Nuovi orizzonti per l'impiego della Pec nel procedimento penale

03 Aprile 2017

Lo scritto, commentando adesivamente la pronuncia oggetto di segnalazione, mira a proporre un'interpretazione dell'art. 16, comma 4, d.l. 16 ottobre 2012, n. 179, conv., con mod., in l. 17 dicembre 2012, n. 221, al passo con i tempi ...
Abstract

Lo scritto, commentando adesivamente la pronuncia oggetto di segnalazione, mira a proporre un'interpretazione dell'art. 16, comma 4, d.l. 16 ottobre 2012, n. 179, conv., con mod., in l. 17 dicembre 2012, n. 221, al passo con i tempi, evidenziando come interpretazioni restrittive di fonte ministeriale, riprese dalla dottrina e recepite dalla stessa giurisprudenza di legittimità circa il legittimo impiego della Pec solo in funzione sostitutoria di forme già derogatorie dell'ordinario regime delle notificazioni, non sembrino aderire alla lettera della legge, tanto più che si pone in contrapposizione alle caratteristiche di certezza che tecnicamente e normativamente assistono la Pec, sino ad eleggerla ad equivalente della notificazione postale.

Massima

Nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona è valida la notificazione ex art. 299, commi 3 e 4-bis, c.p.p. dell'istanza di revoca od attenuazione di misura cautelare personale effettuata dal difensore dell'indagato od imputato mediante l'inoltro diretto via posta elettronica certificata (Pec) al difensore della persona offesa.

Il caso

Cass. pen., Sez. II, 11 gennaio 2017-10 febbraio 2017, n. 6320, innovativamente afferma che la notificazione ex art. 299, commi 3 e 4-bis, c.p.p. dell'istanza di revoca od attenuazione di misura cautelare personale applicata in procedimenti per reati commessi con violenza alla persona può essere effettuata dal difensore dell'indagato od imputato mediante l'inoltro diretto via posta elettronica certificata (Pec) al difensore della persona offesa.

Nel caso di specie, in cui procedevasi tra l'altro per addebiti rilevanti ex art 630 c.p., il tribunale ordinario di Napoli, in funzione di giudice del riesame, aveva dichiarato inammissibile l'appello spiegato ai sensi dell'art. 310 c.p.p. avverso il provvedimento del Gip di rigetto dell'istanza dell'imputato volta ad ottenere la sostituzione della misura custodiale con quella degli arresti domiciliari, ritenendo che il relativo atto non fosse stato ritualmente notificato alla persona offesa, in quanto comunicato a mezzo [di] Pec al suo difensore e, dunque, con una modalità non consentita alle parti private nel processo penale. Invero – secondo il tribunale – la Pec potrebbe essere utilizzata nel procedimento penale esclusivamente dalla cancelleria, giusta l'art. 16, comma 4, d.l. 16 ottobre 2012, n. 179, conv., con mod., in l. 17 dicembre 2012, n. 221.

La S.C., in contrario avviso rispetto alla tesi del tribunale, rileva come il comma 4 si occupi puramente e semplicemente di disciplinare l'utilizzo della Pec da parte delle cancellerie, senza tuttavia riservarlo alle stesse, purché il destinatario dell'attività di notum facere sia persona diversa dalla persona fisica dell'indagato o imputato; talché, semmai, l'unico divieto che può trarsi dal citato art. 16 è quello dell'inutilizzabilità della notifica a mezzo [di] Pec a cura della cancelleria, qualora il destinatario sia l'imputato (persona fisica).

Proseguendo nel ragionamento, la S.C. osserva che il destinatario della notificazione oggetto di discussione era il difensore della persona offesa. Di conseguenza, una volta usciti dall'ambito dell'“unico divieto” posto dal comma 4, trova applicazione il regime per così dire ordinario di cui agli artt. 152 c.p.p. e art. 48 cad.

Da tale regime ordinario, conclusivamente, discende la legittimità della notificazione ex art. 299 c.p.p. effettuata via Pec dal difensore dell'indagato o imputato al difensore della persona offesa, tenuto conto del fatto che la Pec, per le caratteristiche di sicurezza che restituisce in punto di invio e di ricezione del messaggio, tiene luogo della spedizione di una raccomandata con avviso di ricevimento.

