Il riparto di competenza tra Tribunale ordinario e Tribunale per i Minorenni
28 Maggio 2015
Massima
Quando sia in corso un giudizio di separazione, divorzio o un giudizio ai sensi dell'art. 316 c.c., anche in pendenza dei termini per le impugnazioni e nelle altre fasi di quiescenza e fino al passaggio in giudicato, la competenza in ordine alle azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi od ablativi della responsabilità genitoriale, proposte successivamente e richieste con unico atto introduttivo dalle parti deve attribuirsi al giudice del conflitto familiare (Tribunale ordinario e Corte d'Appello). Si tratta di deroga al principio generale dettato dall'art. 38, comma 1, primo periodo, disp. att. c.c. - nel testo sostituito dall'art. 3, comma 1, della l. 10 dicembre 2012, n. 219, e applicabile ai giudizi instaurati a decorrere dal 1° gennaio 2013 (art. 4, comma 1, l. n. 219/2012), che attribuisce, in via generale, al tribunale per i minorenni la competenza per i provvedimenti previsti dagli artt. 330 e 333 c.c.. L'identità delle parti dei due giudizi non è esclusa dalla partecipazione del PM. Il caso
Una madre chiede al Tribunale di Pistoia l'emissione di un provvedimento ablativo o limitativo della responsabilità genitoriale del padre. Il tribunale declina la propria competenza indicando come competente a decidere la Corte d'Appello essendo la sentenza di primo grado stata impugnata. La Corte d'Appello declina la propria competenza osservando che non sussiste la competenza del Tribunale dei Minorenni essendo pendente il giudizio separativo e che il giudice competente era da individuarsi nel Tribunale Ordinario dal momento che l'art. 38 disp att. c.c. come novellato non crea una litispendenza o continenza di cause tale da giustificare il simultaneus processus dinanzi al giudice preventivamente adito, ma un concorso tra giudice specializzato e giudice ordinario. La soluzione del conflitto negativo di competenza d'ufficio impone l'esame della questione interpretativa posta dalla formulazione dell'art. 38 disp. att. c.c. novellato dalla l. n. 219/2012 contenente la sfera di demarcazione della competenza del Tribunale per i Minorenni e di quello Ordinario in ordine all'azione di decadenza della responsabilità genitoriale e va risolta attuando il principio della concentrazione delle tutele che comporta una vis attractiva predeterminata ex lege, legata ad una esigenza di effettiva uniformità della tutela giurisdizionale possibile solo mediante la devoluzione ad un unico giudice quale che sia il grado della controversia. Restano quindi di competenza del giudice specializzato quei procedimenti, aperti a fronte delle criticità segnalate o rilevate dal PM minorile volte ad un procedimento che potrà portare alla decisione sulla adottabilità e alle misure dell'affido etero familiare, ossia quei procedimenti non dettati dal conflitto genitoriale, mentre non è esclusa la competenza del giudice del conflitto – Tribunale ordinario - in tutte quelle ipotesi in cui il potere di impulso e di partecipazione del PM è inferiore e in cui possano sorgere situazioni che richiedono, a domanda di parte o d'ufficio, l'adozione di provvedimenti incidenti sulla responsabilità genitoriale.
