2 c.c. i provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale sono revocabili e, dunque, modificabili in ogni momento per il caso di sopravvenienza di fatti che consentono la rivisitazione delle statuizioni rese “rebus sic stantibus”.

L'art. 38 disp. att. c.c come modificato dalla legge n. 219/2012 ha previsto in via generale la competenza del Tribunale dei Minori per i procedimenti di cui all'art. 333 c.c., genericamente intesi come riconducibili alla fattispecie di cui al primo comma ed alla fattispecie di cui al secondo comma, ad eccezione delle ipotesi innanzi riportate.

Pertanto la domanda di modifica delle statuizioni rese ex art. 333 comma 1 c.c. rimane di competenza del Tribunale per i minorenni (Trib. Milano 11 febbraio 2015), salvo il caso in cui il provvedimento limitativo della responsabilità maggiormente incisivo o, per contro, la sua revoca non sia proposto a causa ed in conseguenza di un conflitto genitoriale che abbia dato corso anche ad un giudizio separatizio pendente al momento della richiesta di modifica.

Competenza territoriale

Il giudice territorialmente competente a decidere in ordine all'affidamento ed al mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio è quello del luogo di residenza abituale del minore , dandosi prevalenza al criterio della prossimità del giudice al luogo in cui si espleta la quotidianità del minore stesso, né lo spostamento unilaterale di residenza del minore da parte di uno dei genitori vale a sovvertire tale criterio di collegamento, fermo il rilievo anche d'ufficio dell'incompetenza trattandosi di competenza funzionale per materia, e senza alcun termine decadenziale implicante preclusione temporale al rilievo, in ragione della forma del procedimento.

Cass. n. 17746/2013: deve aversi riguardo al luogo della dimora abituale alla data della domanda nè la correlazione tra giudice e luogo in cui abitualmente vive il minore può spezzarsi per effetto di variazioni successive della residenza del genitore, prevalendo la stabilità sulla prossimità transitoria, essendo tale conclusione imposta da ragioni di certezza e di effettività dell'esercizio della giurisdizione. Il criterio della residenza o dimora abituale è univocamente adottato anche nei procedimenti relativi all'affidamento del figlio naturale (nella dizione ratione temporis ancora vigente), come stabilito in Cass. n. 21750/2012. Quest'ultima pronuncia contiene l'ulteriore declinazione del principio sopra delineato, affermando che «nella individuazione in concreto di luogo di abituale dimora non può farsi riferimento ad un dato meramente quantitativo, rappresentato dalla prossimità temporale del trasferimento di residenza o dalla maggiore durata del soggiorno, essendo invece necessaria una prognosi sulla probabilità che la "nuova" dimora diventi l'effettivo e stabile centro d'interessi del minore ovvero resti su un piano di verosimile precarietà o sia un mero espediente per sottrarsi alla disciplina della competenza territoriale».

D'altra parte Cass. pen. n. 33452/2014 ha affermato che «Integra il reato di cui all'art. 574 c.p., anche alla luce delle nuove disposizioni di cui agli artt. 337-bis e 337-ter c.c., inserite dall'art. 55 d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, la condotta del coniuge separato che, all'insaputa e contro la volontà dell'altro coniuge, si allontana dal domicilio stabilito trasferendo la residenza del figlio minore in altro comune, quando da tale comportamento deriva un impedimento per l'esercizio delle diverse manifestazioni della potestà dell'altro genitore», con ciò evidenziandosi il disvalore - anche ai fini dell'integrazione dell'imputazione indicata – dell'unilaterale decisione di uno dei genitori di trasferire in altra sede il minore senza il consenso dell'altro genitore o senza l'autorizzazione del giudice.

La declaratoria di incompetenza resa dal Tribunale per i minorenni, per il caso di procedimento ablatorio o limitativo della responsabilità genitoriale proposto nella pendenza di un giudizio separatizio, dovrebbe rivestire la forma del decreto con natura sostanziale di ordinanza ( impugnabile quindi attraverso il rimedio del regolamento di competenza) e prevedere un termine per la riassunzione del procedimento innanzi al Tribunale Ordinario ovvero – come nella prassi avviene – la trasmissione dell'intero fascicolo processuale al giudice ordinario individuato come competente a rendere la decisione.

