Con sentenza n. 29480 del 13 giugno 2017, la Cassazione penale, Sezione II, si è pronunciata sul ricorso proposto da un dipendente pubblico condannato, in entrambi i gradi di merito, per i reati di cui agli articoli 110, 80 cpv, 640, comma 2, n. 1 e ...
Con sentenza n. 29480 del 13 giugno 2017, la Cassazione penale, Sezione II, si è pronunciata sul ricorso proposto da un dipendente pubblico condannato, in entrambi i gradi di merito, per i reati di cui agli articoli 110,80 cpv, 640, comma 2, n. 1 e 61, n. 7 c.p. nonché 110 e 323 c.p. in quanto dalle risultanze istruttorie «era emerso che l'A. era stato assunto in data 17.11.2003 presso la Gesip s.p.a con mansioni di autista e, quindi, era stato distaccato prima presso S.P.O., da aprile 2004 a febbraio 2009, e successivamente presso di vivaio comunale di Casa Natura, dal febbraio 2009 al 20 settembre 2009, e che negli stessi periodi aveva svolto l'attività di skipper e tuttofare in favore del C. e in danno di Gesip s.p.a. e del Comune di Palermo, nella qualità di socio unico della Gesip».
Il ricorrente contestava la legittimazione a costituirsi parte civile da parte del Comune di Palermo rilevando come la stessa Corte cost. (sent. 355/2010), chiamata pronunciarsi su Q.L.C. sollevata con riferimento alla norma di cui al d.l. 78 del 2009, art. 17, comma 30-ter, conv. con l. 102 del 2009, e succ. mod. (secondo cui le procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dalla l. 27 marzo 2001, n. 97) ha affermato che «nelle ipotesi in cui ricorrano taluni specifici reati posti in essere dal pubblico dipendente (peculato, concussione, corruzione, etc.) sarebbe in astratto ipotizzabile una concorrente lesione dell'immagine pubblica; in tutti gli altri casi non sarebbe ammissibile, invece, alcuna tutela dell'immagine pubblica». La Suprema Corte ritiene infondato il ricorso. La citata sentenza della Corte costituzionale è una sentenza di rigetto e quindi priva di efficacia erga omnes; pertanto, ritengono i giudici di legittimità, dover optare per un'interpretazione dell'art. 17, comma 30-ter cit. più ampia e diversa rispetto a quella data dal giudice delle leggi e affermare che «che il danno subito dalla P.A. per effetto della lesione all'immagine è risarcibile anche qualora derivi dalla commissione di reati comuni, posti in essere da soggetti appartenenti ad una pubblica amministrazione». Secondo il Collegio infatti: «il riferimento testuale contenuto nel secondo periodo dell'art. 17 citato ai soli modi e casi previsti dalla l. 97 del 2001, art. 7, che fa espressamente salvo il disposto di cui all'art. 129 disp. att. c.p.p., deve intendersi riferito sia alla comunicazione al P.M. contabile della sentenza irrevocabile di condanna pronunciata per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo 1 del titolo 2 del libro secondo del codice penale, sia alla comunicazione da parte del P.M. penale all'organo requirente contabile ex art. 129 disp. att. c.p.p., dell'esercizio dell'azione penale per i reati, di qualsiasi specie, che abbiano comunque cagionato un danno all'erario» e per tali ragioni «il danno all'immagine della Pubblica Amministrazione, sia esso perseguito dinanzi alla Corte dei Conti o davanti ad altra Autorità Giudiziaria, si configura come danno patrimoniale da "perdita di immagine", avente natura di danno-conseguenza, la cui prova […] può essere fornita anche per presunzioni e mediante il ricorso a nozioni di comune esperienza; trattasi, in particolare, di danno conseguente alla grave perdita di prestigio ed al grave detrimento dell'immagine e della personalità pubblica che, anche se non comporta una diminuzione patrimoniale diretta, è tuttavia suscettibile di valutazione sotto il profilo della spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso».
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