Reato del legale rappresentante. È confiscabile il bene dell'ente?

Andrea Alberico
01 Ottobre 2015

È possibile il sequestro preventivo finalizzato alla confisca in danno degli enti per i reati tributari commessi dal legale rappresentante? Ci si chiede se sia possibile, ed a quali condizioni, aggredire il patrimonio di un ente – nelle forme del sequestro preventivo funzionale alla confisca – in seguito alla commissione di reati tributari da parte del legale rappresentante.

È possibile (il sequestro preventivo finalizzato al)la confisca in danno degli enti per i reati tributari commessi dal legale rappresentante?

Ci si chiede se sia possibile, ed a quali condizioni, aggredire il patrimonio di un ente – nelle forme del sequestro preventivo funzionale alla confisca – in seguito alla commissione di reati tributari da parte del legale rappresentante.

Il tema è reso di peculiare interesse in considerazione della mancata catalogazione dei reati tributari tra i reati-presupposto che possono determinare la responsabilità amministrativa della persona giuridica.

Sotto questo aspetto, dunque, si insinua il sospetto di invocare un provvedimento ablatorio in assenza di profili di responsabilità da parte dell'ente, che non potrebbe commettere quel fatto di reato perché non previsto come tale dalla legge istitutiva della responsabilità amministrativa. Il che appare viepiù preoccupante se si ricorda la natura sanzionatoria della confisca ex art. 19 d.lgs. 231/2001.

Sul punto, si sono registrati due orientamenti interpretativi.

Secondo un primo indirizzo, ragionando sulla circostanza di comune esperienza secondo cui l'omissione fiscale è orientata al conseguimento di un risparmio di spesa per l'ente, che è dunque interessato ad essa, deve considerarsi possibile il sequestro preventivo (e la successiva confisca) per equivalente dei beni di quest'ultima in quanto la società non sarebbe soggetto estraneo al reato, ma patrimonio nel quale si consolidano gli effetti dello stesso. La persona giuridica, in altri termini, diviene collettore del profitto illecito (in senso adesivo, Cass., Sez. III, n. 33182/2013).

L'orientamento contrario, viceversa, fonda sul carattere tassativo del catalogo dei reati presupposto contenuto nel d.lgs. n. 231/2001, e sul mancato inserimento, vivi, dei reati tributari quale fonte di responsabilità (Cass. pen., Sez. III, n. 1256/2013; Cass. Pen., Sez. III, n. 42350/2013; Cass. pen., Sez. III, n. 42476/2013). Secondo la Corte, l'unica ipotesi in cui permane un spazio si aggredibilità del patrimonio societario è quello “in cui la struttura aziendale costituisca un apparato fittizio utilizzato dal reo per commettere gli illeciti”.

È bene chiarire i termini del contrasto giurisprudenziale, per verificarne la portata.

La normativa di riferimento è data dall'art. 1, comma 143, legge 24 dicembre 2007, n. 244, che richiama, in tema di reati tributari, l'art. 322-ter c.p.

Il primo profilo da chiarire è che la disposizione in parola, lungi dall'introdurre nell'ordinamento una nuova ed autonoma forma di confisca per equivalente, si limita a richiamare la fonte codicistica che contempla tanto una forma di confisca diretta, quanto una per equivalente.

Ne segue che, ai fini del coinvolgimento del patrimonio dell'ente nella misura ablatoria, risulta imprescindibile distinguere a quale forma di confisca si voglia procedere, poiché, nel caso di confisca diretta, l'ente costituisce solo il patrimonio nel quale è confluito il profitto illecito.

Proprio ragionando in questi termini, il contrasto giurisprudenziale si rivela più circoscritto nella sua portata. E su questa traccia interpretativa si sono mosse le Sezioni unite chiamate a dirimere la questione (Cass. pen., Sez. un., n. 10561/2014).

Secondo il massimo organo nomofilattico, in tema di reati tributari “il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell'accertamento del debito tributario”.

Chiarito ciò, e ribadito che la confisca di profitto, quando si tratta di denaro o altre cose fungibili, è sempre confisca diretta, la Corte afferma che “La trasformazione che il denaro, profitto del reato, abbia subito in beni di altra natura, fungibili o infungibili, non è quindi di ostacolo al sequestro preventivo il quale ben può avere ad oggetto il bene di investimento così acquisito”.

Seguendo l'impostazione delle Sezioni unite, dunque, quando il profitto del reato sia costituito da somme di denaro – anche nella forma di risparmi di spesa – la confisca resta diretta quando è disposta sul denaro medesimo, ovvero su beni che ne costituiscono il reimpiego. Dato il carattere fungibile del denaro, infatti, non si potrebbe pretendere altrimenti che siano sequestrate proprio le somme oggetto del risparmio fiscale.

Così chiarito il significato e la funzione sistematica della confisca di profitto, la Corte afferma: “La confisca del profitto di reato è possibile anche nei confronti di una persona giuridica per i reati commessi dal legale rappresentante o da altro organo della persona giuridica, quando il profitto sia rimasto nella disponibilità della stessa”.

Risolvendo il conflitto giurisprudenziale portato alla propria attenzione, le Sezioni unite, quanto alla confisca diretta, chiariscono che l'ente non può considerarsi terzo estraneo al reato, ma, al contrario, costituisce il complesso patrimoniale nel cui alveo si concretizza il risparmio conseguente al commesso reato.

Di poi la Corte specifica quando possa essere attivata la confisca per equivalente: “in tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente prevista dagli artt. 1, comma 143, della l. n. 244 del 2007 e art. 322-ter cod. pen. non può essere disposto sui beni dell'ente, ad eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni”.

Infine, quanto alla confisca in danno degli organi della società, le Sezioni unite forniscono un'importante precisazione: “Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato”.

Si fissa, in questo modo, un criterio di preferenza secondo cui la confisca diretta deve essere sempre privilegiata, fin dall'apposizione del vincolo reale sul bene, anche quando ciò comporti la necessità di intaccare il patrimonio dell'ente a scapito di quello dell'autore materiale del reato.

Da ultimo, proprio in tema di sequestro di profitto di reato tributario, una recentissima sentenza della Cassazione ha confermato i principi espressi dalle Sezioni unite, statuendo che: a) quando il profitto consiste in denaro o altri beni fungibili, la confisca deve sempre considerarsi ‘diretta'; b) in tale caso la persona giuridica è comunque beneficiaria del reato tributario; c) va verificata la possibilità di aggredire il patrimonio dell'ente prima di procedere al sequestro sul patrimonio del legale rappresentante, atteso che è quel patrimonio ad essersi accresciuto per effetto del risparmio di spesa concernente il mancato versamento delle ritenute (Cass. pen., Sez. IV, n. 15736/2015).

Come può notarsi, simili statuizioni non comportano né l'aggiramento, né l'applicazione surrettizia dell'art. 19 d.lgs. 231/2001: l'ente, infatti, non viene aggredito quale ‘persona' autore del reato; non viene sanzionato con una pena in difetto di responsabilità. L'ablazione patrimoniale, più semplicemente, lo coinvolge solo quale “patrimonio”, quale agglomerato di beni. Del resto, la persona giuridica non può considerarsi terzo di buona fede rispetto al denaro illecito che confluisce nel proprio patrimonio, dal momento che, benché ‘soggettivamente' estranea al reato, ne raccoglie immediatamente i frutti.

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