Il dibattito più recente in seno alla suprema Corte di cassazione

La questione relativa all'impiego della Pec ad opera delle parti non è affatto nuova nella giurisprudenza di legittimità. Anzi, a dimostrazione di quanto vivo sia il dibattito sul tema che ne occupa, valga ricordare come, recentissimamente, la Sez. V, con l'ordinanza n. 51961 depositata il 6 dicembre 2016 in proc. F., concernente un caso di spedizione via Pec alla cancelleria dell'atto di opposizione a decreto penale di condanna, avesse investito il Primo Presidente dell'opportunità di valutare la rimessione alle Sezioni unite della questione relativa all'utilizzabilità della Pec ad iniziativa di parte per proporre impugnazioni ed opposizioni. Tuttavia, con provvedimento del 3 gennaio 2017, il primo Presidente ha restituito gli atti, rilevando che, a fronte di una giurisprudenza concorde nel senso dell'inammissibilità di una simile forma di spedizione dell'atto di impugnazione, non contemplata dalle tassative forme indicate nell'art. 583 cod. proc. pen. … e, in genere, [nel senso dell']inibizione alle parti private, nel processo penale, di effettuare comunicazioni o notificazioni a mezzo [di] posta elettronica certificata …, l'ordinanza in oggetto non esprime un esplicito e argomentato dissenso, limitandosi a osservare, in via meramente problematica, che le forme di proposizione dell'atto di impugnazione dettate dall'art. 83 devono essere lette alla luce del principio del favor impugnationis; in tal modo non soddisfacendo il rigoroso presupposto (contrasto di giurisprudenza effettivo o quantomeno potenziale) considerato dall'art. 618 cod. proc. pen. ai fini dell'investitura delle Sezioni Unite.

Il provvedimento del primo Presidente pare condivisibile nella parte in cui puntualizza che, stante una linea di giurisprudenza granitica nel sostenere che è inammissibile la spedizione via Pec alla cancelleria dell'atto di impugnazione, in quanto non contemplata dall'art. 583 c.p.p., a sua volta insuscettivo di interpretazioni estensive, la semplice prospettazione dell'esigenza di ossequiare il principio del favor impugnationis non realizza il presupposto di un vero e proprio contrasto giurisprudenziale, unico a fondare la rimessione alle Sezioni unite ex art. 618 c.p.p.; esso viepiù è acuto nel lasciare aperta la strada della possibile confutazione delle ragioni di siffatta giurisprudenza sul terreno degli argomenti dalla stessa fatti propri, in considerazione, segnatamente, delle Peculiari caratteristiche tecniche della Pec.

Inammissibilità delle impugnazioni proposte a mezzo di fax e di Pec

Sino a Sez. II, n. 6320 del 2017, in commento, lo studio della giurisprudenza di legittimità sull'impiego della Pec ad opera delle parti si è concentrato sulle impugnazioni in quanto è unicamente rispetto a queste che la S.C. ha avuto occasione di occuparsene. Vale la pena di sottolinearlo perché, se è vero che esse obbediscono ad uno statuto speciale (o semplicemente Peculiare) circa le modalità di proposizione, la notificazione di atti a carattere non impugnatorio, come nel caso dell'art. 299, commi 3 e 4-bis, c.p.p., determina la sottrazione dei medesimi ai rigori di un'inammissibilità sempre in agguato, cui invece sottostanno le prime.

In relazione alle impugnazioni, infatti, l'inammissibilità non colpisce solo quelle spedite via Pec, ma tutte quelle proposte con modalità eterodosse, con particolare riguardo a quelle trasmesse via fax. Più precisamente, è proprio a proposito del fax che si è cristallizzata quell'affermazione di rispondenza ad un numerus clausus delle modalità di proposizione delle impugnazioni successivamente trasfusa a giustificazione dell'inammissibilità della spedizione di un'impugnazione via Pec.

Nel dettaglio, è stata Sez. I, 20 marzo 2015, n. 16356, in coda ad una lunga serie di precedenti conformi, a proclamare claris verbis che, in materia di impugnazioni[,] vige il principio di tassatività ed inderogabilità delle forme stabilite dalla legge per la presentazione del ricorso[,] in quanto si tratta di requisiti la cui osservanza è sanzionata a pena di inammissibilità, con la conseguenza che la presentazione dell'impugnazione a mezzo [del] telefax è inammissibile perché effettuata con modalità non consentita dalla legge.

A dire il vero, la linea del rigore pare spingersi oltre, dal momento che siffatto principio trova spazio, non solo per le impugnazioni, ma anche per la rinuncia alle stesse. Una recente opinione, nel riprendere una posizione antica, ha affermato che l'atto di rinuncia all'impugnazione trasmesso alla cancelleria del giudice ad quem via telefax è affetto da invalidità, dovendosi rispettare per la sua presentazione le forme di cui all'art. 589, comma terzo, cod. proc. pen. – tra le quali non è contemplata l'utilizzazione del fax – idonee a garantire sia la provenienza della rinuncia dal soggetto legittimato sia la sua conformità all'originale (Cass. pen. Sez. IV, 27 aprile 2015, n. 35521). La lontana Cass. pen., Sez. I, 25 settembre 1997, n. 5292, era stata più esplicita nell'istituire un parallelismo perfetto tra impugnazioni e rinuncia, sostenendo, alla stregua di un'osservazione su cui più in generale si ritornerà subito in appresso, che le norme riguardanti la presentazione o la spedizione dell'atto di impugnazione – applicabili, in forza dell'art. 589, comma terzo, cod. proc. pen., anche all'atto di rinuncia – prevedono, a pena di inammissibilità, forme particolari, idonee a garantirne non solo la ricezione, ma anche, e soprattutto, la provenienza, e ciò non si realizza con il telefax, la cui utilizzazione non è contemplata dalle suddette norme: talché l'incertezza della provenienza dell'atto di rinuncia dal soggetto ad essa legittimato – che si verifica ad esempio nel caso di trasmissione a mezzo del fax, mezzo viepiù inidoneo a garantire la conformità all'originale – è causa di invalidità di esso, a nulla rilevando che le sanzioni processuali previste in tema di impugnazione non siano espressamente previste anche per essa. Peraltro ragioni di completezza esigono che, sul tema della rinuncia, si faccia menzione anche dell'opinione contraria, secondo cui è ammissibile la rinuncia all'impugnazione contenuta in un atto a firma del ricorrente trasmessa via fax alla cancelleria del giudice ad quem, nondimeno per il sol fatto che le forme di cui all'art. 589 cod. proc. pen. non sono di per se stesse presidiate dalla sanzione dell'inammissibilità (Cass. pen., Sez. I, 26 ottobre 2012, n. 4884).

