La determinazione del locus commissi delicti nelle truffe on-line

Valentina Toledo
01 Febbraio 2016

Con la sentenza n. 25230/2015, la Corte di cassazione è tornata a pronunciarsi su una questione molto dibattuta sia in dottrina che in giurisprudenza e cioè sulla corretta individuazione del luogo di consumazione del delitto di truffa nei casi in cui il raggiro sia realizzato in rete e la vittima effettui il pagamento dei beni acquistati (e mai conseguiti) attraverso la ricarica di una carta ricaricabile non abbinata ad un conto corrente.
Abstract

Le condotte illecite commesse in un ambiente informatico o telematico assumono delle specifiche peculiarità per cui le nozioni elaborate per la realtà fisica devono essere rivisitate e adeguate alla dimensione virtuale.

Così, con la sentenza n. 25230/2015, la Corte di cassazione è tornata a pronunciarsi su una questione molto dibattuta sia in dottrina che in giurisprudenza e cioè sulla corretta individuazione del luogo di consumazione del delitto di truffa nei casi in cui il raggiro sia realizzato in rete e la vittima effettui il pagamento dei beni acquistati (e mai conseguiti), attraverso la ricarica di una carta ricaricabile non abbinata ad un conto corrente.

La determinazione del locus commissi delicti nelle truffe on-line

L'individuazione del luogo del commesso reato e, conseguentemente, del giudice territorialmente competente a conoscerlo, presenta aspetti problematici con riferimento alla fattispecie penale in esame, in caso cioè di compravendita fraudolenta effettuata via internet, acquistando il bene nel canale telematico con pagamento effettuato a mezzo di ricarica di una carta Postepay riconducibile al venditore, non abbinata ad un conto corrente, senza che ne consegua la consegna della res acquistata da parte del fittizio alienante.

Lo strumento di pagamento utilizzato in tale tipologia di acquisti on-line consiste in una carta prepagata Postepay creata da Poste Italiane, che consente al titolare di effettuare operazioni di prelievo e di pagamento nei limiti dell'importo disponibile, senza necessità di collegamento ad un conto corrente. Tale carta può dunque essere utilizzata presso qualunque ufficio postale o sportello automatico Postamat (e presso gli esercizi commerciali e gli sportelli automatici convenzionati con i circuiti internazionali), o anche per via telematica, attraverso operazioni on-line.

È questa, quindi, l'ipotesi in cui lo sganciamento della carta prepagata da un conto corrente non consente l'identificazione del preciso contesto territoriale ove viene conseguito il profitto ingiusto, che, appunto, non può essere individuato in relazione al luogo in cui è stato costituito il conto corrente.

La peculiarità dell'acquisto on-line con tale sistema di pagamento rende quindi difficoltoso l'individuazione del luogo del commesso reato e il momento consumativo dello stesso, momento e luogo che sono stati diversamente individuati negli arresti giurisprudenziali che si sono susseguiti negli ultimi anni, con originarsi di un contrasto di giurisprudenza che si è attualizzato, da ultimo, con la sentenza in commento n. 25230/2015.

Per comprendere meglio la vexata quaestio, occorre partire dunque da una breve disamina degli elementi costitutivi del reato di truffa e valutare, da un punto di vista tecnico, le modalità di adempimento dell'obbligazione del pagamento del prezzo del bene acquistato on-line da parte dell'acquirente.

Come è noto, nelle ipotesi di truffa contrattuale la consumazione del reato si realizza nel momento in cui si verifica l'effettivo conseguimento del bene da parte dell'agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato. Quindi, il reato di truffa contrattuale sussiste in tutte quelle ipotesi in cui la vittima, a seguito dell'artificio o del raggiro, ha concluso innanzitutto un contratto che non avrebbe concluso o ha stipulato un contratto a condizioni a lui sfavorevoli e che non avrebbe accettato senza l'inganno dell'altra parte contraente.