In motivazione «si ritiene che… la norma (art. 38 disp att. c.c. novellato) debba essere esaminata nel suo complesso, partendo dalla formulazione testuale senza procedere ad una suddivisione atomistica di ciascuna parte o locuzione al fine di farne emergere soltanto le incoerenze, pur se riscontrabili. all'interno delle controversie relative all'affidamento dei figli minori possono sorgere situazioni che richiedono, a domanda di parte o d'ufficio, l'adozione di provvedimenti incidenti sulla responsabilità genitoriale. La competenza del giudice ordinario è limitata a questa seconda categoria di situazioni, nelle quali la partecipazione e l'incidenza del potere d'impulso e partecipazione del pubblico ministero è inferiore a quella rilevata nella prima ipotesi e comunque non ostativa al radicamento della competenza presso il tribunale ordinario (la locuzione utilizzata dal legislatore è quella impropria di "giudice ordinario"). La questione
La questione in esame è la seguente: qual è l'autorità giudiziaria competente a decidere le domande de potestate - decadenza e limitazione della responsabilità genitoriale - allorchè sia pendente un giudizio di separazione, divorzio o ex art. 316 c.c.? Il Tribunale ordinario presso cui pende un giudizio di separazione, divorzio o ex art. 316 c.c., può assumere statuizione solo relative alla limitazione della responsabilità genitoriale o può anche decidere sulle domande di decadenza dalla responsabilità genitoriale proposte anche separatamente dai genitori nel relativo giudizio? A chi si propone la domanda nella fase di quiescenza del processo? Come si deve superare il problema della “identità” delle parti, allorché il procedimento decadenziale sia istaurato su domanda del PM minorile? Le soluzioni giuridiche
La non cristallina formulazione dell'art. 38 disp. att. c.c., come novellato dalla l. n. 219/2012, ha impegnato dottrina e giurisprudenza di merito nella corretta interpretazione della disposizione in esame la quale, proprio per il non chiaro enunziato lessicale, apre la strada a due confliggenti e contraddittorie letture della norma. L'adesione all'una o all'altra interpretazione determina l'attribuzione della competenza a decidere sulle domande ex art. 330 c.c. anche in pendenza di giudizio separativo, di divorzio o ex art 316 c.c, in capo al Tribunale per i minorenni ovvero in capo al Tribunale Ordinario. La pronunzia in disamina propone gli elementi da considerare al fine di ricercare il confine degli ambiti di competenza relativamente ai provvedimenti ex art. 330 e 333 c.c. del Tribunale per i Minorenni e del Tribunale Ordinario – giudice specializzato il primo, giudice del conflitto familiare il secondo - accantonando chiavi di lettura critica della norma e privilegiando il criterio della concentrazione delle tutele. Esclusi i casi in cui il procedimento venga aperto su criticità segnalate (art. 9, L. n. 184/1983) o rilevate dal PM minorile, ossia in quelle ipotesi che possono portare alla dichiarazione di adottabilità o di affidamento etero-familiare (procedimenti che sono estranei al conflitto genitoriale e che restano strettamente ancorati alla competenza del giudice specializzato), non può escludersi la competenza del Tribunale Ordinario nelle azioni relative alla decadenza o limitazione della responsabilità genitoriale solo perché non si integra il requisito delle “ stesse parti”. Nei giudizi sull'affidamento e nell'azione ex art. 330 e/o 333 c.c. al fine di radicare la competenza del Tribunale Ordinario è, infatti, sufficiente che siano parti i genitori e non tanto che debba escludersi la partecipazione del pubblico ministero anche quale organo di impulso del procedimento, potendo i diversi offici del PM (Minorile e ordinario) porre in essere meccanismi di raccordo e di trasmissione degli atti. Nella fasi di quiescenza del procedimento e in pendenza dei termini di impugnazione la competenza della Corte d'Appello la quale, invero, opererà (come avvenuto nel caso di specie) quale giudice di unico grado.
Osservazioni
Il novellato art. 38 disp. att.c.c. – norma che indubbiamente non si segnala per la sua cristallina esposizione letterale - ha già in fase di prima lettura dato origine ad una diversa interpretazione nella pronunce di merito, che ha portato a individuare in maniera difforme il riparto di competenza per le azioni ex art. 330 e 333 c.c., attribuendole ora al giudice Specializzato (Tribunale per i Minorenni) ora al Giudice Ordinario (Giudice del conflitto familiare). Il significato biunivoco dell'espressione «in tale ipotesi» che può riferirsi sia alla pendenza del giudizio sul conflitto (ossia pendenza del giudizio di separazione, di divorzio o ex art. 316 c.c.) sia alle controversie ex art. 333 c.c. ha portato a soluzioni interpretative difformi. Nella giurisprudenza di merito (Trib. Milano, sez. IX, sent., 4 – 11 dicembre 2013; Trib. per i Minorenni di Brescia, decr., 1 agosto 2014) è stato ribadito il permanere della competenza in capo al Tribunale per i Minorenni per le domande ex art. 330 