Chiusa la digressione, inammissibile l'impugnazione proposta con il mezzo del fax, parimenti inammissibile, per le stesse ragioni di preclusione alla vulnerazione della tassatività sancita dall'art. 583 c.p.p., è quella proposta con il mezzo della Pec.

Non a caso, puntualmente, a siffatta conclusione è approdata Cass. pen., Sez. IV, 30 marzo 2016, n. 18823, dichiarativa dell'inammissibilità di un ricorso per cassazione proposto a mezzo di Pec avverso la revoca di un'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, in quanto le modalità di presentazione e di spedizione dell'impugnazione, disciplinate dall'art. 583 cod. proc. pen., sono tassative ed inderogabili e nessuna norma prevede la trasmissione mediante l'uso della Pec. Sulla stessa linea si colloca Sez. V, 5 marzo 2015, n. 24332, significativamente richiamata in motivazione da Sez. IV, n. 18823 del 2016, secondo cui “è inammissibile l'impugnazione cautelare proposta dal P.M. mediante l'uso della posta elettronica certificata (c.d. Pec), in quanto le modalità di presentazione e di spedizione dell'impugnazione, disciplinate dall'art. 583 cod. proc. pen. – esplicitamente indicato dall'art. 309, comma quarto, a sua volta richiamato dall'art. 310, comma secondo, cod. proc. pen. – e applicabili anche al pubblico ministero sono tassative e non ammettono equipollenti, stabilendo soltanto la possibilità di spedizione dell'atto mediante lettera raccomandata o telegramma, al fine di garantire l'autenticità della provenienza e la ricezione dell'atto, mentre nessuna norma prevede la trasmissione mediante l'uso della Pec.

Mettendo a confronto le due massime, balza agli occhi che in quella relativa a Cass. pen., Sez. V, n. 24332 del 2015, le modalità di presentazione e di spedizione dell'impugnazione sono correlate dall'art. 583 c.p.p. in via esclusiva alla possibilità di spedizione dell'atto mediante lettera raccomandata o telegramma perché detta spedizione – e, sembrerebbe di dover aggiungere, essa soltanto – garantisce l'autenticità della provenienza e la ricezione dell'atto.

In motivazione, su cui ci si attarda per il notevole grado di approfondimento che la contraddistingue, Cass. pen. Sez. V, n. 24332 del 2015, dopo aver richiamato la giurisprudenza che inibisce anche l'uso del fax per la proposizione di un'impugnazione in quanto non previsto dall'art. 583, comma 1, c.p.p., osserva che la Pec, così come il detto fax, garantisce la riferibilità della provenienza del file [esclusivamente] dal servizio amministrativo che lo spedisce; né la tassatività dell'art. 583, comma 1, c.p.p. sarebbe superata dall'art. 48, comma 2, cad, poiché quest'ultimo, pur equiparando la trasmissione del documento informatico per via telematica alla notificazione per mezzo della posta, da un canto, fa salva comunque la specialità delle normative di settore, nel caso in esame rappresentate dal disposto dell'art. 583 c.p.p., e, dall'altro, equipara sì i due sistemi[, ma solo] come altrettanti ‘mezzi di notificazione', in altri termini prevedendo un meccanismo di conoscenza legale dell'atto notificato[,] ma non anche un sistema in grado di assicurare la sicura riferibilità del contenuto di quel documento informatico alla persona fisica che è la sola legittimata ad adottarlo […].

Con l'analisi di Cass. pen., Sez. V, n. 24332 del 2015, si è arrivati al cuore del problema, attinente all'asserita impossibilità di utilizzo della Pec al fine di proporre impugnazioni per due ordini di ragioni:

  • in primo luogo, perché l'art. 48 cad, nel far salva la speecialità delle normative di settore, accorderebbe preminenza proprio all'art. 583 c.p.p., da interpretarsi nel senso della tassatività delle modalità di proposizione delle impugnazioni;
  • in secondo luogo, perché l'art. 48 cad, porrebbe sì l'equiparazione della spedizione del documento informatico per via telematica alla notificazione del documento cartaceo mediante raccomandata con avviso di ricevimento, tuttavia unicamente sotto il profilo della conoscenza legale dell'atto notificato, la Pec non potendo assicurare la provenienza del documento informatico dal soggetto legittimato all'iniziativa processuale.
Ragioni tecniche della correttezza dell'equiparazione della Pec all'invio di un piego raccomandato per posta ordinaria