La truffa on-line viene ricondotta dunque al genus della c.d. truffa contrattuale, la quale è configurata come un reato istantaneo che si realizza ogni qual volta l'agente, mediante artifici o raggiri posti in essere nel momento della formazione di un negozio giuridico, induce il soggetto passivo a concludere il negozio stesso.

Tenuto conto della natura istantanea e di danno del delitto di truffa, la sua consumazione postula il danno della vittima.

Secondo l'orientamento prevalente in giurisprudenza – e condiviso dalle Sezioni unite (Cass. pen., Sez. unite, 21 giugno 2000, n. 18) – nella truffa contrattuale quindi il reato si perfeziona nel momento in cui si verifica l'effettivo conseguimento del bene da parte dell'agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato.

Per il radicamento della competenza per territorio del giudice chiamato a conoscere il reato, ex art.8, comma 1, c.p.p., non assumono quindi rilievo il momento ed il luogo di conclusione del contratto e dell'assunzione dell'obbligazione, quanto piuttosto il momento e il luogo in cui l'agente, che ha posto in essere la condotta artificiosa ed ingannatoria, acquisisce l'indebito vantaggio con pari pregiudizio per il disponente, che subisce in via definitiva una perdita patrimoniale.

Nella truffa quindi, a tali fini, assumono rilievo il momento e il luogo in cui si ha l'effettivo depauperamento dell'acquirente del bene che effettua l'atto di disposizione patrimoniale con una delle diverse modalità di pagamento – in contanti, con bonifici bancari, con titoli di credito, con accrediti su carte prepagate riconducibili al venditore, anche non collegate a conti correnti –, ognuna delle quali comporta implicazioni diverse in ordine al profilo del locus commissi delicti.

Tale individuazione è però problematica per la truffa on-line che presenta modalità di realizzazione peculiari: manca il contatto fisico tra le parti, perché il collegamento tra venditore e compratore avviene in rete ed il passaggio del denaro non avviene in un unico luogo, ma in due posti distinti (quello in cui la persona offesa effettua la ricarica e quello in cui il destinatario riceve la somma).

Dal momento che la ricarica avviene in un luogo virtuale ed il denaro può essere prelevato dall'agente presso un qualsiasi sportello A.T.M. presente sul territorio nazionale, nonché per via telematica, attraverso operazioni on-line, diventa impossibile determinare il luogo nel quale l'autore del reato ha acquisito il denaro versato dalla controparte con conseguimento del profitto ingiusto.

Infatti, nel primo caso il luogo nel quale il profitto viene conseguito finirebbe col coincidere con quello nel quale la carta è stata successivamente utilizzata; nel secondo caso, la competenza per territorio, andrebbe determinata in base al criterio residuale di cui all'art.9, comma 2, c.p.p., rifacendosi al luogo di residenza, dimora, domicilio dell'imputato o dell'indagato.

Orbene, partendo da tali premesse, parte della giurisprudenza (Cass. pen. 7749/2015) ha agganciato il momento consumativo del reato al luogo nel quale il profitto viene conseguito ovvero quello nel quale la carta prepagata viene successivamente utilizzata a mezzo ad esempio dei prelievi presso gli sportelli c.d. Bancomat presenti sul territorio dello Stato o anche con lo stesso domicilio dell'indagato, posto che tali strumenti di pagamento sono utilizzati soprattutto online.

La conseguenza di tale impostazione è che diventa impossibile l'individuazione del giudice competente attraverso il criterio indicato dall'art. 8 c.p.p., non potendosi individuare agevolmente i luoghi in cui il venditore simulato va ad operare i prelievi sulla sua carta prepagata.

Ne discende l'applicazione di uno dei criteri residuali contemplati nell'art. 9 c.p.p., in particolare quello incentrato sul luogo di residenza, domicilio o dimora dell'imputato o dell'indagato.

