Conseguenze del negato diritto, da parte della P.G., al difensore di conferire con il cliente in sede di arresto
02 Maggio 2016
Sovente accade che la polizia giudiziaria, in seguito all'arresto, neghi al difensore il diritto di conferire con il cliente, previsto dall'art. 104 c.p.p., opponendo non meglio precisate esigenze d'ufficio e/o mancanza di autorizzazione da parte del P.M. Quid iuris in sede di convalida? Quali conseguenze ricadono sull'interrogatorio e sulla misura cautelare? Entro quali termini eccepire il vizio?
Il difensore della persona fermata, arrestata o sottoposta ad una misura di custodia cautelare, ha diritto di conferire con l'assistito ed accedere ai luoghi in cui lo stesso si trovi custodito (artt. 104 c.p.p. e art. 36, comma 1, disp. att. c.p.p.). In via d'eccezione è previsto che, nel corso delle indagini preliminari, quando sussistano specifiche ed eccezionali ragioni di cautela, il Gip, su richiesta del pubblico ministero, possa rinviare per un tempo non superiore a cinque giorni, l'esercizio del diritto di conferire con il difensore. Il provvedimento del giudice presuppone la richiesta del P.M. (Cass. pen., Sez. VI, n. 39941/2009) che può, legittimamente, essere avanzata congiuntamente alla richiesta di applicazione delle misura cautelare. Nelle ipotesi di arresto o di fermo, fino al momento in cui l'arrestato o il fermato sia posto a disposizione del giudice, il differimento può essere disposto, con decreto motivato, direttamente dal P.M. per un termine massimo di 48 ore (art. 390 c.p.p.). Successivamente il P.M. potrà richiedere al giudice una proroga del differimento, sino alla misura massima prevista dalla norma di 5 giorni. Trattandosi di un termine finale, il P.M. può esercitare il potere di dilazione in qualsiasi tempo compreso tra il momento del fermo e quello della messa a disposizione del gip del fermato. Il deposito tardivo del provvedimento col quale il P.M. differisce l'esercizio del diritto dell'indagato in vinculis di conferire col proprio difensore costituisce una mera irregolarità (Cass. pen.,Sez. I, n. 26284/2006). L'efficacia del provvedimento disposto dal P.M. ex art. 104, comma 4, c.p.p. viene meno una volta che l'arrestato o il fermato sia stato posto a disposizione del giudice. Ne consegue che sarà affetto da nullità l'interrogatorio svolto dal medesimo giudice che, senza adottare un provvedimento proprio, in sostituzione di quello del P.M. ma erroneamente supponendone la permanente validità, non abbia consentito l'esercizio del diritto in questione prima che l'interrogatorio avesse luogo (Cass. pen., Sez. V, 9 luglio 1993). Per poter eccepire la nullità occorrerà, in ogni caso, che il difensore o l'assistito abbiano formulato istanza di colloquio. Nei casi in cui l'autorità giudiziaria abbia disposto il differimento del colloquio con il difensore (art. 104, commi 3 e 4, c.p.p.), il relativo provvedimento non deve essere notificato ma esibito al difensore e all' assistito nel momento in cui vi sia richiesta di colloquio (Cass. pen.,Sez. I, n. 5401/2000). La mancata esibizione del decreto non determina nullità, stante il principio di tassatività delle nullità ribadito dall'art. 177 c.p.p. e la non riconducibilità della violazione dell' art. 36 disp. att. c.p.p. alla nullità di ordine generale prevista dall'art. 178 lett. c) c.p.p. (Cass. pen., Sez. II, 21 marzo 1990). Il differimento del colloquio è stato ritenuto costituzionalmente legittimo (artt. 3, 24 e 111 Cost.) atteso il limitato sacrificio del diritto dell'imputato rispetto al superiore interesse di giustizia, nonché conforme all'art. 6 della convenzione europea dei diritti dell'uomo (Cass. pen., Sez. IV, n. 15113/2006). |