Forma della domanda e rito applicabile

L'art. 38 comma 2 disp. att. trans. c.c. prevede che «Fermo restando quanto previsto per le azioni di stato, il tribunale competente provvede in ogni caso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, e i provvedimenti emessi sono immediatamente esecutivi, salvo che il giudice disponga diversamente. Quando il provvedimento è emesso dal tribunale per i minorenni, il reclamo si propone davanti alla sezione di corte di appello per i minorenni».

La scarsa chiarezza terminologica che parrebbe rievocare due diversi modelli di rito camerale è stata già da tempo ricondotta ad unificazione dai primi interpreti, convergendo le opinioni dottrinali fin qui espresse nell'unicità del rito camerale e del procedimento che si incardina con ricorso.

Non sono previsti termini minimi di comparizione per la parte resistente né termini tra il deposito del ricorso e la fissazione dell'udienza, né è indicato se il Pubblico Ministero – litisconsorte processuale necessario – debba esprimere il proprio parere già al momento della proposizione della domanda ovvero al momento in cui il Tribunale riserva la decisione sul procedimento all'esito dello stesso, del pari essendo rimasto inespresso se il principio della collegialità debba trovare applicazione nella sola parte finale del procedimento (ovvero nel provvedimento) oppure per l'intero corso del giudizio (nelle prime prassi applicative ad es. Tribunale Milano ha coniato il cd. “rito partecipativo”).

Il rito camerale individuato riveste carattere spurio in quanto volto alla tutela di diritti soggettivi in situazioni di conflitto aventi carattere contenzioso, necessita del contraddittorio (quantomeno con l'altro genitore e con il Pubblico Ministero il cui parere è imprescindibile) e ciò nondimeno è connotato da istruttoria deformalizzata e si conclude con un provvedimento avente forma di decreto.

In origine è stata dibattuta la possibilità da parte del Presidente – o del Collegio – di emettere provvedimenti provvisori ed urgenti nelle more dell'espletamento dell'istruttoria da compiere, di seguito tale opzione ermeneutica è stata considerata ammissibile da parte della giurisprudenza di merito e della dottrina, quantomeno al fine di garantire la formale parificazione del trattamento dei figli nati nel matrimonio all'interno del giudizio di separazione o di divorzio e dei figli nati fuori dal matrimonio nel procedimento volto alla regolamentazione del loro affidamento e mantenimento.

Per ovviare alla lacuna legislativa, si era pensato all'utilizzo delle disposizioni di cui agli artt. 710 ss. c.p.c. che disciplinano la modifica delle condizioni di separazione, in cui è espressamente contemplata la possibilità per il giudice di regolare in via provvisoria le questioni urgenti in attesa del provvedimento.

In alternativa, lo strumento contenuto nel comma 3 dell'art. 336 c.c., nell'ambito dei procedimenti riguardanti l'esercizio della potestà genitoriale, consente al giudice di adottare, anche d'ufficio, provvedimenti temporanei nell'interesse del figlio in caso di urgente necessità, sempre modificabili o revocabili.

Ancora irrisolto è il problema relativo alla sorte del provvedimento provvisorio ed urgente per il caso di sopravvenuta estinzione rectius inefficacia del procedimento, attesa la non operata assimilazione espressa di esso all'ordinanza presidenziale resa nei procedimenti di separazione e di divorzio.

Il regime delle impugnazioni

Quanto al provvedimento temporaneo ed urgente reso in via provvisorio, astrattamente è stata prospettata la possibilità di sottoporlo ad impugnazione ai sensi dell'art. 739 c.p.c., ovvero ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c., ovvero ancora ai sensi dell'art. 708 comma 4 c.p.c..