L'orientamento difforme della Corte di Cassazione (sentenza n. 25230/2015)

Altra parte della giurisprudenza recepisce una diversa opzione interpretativa, coerente con l'avviso espresso sul punto dalla Procura Generale, in particolare nel decreto n. 113 del 3 aprile 2012.

L'elemento focale della diversa valutazione del luogo e del momento consumativo del reato si incentra sul dato che gli elementi costitutivi del reato non possono essere considerati in modo scollegato e separato in una sorta di successione cronologica ma vanno ritenuti due elementi tra loro collegati in maniera inscindibile, quali due aspetti di un'unica realtà (Cass. pen., Sez. unite n. 1969/1975).

Ne discende che, se il momento del danno per l'acquirente on-line e il momento del profitto per il venditore virtuale coincidono, va allora attribuita rilevanza al luogo nel quale si è verificato il danno per la vittima, cioè il luogo nella cui circoscrizione si trova l'ufficio postale presso il quale è stata effettuata l'operazione di ricarica della carta Postepay da parte dell'acquirente truffato, e, qualora quest'ultima sia stata effettuata in via telematica, il luogo dal quale è stato inviato l'ordine di pagamento da parte di costui.

È stato infatti evidenziato che in tali luoghi si verifica la deminutio patrimonii del soggetto passivo con contestuale arricchimento da parte del soggetto agente, arricchimento costituito dalla mera disponibilità e non già dall'effettivo utilizzo della somma.

Dunque, l'accredito da parte dell'acquirente della somma di denaro sulla carta prepagata del venditore on-line truffaldino realizza al contempo i due elementi costitutivi del reato di truffa consumata: il depauperamento dell'acquirente e l'arricchimento ingiusto del venditore, che acquisisce la corrispondente disponibilità della somma di denaro da impiegare in svariati modi e tempi.

Ciò comporta che è possibile individuare normalmente il luogo nel quale il reato si è consumato secondo il parametro normativo offerto dall'art. 8,comma 1, c.p.p.

È questa l'opzione interpretativa recepita dalla sentenza n. 25230, emessa il 13 marzo 2015 e depositata il 16 giugno 2015, con cui la Corte di cassazione, è tornata a pronunciarsi sulla questione relativa all'individuazione del luogo di consumazione del delitto di truffa.

Nel caso posto all'esame della Corte, all'imputato veniva contestato di aver promesso e garantito al sig. X per la somma di mille euro, la vendita di un autovettura a mezzo del sito internet autoscout24.it, inducendolo in errore sull'imminente passaggio di proprietà e sul buon fine della trattativa, procurandosi l'ingiusto profitto di 400 €, somma richiesta e ottenuta a mezzo di ricarica su carta Postepay a sé intestata, con pari danno della persona offesa, cui non veniva trasferita la proprietà di alcuna autovettura.

La fattispecie concreta rientra appieno nel paradigma normativo dell'art.640, comma 1, c.p. Tale paradigma normativo, di “vecchio conio”, non contempla l'ipotesi in cui tale forma di delitto venga commessa mediante la rete internet, soprattutto a seguito degli acquisti conclusi con le c.d. prepagate.

Il problema di adattamento dei vecchi schemi di reato alle nuove frontiere del crimine si evidenzia, in tal caso, con riferimento alla necessità di individuazione del luogo ove il reato è commesso (c.d. locus commissi delicti), ex art. 8, comma 1, c.p.p. e di conseguenza dell'esatta individuazione del giudice naturalmente competente, innanzi al quale presentare la relativa querela della persona offesa ma anche nell'individuazione del momento consumativo del reato.

Nel caso sottoposto al vaglio della suprema Corte nella sentenza in esame, il tribunale di Agrigento in composizione monocratica, investito del giudizio nei confronti del soggetto imputato del reato di truffa, aveva dichiarato la propria incompetenza territoriale in favore del tribunale di Brescia. A ragione della decisione, osservava che l'imputato aveva incassato il danaro della vendita on line tramite accreditamento sulla propria Postepay, conseguendo il profitto in Borgosatollo, provincia di Brescia, luogo della sua residenza idoneo a radicare la competenza territoriale anche in forza della regola suppletiva prevista dall'art. 9 c.p.p.