Sia consentito di cominciare dal secondo profilo cui si accennava poc'anzi, relativo ai presunti limiti dell'equiparazione della Pec alla raccomandata con avviso di ricevimento: profilo – peraltro trasversale all'area delle impugnazioni e degli atti non costituenti impugnazione – a proposito del quale v'è da osservare che, sicuramente, il proprium della Pec non consiste nel dare certezza della provenienza del documento informatico dal mittente che ha acceduto al sistema, bensì nel dare certezza che il documento è stato spedito da una sPecifica casella di posta, quella del mittente, in uno sPecifico momento, ed è stato recapitato ad un'altrettanto sPecifica casella di posta, quella del destinatario, in un altrettanto sPecifico momento.

Viene in rilievo il Regolamento recante disposizioni per l'utilizzo della posta elettronica certificata, a norma dell'articolo 27 della legge 16 gennaio 2003, n. 3, di cui al d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68. Esso, sebbene il suo art. 16, ultimo comma, seguiti ad escluderne (ormai incongruentemente) l'applicazione all'uso degli strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo penale, nel processo amministrativo, nel processo tributario e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti, per i quali restano ferme le specifiche disposizioni normative, torna in ballo per il fatto di costituire il punto di riferimento del duplice rinvio espressamente effettuato sia al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68 sia alla correlata normativa tecnica di rango sub-secondario dai commi 1 e 3 dell'art. 48 cad, a sua volta votato finalmente a dettar legge, nei limiti di una compatibilità in parte qua fuori discussione, anche nel processo civile, penale, amministrativo, contabile e tributario, in virtù dell'art. 2, ultimo comma, cad [il quale, nella versione risultante dalla sostituzione disposta dall'art. 2, comma 1, lettera c), d.lgs. 26 agosto 2016, n. 179, recita: Le disposizioni del presente Codice non si applicano limitatamente all'esercizio delle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale, di ordine e sicurezza pubblica, difesa e sicurezza nazionale, polizia giudiziaria e polizia economico-finanziaria e consultazioni elettorali. Le disposizioni del presente Codice si applicano altresì al processo civile, penale, amministrativo, contabile e tributario, in quanto compatibili e salvo che non sia diversamente disposto dalle disposizioni in materia di processo telematico].

Dunque, a termini dell'art. 4, comma 6, d.P.R. 68 del 2005, la validità della trasmissione e ricezione del messaggio di posta elettronica certificata è attestata rispettivamente dalla ricevuta di accettazione e dalla ricevuta di avvenuta consegna, di cui all'articolo 6. A sua volta, l'art. 6 lascia intravedere lo schema di funzionamento del sistema, distinguendo spedizione e consegna:

  • sul versante della spedizione, il gestore di posta elettronica certificata utilizzato dal mittente fornisce al mittente stesso la ricevuta di accettazione[,] nella quale sono contenuti i dati di certificazione che costituiscono prova dell'avvenuta spedizione di un messaggio di posta elettronica certificata (comma 1);
  • sul versante della consegna, il gestore di posta elettronica certificata utilizzato dal destinatario fornisce al mittente, all'indirizzo elettronico del mittente, la ricevuta di avvenuta consegna (comma 2).

La sicurezza, in particolare, della ricevuta di avvenuta consegna (Rac) è garantita dalla triplice considerazione per cui

  • essa è emessa solo se la consegna è andata a buon fine, dal momento che, quando il messaggio di posta elettronica certificata non risulta consegnabile[,] il gestore comunica al mittente, entro le ventiquattro ore successive all'invio, la mancata consegna tramite un avviso secondo le modalità previste dalle regole tecniche di cui all'articolo 17 (art. 8);
  • essa è emessa esclusivamente a fronte della ricezione di una busta di trasporto valida secondo le modalità previste dalle regole tecniche di cui all'articolo 17 (art. 6, comma 6);
  • essa è rilasciata contestualmente alla consegna del messaggio di posta elettronica certificata nella casella di posta elettronica messa a disposizione del destinatario dal gestore, indipendentemente dall'avvenuta lettura da parte del soggetto destinatario (art. 6, comma 5).

Proprio in virtù della descritta sicurezza, la ricevuta di avvenuta consegna fornisce al mittente prova che il suo messaggio di posta elettronica certificata è effettivamente pervenuto all'indirizzo elettronico dichiarato dal destinatario e certifica il momento della consegna tramite un testo, leggibile dal mittente, contenente i dati di certificazione (art. 6, comma 3).