c.c. facendo leva su: a) una interpretazione logica complessiva della norma che sancisce un principio generale individuando la competenza funzionale del Tribunale per i Minorenni con il richiamo a specifici istituti; b) la considerazione che nella parte in cui esclude la competenza del Tribunale per i Minorenni a favore del Tribunale ordinario l'art. 38 disp. att. c.c. richiama espressamente solo il art. 333 c.c.; c) l'utilizzo dell'espressione “al singolare” (in tale ipotesi) che limiterebbe il riferimento alla domanda ex art. 333 c.c.; d) l'assenza di senso allorché con tale espressione (in tale ipotesi) si facesse riferimento ai provvedimenti di cui al primo periodo; e) la disaminai dei lavori parlamentari preparatori nei quali non sarebbe rintracciabile la volontà di estendere la competenza del Tribunale ordinario anche in relazione alla decadenza e non vi sarebbe traccia di una ridefinizione dei poteri e doveri del PM minorile ovvero sulle possibili ricadute del trasferimento della titolarità dell'azione al PM ordinario; f) il diverso ruolo del PM minorile e del PM ordinario e della conseguente impossibilità di attribuire al PM ordinario, in mancanza di un espressa attribuzione di legge, i porti di quello minorile. La sentenza in disamina propone una diversa e nuova lettura della norma: la Suprema Corte, pur non negando le oscurità interpretative dell'art. 38 disp. att. novellato, fornisce una diversa chiave di lettura del riparto di competenza tra il Tribunale ordinario e il Tribunale per i Minorenni, superando le osservazioni critiche proposte dalla giurisprudenza di merito e proponendo un criterio di individuazione del riparto di competenze fondato sul principio della concentrazione delle tutele e sul diritto del minore a condurre una esistenza fondata su provvedimenti giudiziali non equivoci e nascenti da un unico accertamento dei fatti e quindi operando una vis attractiva del relativo accertamento da parte del Tribunale Ordinario. In particolare la Cassazione contesta le interpretazioni della giurisprudenza di merito che hanno proposto una lettura atomistica della norma che, al contrario, non va analizzata solo alla ricerca di incoerenze ma va interpretata attraverso il principio della concentrazione delle tutele del simultaneus processus: lo spirito della norma è di evitare che una identica situazione conflittuale possa essere sottoposta a due organi diversi (Tribunale ordinario e Tribunale per i Minorenni) con potenziali decisioni tra loro confliggenti ma tutti temporalmente efficaci e attuabili. Il discrimine va quindi individuato nella “oggettiva” situazione presa in considerazione: restano di competenza del Tribunale per i Minorenni le situazioni, del tutto estranee al conflitto genitoriale, in cui intervento del PM è più pregnante e tipico ossia tutte quelle situazioni che possono determinare l'apertura di una procedura di adottabilità e affido estero familiare. Rientrano nella competenza del Tribunale ordinario, all'interno delle controversie sul conflitto genitoriale, i provvedimenti incidenti sulla responsabilità genitoriale ( limitativi ma anche decadenziali) - sia a domanda di parte o d'ufficio- nei quali l'intervento e il potere di impulso del PM sono attenuate. L'espressione “tra le stesse parti” di cui alla disposizione in esame non esclude la partecipazione del PM dal momento che, per ritenere verificata la condizione è sufficiente che siano parti i genitori. La circostanza che il procedimento nasca ad impulso del PM superabile ben potendosi prevedere momenti di raccordo e trasmissione degli atti dall'ufficio del Pubblico Ministero minorile e quello presso il Tribunale ordinario. La sentenza in disamina, peraltro, individua la competenza a decidere anche sulla domanda ex art. 330/ 333 c.c., successivamente proposta in pendenza di gravame del giudizio separativo, in capo alla Corte d'Appello: seppure è indubbio che in tal caso la Corte deciderà quale giudice di grado unico, nondimeno non può tacersi che i giudizi in questione sono ex art. 38 disp. att. c.c. soggetti al rito camerale, ossia ad un rito all'interno del quale non operano le preclusioni del giudizio di cognizione ordinaria. L'oggetto dell'accertamento giudiziale, in quanto afferente ai diritto dei minori, non tollera limitazioni nei poteri di allegazione e di deduzione istruttoria delle parti e si caratterizza per i poteri istruttori officiosi del giudice che potranno essere assolti anche nel giudizio di appello. Del tutto condivisibile appare il principio della concentrazione delle tutele e del simultaneus processus. Non poche perplessità, invece, permangono circa la possibilità di superare le problematiche connesse al potere di impulso del PM minorile: il semplice coordinamento tra uffici della procura e la possibilità di trasmissione degli atti da un ufficio all'altro non potrebbe in ogni caso comportare – in assenza di intervento legislativo - l'attribuzione in capo al PM ordinario delle specifiche attribuzioni oggi normativamente previste in capo al PM minorile. |