II tribunale di Brescia, a sua volta, si era ritenuto incompetente osservando che la consumazione dei delitto si era verificata al momento e all'atto con cui la persona offesa aveva proceduto al versamento del denaro sulla carta “ricaricabile” Postepay dell'imputato, essendovi coincidenza temporale tra il versamento del denaro da parte della persona offesa e il conseguimento dei profitto da parte dell'autore del reato (essendo la ricarica immediatamente eseguita al momento stesso del versamento effettuato dall'offeso), con la conseguenza che la competenza per territorio doveva essere radicata nel luogo di compimento dell' operazione, ricompreso nel circondario del tribunale di Agrigento.

Il rifiuto di entrambi i giudici a conoscere del processo ha reso, così, indispensabile l'intervento della Corte che, rinviando a quanto già in precedenza affermato dalle Sezioni unite penali (n. 18/2000), ha innanzitutto ribadito come la truffa è un reato istantaneo e di danno che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell'autore abbia fatto seguito la deminutio patrimoni del soggetto passivo.

La Corte ha dunque affermato che, nel delitto di truffa, quando il profitto è conseguito mediante accredito su carta di pagamento ricaricabile (nella specie “Postepay”), il tempo e il luogo di consumazione del reato sono quelli in cui la persona offesa ha proceduto al versamento del denaro sulla carta, poiché tale operazione ha realizzato contestualmente sia l'effettivo conseguimento del bene da parte dell'agente, che ottiene l'immediata disponibilità della somma versata, e non un mero diritto di credito, sia la definitiva perdita dello stesso da parte della vittima.

Secondo la Corte, con l'accredito di una somma di denaro su una carta prepagata intestata al venditore virtuale si realizza una lesione del bene (patrimonio) tutelato, concreta ed effettiva, e non soltanto potenziale.

La sentenza in esame n. 25230/2015, che decide sul conflitto di competenza tra due tribunali riconoscendo quella del tribunale di Agrigento, assume dunque particolare rilevanza sul tema in esame.

Si discosta in maniera tranciante dall'altro filone giurisprudenziale (espresso da ultimo con la sentenza Cass. pen. 4 novembre 2014 – 20 febbraio 2015, n. 7749), secondo cui nell'ipotesi di truffa contrattuale realizzata attraverso la vendita di beni ed il conseguente pagamento on-line il reato si consuma nel luogo ove l'agente consegue l'ingiusto profitto e non già in quello in cui viene data la disposizione per il pagamento da parte della persona offesa, risolvendo in maniera diametralmente opposta il nodo interpretativo dell'individuazione del momento e luogo consumativo del reato di truffa mediante vendita on-line con carte ricaricabili Postepay non collegate a conto corrente.

Nella pronuncia in esame, infatti, viene statuito che quando la modalità di pagamento nella vendita on-line è l'accredito su carta ricaricabile del venditore è nel momento e nel luogo dello spostamento patrimoniale dall'acquirente al venditore - a mezzo dell'accredito della somma di denaro sulla carta Postepay - che si configurano tutti e due gli elementi costitutivi del reato, realizzandosi già la deminutio patrimonii del soggetto passivo e l'ingiusto profitto dell'autore del reato, a prescindere dal momento in cui il venditore, titolare della carta, si rechi ad effettuare il prelievo del contante sulla carta presso uno degli sportelli bancomat presenti sul territorio o a sua volta utilizzi il contante accreditato per pagamenti on-line: deminutio patrimonii ed ingiusto profitto riconducibili alla condotta ingannatrice che comportano la completa realizzazione della fattispecie.