La Rac non fornisce prova piena della consegna, al pari di una relazione di notificazione redatta da un pubblico ufficiale, contestabile solo con lo strumento della querela di falso (anzi, secondo Cass. pen., Sez. II, 10 marzo 2009, n. 13748, intervenuta in una fattispecie in cui il ricorrente si era limitato ad allegare al ricorso una copia del verbale di ricezione di querela di falso da parte della Guardia di finanza senza alcun'altra prova della instaurazione di un procedimento penale conseguente, la nullità della notificazione di un atto non può essere dichiarata sul solo presupposto che una parte adduca la falsità delle modalità attestate nella relazione di notificazione senza fornire la prova che il pubblico ufficiale notificatore abbia commesso un delitto di falso); tuttavia gode pur sempre di una forza probatoria privilegiata, in virtù della firma elettronica avanzata e del riferimento temporale che i gestori sono tenuti ad apporre su ricevute e messaggi (in conformità a quanto stabiliscono, rispettivamente, gli artt. 9, comma 1, e 10, comma 2); pertanto tiene luogo della relazione di notificazione redatta tipicamente dall'ufficiale postale, ancorché con una differenza: mentre quest'ultima è redatta giust'appunto dall'ufficiale postale, incaricato dal mittente, la prima è generata, firmata e temporalmente contrassegnata dal gestore di posta del destinatario.

Orbene, la constatazione che siffatti generazione, firma e contrassegno temporale discendano automaticamente dall'operatività del gestore di posta del destinatario esclude la rilevanza – documentativa e a fortiori perfezionativa dell'efficacia notificatoria – di qualsivoglia attività riconnessa alla sfera del mittente. Sicché è con favore che va salutato il superamento dell'affermazione di Cass. pen., Sez. II, 3 novembre 2016, n. 52517, secondo cui la notifica di atti destinati all'imputato o altra parte privata, che possano o debbano essere consegnati al difensore, effettuata a mezzo posta elettronica certificata (c.d. Pec), si perfeziona con l'attestazione, apposta in calce all'atto dal cancelliere trasmittente, dell'avvenuto invio del testo originale – la cui mancanza costituisce, peraltro, mera irregolarità – mentre non è necessaria la conferma della avvenuta ricezione da parte del destinatario. Detta affermazione – nel fornire l'impressione di riecheggiare quella giurisprudenza intenta a proclamare che, ai fini del perfezionamento della notificazione a mezzo [del] fax di atti destinati all'imputato o altra parte privata, non è necessaria la conferma della avvenuta ricezione da parte del destinatario, ma è sufficiente l'attestazione, apposta in calce all'atto dal cancelliere trasmittente, dell'avvenuto invio del testo originale, la cui mancanza, peraltro, costituisce mera irregolarità (Cass. pen., Sez. III, 20 novembre 2015, n. 13218 – appare disallineata rispetto all'art. 3 d.P.R. 68 del 2005, il quale, sostituendo l'art. 14 d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, si è premurato di sottolineare che, in generale, il documento informatico trasmesso per via telematica si intende spedito dal mittente se inviato al proprio gestore, e si intende consegnato al destinatario se reso disponibile all'indirizzo elettronico da questi dichiarato, nella casella di posta elettronica del destinatario messa a disposizione dal gestore. Se ciò vale in generale, deve valere a maggior ragione con riferimento alla Pec, in cui la Rac ha proprio la funzione di comprovare la consegna sub specie della messa a disposizione al destinatario nella sua casella di posta. Del resto, in tal senso depone persino il decr. Min. Giust. 21 febbraio 2011, n. 44 (specifico Regolamento – tuttora formalmente in vigore nonostante il già esaminato art. 2, ultimo comma, cadconcernente le regole tecniche per l'adozione, nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell'articolo 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010 n. 24): infatti,

  • l'art. 13, comma 2, stabilisce che i documenti informatici trasmessi dai soggetti abilitati esterni e degli utenti privati mediante l'indirizzo di posta elettronica certificata risultante dal registro generale degli indirizzi elettronici all'indirizzo di posta elettronica certificata dell'ufficio destinatario si intendono ricevuti dal dominio giustizia nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia (peraltro – a termini del comma 3 –nel caso previsto dal comma 2 la ricevuta di avvenuta consegna attesta, altresì, l'avvenuto deposito dell'atto o del documento presso l'ufficio giudiziario competente …);
  • l'art. 16, comma 2, stabilisce che la comunicazione per via telematica dall'ufficio giudiziario ad un soggetto abilitato esterno o all'utente privato si intende perfezionata nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del destinatario e produce gli effetti di cui agli articoli 45 e 48 del codice dell'amministrazione digitale.

In definitiva, del tutto coerentemente, Cass. pen., Sez. IV, 15 dicembre 2016, n. 2431, enuncia il principio per cui, in tema di notificazione al difensore mediante invio dell'atto, [per il] tramite [di] posta elettronica certificata (c.d. Pec), la semplice verifica dell'accettazione dal sistema e della ricezione del messaggio di consegna, ad una determinata data e ora, dell'allegato notificato è sufficiente a far ritenere perfezionata e pienamente valida la notifica, senza alcuna necessità di ulteriori verifiche in ordine alla sua effettiva visualizzazione da parte del destinatario.

Certezza della Pec anche quanto al mittente

Fermo quanto precede, dire che il proprium della Pec non consiste nel dare certezza della provenienza del documento informatico dal mittente che ha acceduto al sistema non significa però che la Pec – frutto di un'elaborazione tutta italiana, nota nel mondo perché incentrata sulla garanzia di certezza della trasmissione in sé e per sé considerata – trascuri siffatto profilo.