Da ultimo la Corte d'Appello di Milano con decreto dell'1 ottobre 2014 ha ritenuto che «il decreto emesso a seguito della comparizione delle parti nel giudizio, non sia suscettibile d'immediata impugnazione, perché manca di autonomia decisoria ed è caratterizzato dalla provvisorietà e dalla strumentalità, in vista del procedimento di merito che si concluderà con un provvedimento, seppure sempre un decreto, contro il quale sarà allora esperibile il rimedio del reclamo ex art. 739 c.p.c.».

La disparità di tutela per i figli nati nel matrimonio e quelli nati fuori dal matrimonio permane anche con riguardo al regime delle impugnazioni del provvedimento reso all'esito del procedimento che, nel primo caso ha forma e sostanza di sentenza e dunque è sottoposta all'ordinario regime impugnatorio (appello e ricorso per cassazione) laddove nel secondo caso ha forma di decreto impugnabile con reclamo alla Corte d'Appello ex art. 739 c.p.c..

Difetta la previsione della revocabilità o modificabilità del provvedimento e ciò nondimeno l'interpretazione sistematica impone di ritenere che la statuizione permanga “rebus sic stantibus”, con facoltà di sua rivisitazione per il caso di mutamento delle condizioni fattuali che l'abbiano determinata, alla stregua di quanto previsto dall'art. 710 c.p.c. e art. 9 l. div. in tema di modifica delle condizioni di separazione e di divorzio.

Da ultimo giova evidenziare come il termine per la proposizione del reclamo è pari a dieci giorni dalla notificazione a cura della parte vittoriosa a quella soccombente del provvedimento, non assimilabile alla comunicazione di esso da parte della cancelleria né all'emissione in udienza, onde in difetto di notificazione l'opinione prevalente ritiene che si applichi comunque il “termine lungo” per le impugnazioni, ovvero sei mesi dalla pubblicazione.

Esecutività

«In materia di revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere a seguito dello scioglimento e della cessazione degli effetti civili del matrimonio, a norma dell'art. 9 l. 1 dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, il decreto pronunciato dal tribunale è immediatamente esecutivo, in conformità di una regola più generale, desumibile dall'art. 4 della stessa legge, che è incompatibile con l'art. 741 c.p.c. in tema di procedimenti camerali, il quale subordina l'efficacia esecutiva al decorso del termine per la proposizione del reclamo» Cass., S.U., n. 10064/2013: con tale principio le Sezioni Unite hanno posto fine al contrasto di giurisprudenza sul punto (contra Cass. n 9373/2011) sancendo l'immediata esecutività del decreto reso in esito ai procedimenti camerali di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio ed uniformando la disciplina tra il giudizio di scioglimento del vincolo e quello di revisione.

Il corollario di tale affermazione deve necessariamente implicare i medesimi mezzi di soluzione per i figli nati fuori dal matrimonio, di tal che l'esecutività immediata del provvedimento reso - espressamente sancita dall'art. 38 disp. att. trans. c.c. per il decreto con cui si definisce il procedimento – deve intendersi riferibile altresì al decreto interinale eventualmente reso per l'emissione di provvedimenti temporanei ed urgenti che concorrono alla ordinaria tutela e non costituiscono eventi strumentali ed accidentali.

Questioni irrisolte

Nella prassi applicativa delle Corti di merito si affacciano ipotesi non contemplate dal legislatore né vagliate allo stato dalla dottrina tra le quali si annoverano:

  • la competenza del giudice ordinario o di quello specializzato per il caso in cui, per figli nati fuori dal matrimonio, la domanda sia volta solo ad ottenere l'affidamento esclusivo, implicante compressione e riduzione della responsabilità genitoriale;
  • nel caso in cui sia stata esclusa la potestà per entrambi i genitori con nomina al minore di un tutore le istanze per il suo affidamento e mantenimento sono di competenza del giudice ordinario o di quello specializzato;
  • nell'ipotesi in cui sia richiesto l'affidamento temporaneo a terzi la competenza sarebbe del giudice ordinario per il caso di pendenza di giudizio separatizio;
  • quale rito si applica al procedimento de potestate relativo alla decadenza ove attratto nella competenza funzionale del giudice ordinario, quale forma il provvedimento finale riveste e qual è il regime impugnatorio;
  • quale rito segue la domanda proposta da maggiorenne nato fuori dal matrimonio per ottenere da parte di uno o di entrambi i genitori il mantenimento;
  • opera o meno l'attrazione alla competenza del Tribunale ordinario di procedimento ex art. 330 c.c. nell'ipotesi in cui il procedimento per separazione o divorzio penda in appello ovvero in Cassazione;
  • opera o meno l'attrazione alla competenza del Tribunale ordinario del procedimento ex artt. 330 o 333 c.c. nel caso in cui il giudizio separatizio sia concluso e sia pendente il procedimento di modifica ex art. 710 c.p.c. o art. 9 l. div.;
  • opera o meno l'attrazione alla competenza del Tribunale ordinario per procedimenti ex artt. 330 o 333 c.c. nel caso di pendenza di separazione consensuale o divorzio congiunto;
  • opera o meno l'attrazione alla competenza del Tribunale ordinario per procedimenti de potestate nel caso in cui il giudizio separatizio sia in fase di precisazione delle conclusioni, dunque ad istruttoria compiuta e con causa matura per la decisione;
  • il giudice competente per la reintegra nella potestà per il caso in cui la decadenza sia stata pronunciata dal Tribunale Ordinario.
Casistica

Interventi della Corte di Cassazione in sede di regolamento di competenza

La competenza a conoscere della domanda di limitazione o decadenza dalla potestà dei genitori, introdotta prima della modifica del testo dell'art. 38 disp. att. c.c. disposta dall'art. 3 l. n. 219/2012, rimane radicata presso il tribunale per i minorenni anche se nel corso del giudizio sia stata proposta, innanzi al tribunale ordinario, domanda di separazione personale dei coniugi o di divorzio, in ossequio al principio della "perpetuatio jurisdictionis" ed a ragioni di economia processuale che trovano fondamento anche nelle disposizioni costituzionali (art. 111 Cost.) e sovranazionali (art. 8 CEDU e art. 24 Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea) (Regola competenza) (Cass. 14 ottobre 2014, n. 21633, in Fam. e dir. 2015,2,105)

L'art. 38, comma 1, disp. att. c.c. (come modificato dalla l. n. 219/2012), applicabile ai giudizi instaurati a decorrere dall'1 gennaio 2013), si interpreta nel senso che, per i procedimenti di cui agli artt. 330 e 333 c.c., la competenza è attribuita in via generale al tribunale dei minorenni, ma, quando sia pendente un giudizio di separazione, di divorzio o ex art. 316 c.c., e fino alla sua definitiva conclusione, in deroga a questa attribuzione, le azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, proposte successivamente e richieste con unico atto introduttivo dalle parti (così determinandosi un'ipotesi di connessione oggettiva e soggettiva), spettano al giudice del conflitto familiare, individuabile nel tribunale ordinario, se sia ancora in corso il giudizio di primo grado, ovvero nella corte d'appello in composizione ordinaria, se penda il termine per l'impugnazione o sia stato interposto appello (Cass. 16 gennaio 2015, n. 1349, in Foro it. 2015,I,1240)

In base al novellato art. 38 disp. att. c.c. il tribunale per i minorenni resta competente a conoscere della domanda diretta ad ottenere la declaratoria di decadenza o la limitazione della potestà dei genitori ancorché, nel corso del giudizio, sia stata proposta, innanzi al tribunale ordinario, domanda di separazione personale dei coniugi o di divorzio, trattandosi di interpretazione aderente al dato letterale della norma, rispettosa del principio della "perpetuatio jurisdictionis" di cui all'art. 5 c.p.c., nonché coerente con ragioni di economia processuale e di tutela dell'interesse superiore del minore, che trovano fondamento nell'art. 111 Cost., nell'art. 8 CEDU e nell'art. 24 della Carta di Nizza (Cass. 12 febbraio 2015, n. 2833)

Sommario