Diversamente può ritenersi, evidenzia la sentenza in commento, nel caso in cui l'oggetto materiale del reato è costituito da titoli di credito, perché il momento di consumazione può essere individuato in quello dell'acquisizione, da parte dell'autore del reato, della relativa valuta, attraverso la riscossione o utilizzazione, poiché solo per mezzo di queste si concreta il vantaggio patrimoniale dell'agente e nel contempo diviene definitiva la potenziale lesione del patrimonio della parte offesa (Cass. pen., Sez. unite, 21 giugno 2000, n. 18).

Invece, quando la truffa viene realizzata a mezzo dell'uso di una carta Postepay ricaricabile,il conseguimento del profitto da parte del truffatore si è realizzato nel momento stesso in cui la parte offesa ha proceduto al versamento del denaro sulla carta ricaricabile a lui intestata.

La competenza territoriale per i reati commessi in via telematica e informatica

La modalità di realizzazione della truffa che sfrutta i canali telematici presenta il problema di individuazione del locus commissi delicti comune a molti reati informatici e commessi via internet.

Giova osservare che la rete internet è caratterizzata dal requisito della a-territorialità, trattandosi di uno spazio virtuale, aperto, che prescinde dai tradizionali confini fisici degli Stati.

L'evoluzione di tale tecnologia e la sua propagazione a livello mondiale se da un lato ha prodotto enormi cambiamenti nelle dinamiche dei rapporti umani a livello tecnologico, culturale, sociale, ha dall'altro comportato anche la nascita e la proliferazione di molte e nuove forme di reato.

Il crimine informatico può essere idealmente suddiviso in due categorie: da un lato ci sono i reati (di recente introduzione nel nostro codice) ipotizzati dal Legislatore come commessi con internet ed incidenti sul sistema informatico della vittima; dall'altro lato ci sono i reati previsti dal codice penale fin dalla sua originaria formulazione del 1930 che, per la loro natura, possono anche essere commessi mediante il computer e la rete (ad esempio ingiuria, diffamazione e la truffa on-line, oggetto di valutazione), per i quali si pone un problema di regolamentazione.

Essi pongono innanzitutto la necessità di rimodulare il parametro attributivo della competenza per territorio ex art. 8, comma 1, c.p.p., posto che il luogo di commissione del reato non ha una dimensione concreta, spaziale ma esclusivamente virtuale.

Tale diversa dimensione del locus commissi delicti, consente di ritenere la soluzione adottata dalla sentenza della suprema Corte di cassazione sulle truffe on-line n. 25230/15 (precedentemente richiamata) più coerente con le modalità telematiche di realizzazione della specifica truffa on-line, in cui l'incontro del consenso tra le parti del contratto avviene nel circuito virtuale di internet e l'esecuzione delle prestazioni avviene in maniera decontestualizzata.

Di qui la preminenza al luogo di realizzazione della deminutio patrimonii del soggetto passivo del reato, a mezzo dell'accredito/ricarica della somma di denaro sulla carta prepagata del venditore virtuale truffaldino attraverso lo sportello bancario o una distinta di pagamento che finisce per coincidere con il momento in cui il venditore ne consegue la disponibilità e realizza l'ingiusto profitto.

Del luogo virtuale di realizzazione della condotta criminosa informatica si sono direttamente occupate le Sezioni unite della suprema Corte di cassazione che, con la sentenza del 26 marzo 2015 (dep. 24 aprile 2015) n. 17325, sono intervenute in relazione ad altra fattispecie penale informatica offrendo una soluzione interpretativa e di individuazione del locus commissi delicti, rispetto alla quale appare coerente l'opzione ermeneutica adottata dalla sentenza sulle truffe on-line n. 25230/2015 (trattata nel precedente paragrafo).

Le Sezioni unite della suprema Corte di cassazione, esaminando le modalità tecniche di realizzazione di taluni reati informatici, hanno puntellato i criteri per individuare il momento consumativo degli stessi, segnatamente, dell'art. 615-ter c.p., statuendo che il luogo di consumazione del delitto di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, di cui all'art. 615-ter cod. pen., è quello nel quale si trova il soggetto che effettua l'introduzione abusiva o vi si mantiene abusivamente.