Ancorché troppo spesso si trascuri l'argomento, vale esattamente il contrario.

L'utente – definito dall'art. 1, comma 2, lettera l), d.P.R. 68 del 2005 – si affida ad un gestore di posta che deve possedere requisiti economici, morali e tecnici per essere iscritto nell'Elenco dei gestori di posta elettronica certificata ex art. 14, con conseguente autorizzazione alla fornitura del servizio. Inoltre, in conformità alle Regole tecniche del servizio di trasmissione di documenti informatici mediante posta elettronica certificata allegate al decr. Min. Innov. 2 novembre 2005 (esso medesimo recante Regole tecniche per la formazione, la trasmissione e la validazione, anche temporale, della posta elettronica certificata), la possibilità da parte di un utente di accedere ai servizi di Pec, [per il] tramite [de]l punto di accesso, deve prevedere necessariamente l'autenticazione al sistema da parte dell'utente stesso. A titolo esemplificativo, e non esaustivo, le modalità di autenticazione possono prevedere, ad esempio [sic!], l'utilizzo di user-id e password o, se disponibili e ritenute modalità necessarie per il livello di servizio erogato, la carta d'identità elettronica o la carta nazionale dei servizi. La scelta della modalità con la quale realizzare l'autenticazione è lasciata al gestore. L'autenticazione è necessaria per garantire che il messaggio sia inviato da un utente del servizio di posta certificata i cui dati di identificazione siano congruenti con il mittente specificato, al fine di evitare la falsificazione di quest'ultimo (paragrafo 8.2).

La Pec, quindi, identifica il mittente mediante il classico strumento dell'autenticazione, che, oltretutto, alla stregua dell'evoluzione tecnologica in materia di garanzia dell'identità digitale, può conoscere livelli crescenti di sicurezza. Tanto induce sommessamente a prendere le distanze rispetto alla perentoria asserzione per cui la Pec è un mero vettore e come tale va considerata; non siamo a cospetto di un sistema in grado di sostituire invece la firma digitale e dunque provare genuinità e provenienza di un documento informatico con tutti i crismi di legge, bensì solo di certificare l'invio e la ricezione di file e documentazione (BARLETTA, Posta elettronica certificata, in Dig. disc. pubbl., Torino, 2012, 574).

Fatta tale puntualizzazione non di dettaglio, vero è che la Pec non può dar certezza della riferibilità del documento spedito all'autore apparente, ma è anche vero che non si può pretendere dalla Pec quel che la Pec non è preordinata a dare. La Pec attiene pur sempre alla trasmissione del documento. La riferibilità dello stesso all'autore apparente è tema pertinente al suo confezionamento ed alla sua sottoscrizione. A tal proposito, sia sufficiente accennare al fatto che detta riferibilità è prodotta dall'apposizione della firma digitale, costituente in tutto e per tutto una sottoscrizione elettronica originale che sostituisce in ambito informatico l'originale della sottoscrizione manuale. Anche su questo versante la legislazione, più che la giurisprudenza, si è dimostrata al passo con i tempi, sol che si consideri la calzante operatività della firma digitale descritta dall'art. 24 cad, secondo cui la firma digitale deve riferirsi in maniera univoca ad un solo soggetto ed al documento o all'insieme di documenti cui è apposta o associata” (comma 1); l'apposizione di firma digitale integra e sostituisce l'apposizione di sigilli, punzoni, timbri, contrassegni e marchi di qualsiasi genere ad ogni fine previsto dalla normativa vigente (comma 2); per la generazione della firma digitale deve adoperarsi un certificato qualificato che, al momento della sottoscrizione, non risulti scaduto di validità ovvero non risulti revocato o sospeso (comma 3).

La clausola di salvezza dell'art. 48, comma 2, cad

È giunto il tempo di fare i conti con l'altra ragione indicata da Cass. pen. Sez. V, n. 24332 del 2015, per affermare l'impossibilità di utilizzo della Pec al fine di proporre impugnazioni, in relazione alla circostanza che l'art. 48, comma 2,cad fa salva la specialità delle normative di settore e tra esse la specialità dell'art. 583 c.p.p.

Ammesso che possa condividersi che l'art. 583 c.p.p. rappresenta un corpus a tal punto speciale da risultare impermeabile, non già ad una modalità eterodossa di proposizione delle impugnazioni, ma ad una semplice declinazione informatico-telematica di una modalità ortodossa (quale deve essere considerata la spedizione via Pec di un documento informatico, purché debitamente sottoscritto in forma digitale, giacché detta spedizione equivale ex lege alla spedizione mediante raccomandata con avviso di ricevimento di un atto stampato e semplicemente vergato a mano in corrispondenza della sottoscrizione); ammesso e per vero non concesso che possa condividersi ciò, par chiaro che, al di fuori delle impugnazioni, con specifico riguardo alle notificazioni ex art. 299 c.p.p., il cui fine è pianamente quello di portare a conoscenza della persona offesa l'iniziativa dell'indagato o imputato quanto all'anelata evoluzione migliorativa della cautela, non si ravvisa alcuna sPecialità disciplinare capace, in via di mera ipotesi, di imbrigliare la portata applicativa generalizzante degli artt. 152 c.p.p. e art. 48 cad, correttamente evocati, invece, da Cass. pen., Sez. II, n. 6320 del 2017, in commento, alla stregua di un sinolo abilitante il difensore alla spedizione dell'atto mediante Pec anziché mediante raccomandata con avviso di ricevimento.

Quanto precede pare tanto più vero sol che si consideri che la clausola di riserva di cui al comma 2 dell'art. 48 cad, anziché far salvo qualsiasi corpus speciale, pur quando la specialità derivi da ragioni esterne al tema dell'equiparazione della Pec alla raccomandata con avviso di ricevimento (come parrebbe nel caso delle impugnazioni, ove la pecialità è fatta derivare dalla regola generale del numerus clausus delle modalità di proposizione ex art. 583 c.p.p. in alternativa alla presentazione ex art. 582 c.p.p. nonostante che sia ammissibile la proposizione effettuata con la spedizione di siffatta raccomandata per posta ordinaria), fa salve quelle sole disposizioni – in questo preciso ma univoco senso sPeciali e dunque tassative – che rompono la regola dell'equivalenza della Pec alla notificazione per mezzo della posta.

Ciò emerge dalla constatazione che il comma 1 pone la regola dell'uso generalizzato della Pec ogni qual volta si proceda alla trasmissione telematica di comunicazioni e che il comma 2 pone la regola dell'equivalenza della Pec alla notificazione per mezzo della posta, affermando il principio che la trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata ai sensi del comma 1, equivale … [a detta notificazione]. Sicché la clausola di salvezza, prevista in relazione alla circostanza che la legga disponga diversamente, è grammaticalmente, prima ancora che sistematicamente, da riferire a previsioni (ovviamente di rango primario) portanti deroga espressa all'equivalenza. Al contrario, in tutti gli ambiti in cui a priori è consentito procedere alla notificazione per mezzo della posta, è ammissibile, per effetto dell'equivalenza, l'impiego della Pec.

In definitiva, l'art. 48, comma 2, cad, che sembra non porre ostacoli alla notificazione via Pec anche di un atto di impugnazione, ripetesi: purché debitamente sottoscritto in forma digitale, a maggior ragione autorizza l'impiego della Pec, come osservato da Cass. pen., Sez. II, n. 6320 del 2017, in commento, in tutte le evenienze già rientranti nel perimetro dell'art. 152 c.p.p. (perimetro affatto esteso, perché, quantunque sottoposto alla solita clausola di salvezza che la legge non disponga altrimenti, la legge non dispone altrimenti pur in relazione a svolte topiche del procedimento, quali la richiesta di incidente probatorio ex art. 395 c.p.p. e la richiesta di giudizio immediato ex art. 422 c.p.p., mentre lo fa, ad esempio, in tema di rimessione, con riferimento alla quale – secondo le due pronunce edite in materia, Cass. pen., Sez. V, 6 luglio 2012, n. 39039, e Cass. pen., Sez. I, 4 aprile 1996, n. 2234 – non è consentita la sostituzione della notifica della richiesta prescritta dall'art. 46 c.p.p. con l'invio di essa alle altre parti a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, ai sensi dell'art. 152 cod. proc. pen., che prescrive[,] non una modalità di notificazione[,] ma un sistema sostitutivo di essa[,] di cui può avvalersi esclusivamente il difensore).

In conclusione

In contrario avviso rispetto alle tesi dianzi esposte si potrebbe invocare l'autorità di Cass. pen., Sez. I, 28 gennaio 2015, n. 18235, secondo cui, nel processo penale, alle parti private non è consentito effettuare comunicazioni e notificazioni mediante l'utilizzo della posta elettronica certificata. Detta massima ripropone pressoché alla lettera quella estratta da Cass. pen., Sez. III, 11 febbraio 2014, n. 7058, sebbene quest'ultima sentenza, curiosamente, sia stata resa in un caso in cui la S.C. era chiamata a pronunciare sulla validità di un'istanza di rinvio per legittimo impedimento trasmessa per posta elettronica ordinaria (o, come leggesi in motivazione, privata) e non certificata.