In relazione a tale fattispecie e per il diverso modo di intendere la spazialità nei reati informatici era emerso un contrasto in giurisprudenza sul se, ai fini della determinazione della competenza per territorio, il luogo di consumazione del delitto di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, di cui all'art. 615-ter c.p., fosse quello in cui si trovava il soggetto che si introduceva nel sistema o, invece, quello nel quale era collocato il server che elabora e controlla le credenziali di autenticazione fornite dall'agente.

Secondo alcune pronunce, competente per territorio era il tribunale del luogo nel quale il soggetto si era connesso alla rete effettuando il collegamento abusivo, per altre, il tribunale del luogo ove era fisicamente allocata la banca-dati che costituisce l'oggetto della intrusione.

Con la sentenza richiamata, il luogo in cui è stato commesso il reato – per i reati informatici – viene ad essere il luogo in cui l'azione dell'uomo si è realizzata , sia pure attraverso l'uso di uno strumento informatico e, dunque, per sua natura destinato a produrre flussi di dati privi di una loro "consistenza territoriale" , individuandosi in quel luogo il giudice anche "naturalisticamente" (oltre che formalmente) competente, dove la collettività percepisce il disvalore del delitto posto in essere.

La sentenza appare significativa, adattando alle nuove modalità di commissione di taluni crimini e a specifici delitti informatici i criteri di individuazione del luogo di consumazione del reato, della realizzazione del disvalore penale del fatto.

Altri arresti giurisprudenziali successivi si sono allineati all'opzione interpretativa recepita dalla pronuncia a Sezioni unite della Corte di cassazione (cfr. Cass. pen., Sez. V, 19 maggio – 21 luglio 2015, n. 31677; Cass. pen., Sez. I, 8 settembre 2015 , n. 36338).

Si è ritenuto infatti che i criteri enunciati dal supremo Collegio a Sezioni unite ben possono essere mutuati ad esempio per il caso di upload di un articolo a contenuto diffamatorio, che pertanto deve ritenersi effettuato non nel luogo dove si trova l'elaboratore elettronico che conserva e rende disponibili i dati per l'accesso degli utenti bensì nel luogo in cui il caricamento del dato “informatico” viene effettivamente eseguito.

È stato statuito quindi che nei reati di diffamazione commessi a mezzo della rete internet, ove sia impossibile individuare il luogo di consumazione del reato e sia invece possibile individuare il luogo in remoto in cui il contenuto diffamatorio è stato caricato, tale criterio di collegamento deve prevalere su qualsiasi altro cosicché la competenza risulta individuabile con riferimento al luogo fisico ove viene effettuato l'accesso alla rete per il caricamento dei dati sul server.

Si è precisato dunque che il luogo dell'accesso al sistema informatico deve individuarsi non nella allocazione fisica del server host, bensì laddove il soggetto, dotato di un hardware in grado di collegarsi con la rete, effettui l'accesso in remoto. Per cui se risulta, nel corso del processo, che l'upload è avvenuto per mano di un tecnico che si è valso del pc di casa propria, è quest'ultimo il luogo in cui verrà incardinato il processo.

In conclusione

Il criterio adottato dalla sentenza n. 25230, emessa il 13 marzo 2015 e depositata il 16 giugno 2015 per individuare il locus commissi delicti nel caso di truffa on-line effettuate con carte prepagate, ricaricabili, tiene conto della peculiarità di realizzazione della fattispecie penale tipica commessa con il sistema informatico, evidenzia, nel caso di specie, la sincronia del momento di realizzazione del danno per la vittima e del momento del conseguimento del profitto per l'autore del reato, profitto da ritenersi già esistente ed effettivo con la reale disponibilità della somma di denaro sulla propria carta prepagata ricaricabile, a prescindere dal momento dell'effettivo utilizzo, con successivo prelievo da sportello o impiego in altre operazioni on-line.