Tornando a Sez. I, n. 18235 del 2015, il caso di specie verteva su un'istanza di rimessione in termini avanzata a mezzo di Pec dal difensore di fiducia dell'imputato. La sentenza, al punto 3 delle motivazioni in diritto, nel riproporre il paragrafo 2 del prima partizione della circolare addì 11 dicembre 2014 del Direttore Generale per i Sistemi Informativi Automatizzati presso il Ministero della Giustizia, oggetto di pregevole commento in uno scritto di CAPUTO, Circolare del Ministero di Giustizia, 11 dicembre 2014: Avvio del sistema di notificazioni e comunicazioni telematiche penali (SNT), in Cass. pen., 2015, 2093) – sostiene che,

allo stato, la forma della notifica via Pec è deputata a sostituire forme derogatorie dell'ordinario regime delle notifiche, ponendosi come alternativa privilegiata rispetto alle comunicazioni telefoniche, telematiche e via telefax attualmente consentite in casi determinati e nei confronti di specifiche categorie di destinatari. Si tratta de: a) le comunicazioni richieste dal pubblico ministero ex art. 151 c.p.p.; b) le notificazioni e gli avvisi ai difensori disposte dall'Autorità giudiziaria (giudice o pubblico ministero), ‘con mezzi tecnici idonei', secondo il dettato dell'art. 148 c.p.p., comma 2-bis; c) gli avvisi e le convocazioni urgenti disposte dal giudice nei confronti di persona diversa dall'imputato … e nei confronti del destinatario o di suo convivente (art. 149 c.p.p.); d) le notificazioni di altri atti disposte dal giudice sempre nei confronti di persona diversa dall'imputato, mediante l'impiego di mezzi tecnici che garantiscano la conoscenza dell'atto (art. 150 c.p.p.).

Dall'asserita qualificazione sostitutoria della Pec rispetto alle sole forme di per se stesse derogatorie dell'ordinario regime delle notifiche Sez. I, n. 18235 del 2015, trae la conclusione che l'utilizzo della Pec è stato consentito, ma a partire dal 15/12/2014, solo per le notificazioni per via telematica da parte delle cancellerie nei procedimenti penali a persona diversa dall'imputato … [L. n. 228 del 2012 (art. 1, comma 19); D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16, commi 9 e 10)].

Credesi che vi siano solide ragioni per prendere le distanze da tale conclusione.

L'art. 16, comma 4, d.l. n. 179 del 2012 dice che

nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all'indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona diversa dall'imputato a norma degli articoli 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, del codice di procedura penale. La relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria.

La lettera della legge non autorizza affatto una lettura restrittiva per cui soltanto alla cancelleria del giudice (e per estensione alla segreteria del pubblico ministero) è consentito l'utilizzo della Pec, viepiù – secondo la sfuggente logica di una restrizione della restrizione – nei soli casi delle previsioni già derogatorie del regime per così dire ordinario e quindi nei soli casi degli artt. 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, c.p.p. (fermo che, già in astratto, è arduo attribuire valenza derogatoria all'art. 151, comma 2, c.p.p.).

Cass. II, n. 6320 del 2017, in commento, rileva che l'art. 16, comma 4, cit. si limita a statuire che, mentre nei procedimenti civili tutte le comunicazioni e notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all'indirizzo di posta elettronica certificata secondo la normativa stabilita in tema di documenti informatici, nei processi penali, invece, la cancelleria può effettuare le notifiche con la Pec solo se l'atto è diretto a persona diversa dall'imputato; donde, come anticipato in apertura, semmai, l'unico divieto che può trarsi dal citato art. 16 è quello dell'inutilizzabilità della notifica a mezzo Pec a cura della cancelleria, qualora il destinatario sia l'imputato (persona fisica).

Per vero la S.C. è prudente.

Poiché per le notificazioni a persona diversa dall'imputato a norma degli articoli 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, del codice di procedura penalesi procede allo stesso modo che nei procedimenti civili e poiché in questi ultimi le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all'indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi …, l'art. 16, comma 4, cit., più che porre il divieto di cui si tratta, pone, se non un vero e proprio obbligo, quantomeno l'indicazione privilegiata – sul piano organizzativo – per la cancelleria di eseguire telematicamentele notificazioni ex artt. 148, comma 2-bis, 149 e 150 c.p.p. dirette a persona diversa dall'imputato. D'altronde, a ritroso, già con riguardo al d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv., con mod., in l. 6 agosto 2008, n. 133, siccome novellato dal d.l. 29 dicembre 2009, n. 193, conv., con mod., in l. 22 febbraio 2010, n. 24, vale che dalla lettura complessiva emerge la scelta del mezzo telematico come strumento ‘normale' per la notifica di atti inerenti a procedimenti penali nei confronti di persona diversa dall'imputato (KALB, Notificazione mediante posta elettronica certificata. Valida la notificazione all'imputato effettuata mediante invio di posta elettronica certificata al difensore, in Giur. it., 2016, 1240).

Sul versante del P.M., l'anzidetta indicazione privilegiata sussiste anche per la relativa segreteria, in relazione alla notificazione ex art. 151, comma 2, c.p.p. parimenti diretta a persona diversa dall'imputato: par di potersi dire che ciò non significa che alla segreteria è inibita, contro il buon senso, la notificazione mediante consegna di copia se l'interessato si fa presente, ma che alla stessa è vietato convocare l'interessato, alla stregua di quel che invece troppo spesso nella prassi accade, per effettuare detta consegna (con perdita di tempo per la copiatura e spese inutili per la carta e la manutenzione delle fotocopiatrici).

Conclusivamente, questa volta, non può dirsi che il legislatore non abbia fornito alla giustizia (pochi, insufficienti, ma comunque) effettivi strumenti per mettersi al passo con i tempi.

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