Tale criterio appare quindi rispondente alle peculiarità delle compravendite fraudolente realizzate via internet in maniera e con mezzi di pagamento decontestualizzati e sganciati dal collegamento di conto corrente (come il caso della carta ricaricabile) nonché rispettosa del principio del giudice naturale, individuato in quellodel luogo nel quale è stato compiuto l'atto di disposizione patrimoniale pregiudizievole per la vittima a vantaggio del reo: trattasi nel caso di specie del luogo quindi nella cui circoscrizione si trova l'ufficio postale presso il quale è stata effettuata l'operazione di ricarica della carta Postepay, giacché lì si verifica la deminutio patrimonii del soggetto passivo con contestuale arricchimento da parte dell'agente, con la conseguenza che i due eventi finali della truffa, danno e profitto, si producono nello stesso momento.

Diversamente può ritenersi nel caso in cui il pagamento venga dalla vittima realizzato attraverso altre modalità di pagamento, diverse dai contanti, come ad esempio a mezzo di un bonifico bancario e quindi con modalità̀ di tempo e di luogo della verificazione deminutio patrimonii e del conseguimento dell'ingiusto profitto da parte del reo.

La soluzione scelta dalla sentenza n. 25230/2015, che consente di fare applicazione del parametro normativo dell'articolo 8 c.p.p., individuando il luogo in cui la vittima si è spogliata di una somma di denaro ingiustamente a seguito della condotta ingannevole, senza che ne sia seguita la controprestazione del venditore, presenta però dei risvolti problematici sul piano dell'attività investigativa.

Infatti, non garantisce che ad uno stesso ufficio giudiziario pervengano tutte le denunce eventualmente presentate nei confronti della stessa persona, nel caso in cui le vittime si trovino in luoghi diversi del Paese.

Il problema si pone in particolare nel caso in cui ad uno stesso annuncio sulla rete internet seguano più stipule di compravendite on-line da parte di soggetti differenti, ubicati in luoghi diversi.

Ogni pagamento del bene effettuato a mezzo di ricarica della carta Postepay dal singolo acquirente, applicando le coordinate ermeneutiche della sentenza in esame, potrebbe determinare l'insorgere di un diverso procedimento penale, con la duplice conseguenza che si andrebbero ad aprire tanti procedimenti quante sono le vittime che denunciano e diventerebbe difficile pervenire all'accertamento dell'esistenza di una serialità nella commissione delle truffe on-line, vista l'impossibilità, per ciascun ufficio investigativo, di conoscere in tempo reale l'esistenza di altre denunce nei confronti della stessa persona, presentate presso una qualsiasi delle procure della Repubblica del territorio nazionale.

Il problema evidenziato non si configura invece se la carta Postepay è abbinata ad un conto corrente, perché il luogo di consumazione del reato di truffa in tal caso sarà quello in cui è stato costituito/aperto il conto corrente sul quale è appoggiata la carta.

In caso contrario, il locus commissi delicti sarà molteplice, ognuno incardinato nel luogo delle singole ricariche operate da ciascuna vittima, a meno non si voglia adottare il criterio di risalire al luogo di attivazione della carta su cui si effettua la ricarica.

Un problema di questo tipo non viene invece in rilievo se il luogo di consumazione del reato, ai fini della competenza per territorio, venga individuato in quello in cui è stato conseguito il profitto illecito da parte dell'agente (Cass. pen. n. 7749/2015), con applicazione del criteri suppletivi di cui all'art. 9 c.p.p.

Tale ultimo indirizzo giurisprudenziale consente da un lato di concentrare i procedimenti presso la sede giudiziaria in cui risiede o domicilia l'indagato e, dall'altro, di verificare se si tratta di un caso isolato o di un comportamento seriale da parte dell'agente e risulta in linea con le regole dettate in materia dal codice di procedura penale.

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