Omessa indicazione della possibilità di richiedere la messa alla prova nel decreto penale di condanna
16 Agosto 2017
L'omessa indicazione nel decreto penale di condanna (articolo 460 c.p.p.) dell'avviso all'imputato della facoltà di chiedere la sospensione del processo per messa alla prova (legge 28 aprile 2014, n. 67) costituisce nullità assoluta del decreto penale stesso? È possibile per il giudice che ha respinto l'eccezione di nullità formulata dalla difesa rimettere nei termini la difesa ai fini di poter svolgere la richiesta di messa alla prova?
Il decreto penale di condanna deve, così come previsto dall'articolo 460 c.p.p., contenere l'avviso, riservato all'imputato, della facoltà di «proporre opposizione ex art. 461c.p.p. entro quindici giorni dalla notificazione del decreto e che l'imputato può chiedere mediante l'opposizione il giudizio immediato (artt. 456 e 464 c.p.p.) ovvero il giudizio abbreviato (artt. 441 e 443 c.p.p.) o l'applicazione della pena a norma dell'articolo 444 c.p.p.» Si tratta di avvisi riservati all'imputato, ed ovviamente al difensore, volti a garantire la possibilità concreta d'esperimento della difesa tecnica, ovvero di quella difesa garantita dall'articolo 6 della Cedu che si concreta nella possibilità di conoscere, per tempo, i temi dell'accusa e le possibilità di “scegliere” il rito più consono alle proprie esigenze ed alle proprie aspettative. Le caratteristiche del procedimento, che prevede la possibilità di formulare opposizione al decreto di condanna reso in uno stretto limite temporale e con l'obbligo a carico dell'opponente di effettuare la scelta del rito previsto, rendono ex lege vincolante l'opzione effettuata dall'imputato al punto che, laddove essa non fosse eseguita l'opposizione formulata si configura quale richiesta di procedere con rito ordinario. Dunque, per espressa volontà del Legislatore, l'imputato ha obbligo di formulare la richiesta d'accedere a riti alternativi con l'atto con cui formula opposizione al decreto penale di condanna. Si è acutamente osservato come il recupero del contraddittorio si attui con il riconoscimento del diritto dell'imputato di opporsi al decreto penale di condanna. La presenza di tale strumento è essenziale alla tenuta del sistema nella misura in cui concede all'imputato la scelta sulla prosecuzione o meno della procedura ed il rito con cui essa deve proseguire. La lettura della norma rende palese come nel novero degli avvisi da rendersi all'imputato ed al suo difensore, non sia ricompreso quello relativo alla facoltà di richiedere la sospensione del processo con la messa alla prova dell'imputato. In punto la Corte costituzionale, sentenza n. 201 del 21 luglio 2016, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 460, comma 1, lett. e), c.p.p., nella parte in cui non prevede che il decreto penale di condanna debba contenere l'avviso all'imputato che ha facoltà di chiedere la sospensione del procedimento per messa alla prova unitamente all'atto di opposizione. L'assenza di detto avviso viene ritenuta dalla Corte lesiva del diritto di difesa, ex art. 24 Cost., poiché «l'esigenza di tutela del diritto di difesa imporrebbe che la scelta delle alternative procedimentali al giudizio dibattimentale ordinario, quando debba essere compiuta entro brevi termini di decadenza che maturino fuori udienza o in limine alla stessa, sia preceduta da uno specifico avviso», nonché dell'art. 3 Cost., in quanto «essa darebbe luogo ad una disparità di trattamento rispetto a situazioni del tutto analoghe, quali quelle in cui l'imputato chiede accesso ai riti alternativi ed all'oblazione». La Corte costituzionale argomentava osservando che «poiché nel procedimento per decreto il termine entro il quale chiedere la messa alla prova è anticipato rispetto al giudizio, e corrisponde a quello per proporre opposizione, la mancata previsione tra i requisiti del decreto penale di condanna di un avviso, come quello previsto dall'art. 460, comma 1, lett. e), c.p.p., per i riti speciali, della facoltà dell'imputato di chiedere la messa alla prova comporta una lesione del diritto di difesa […]. L'omissione di questo avvertimento può, infatti, determinare un pregiudizio irreparabile, come quello verificatosi nel giudizio a quo, in cui l'imputato nel fare opposizione al decreto, non essendo stato avvisato, ha formulato la richiesta in questione solo nel corso dell'udienza dibattimentale, e quindi tardivamente». La Consulta, aderendo alla prospettazione del remittente, ha ricordato che «come negli altri riti (speciali ndr), anche nel procedimento per decreto deve ritenersi che la mancata formulazione della richiesta nel termine stabilito dall'articolo 464-bis c.p.p., comma 2, e cioè con l'atto di opposizione, determini una decadenza, sicché' nel giudizio conseguente all'opposizione l'imputato che prima non l'abbia chiesta non può più chiedere la messa alla prova»;. La Corte costituzionale ha poi chiarito che «il complesso dei principi, elaborati da questa Corte, sulle facoltà difensive per la richiesta dei riti speciali non può non valere anche per il nuovo procedimento di messa alla prova. Per consentirgli di determinarsi correttamente nelle sue scelte difensive occorre pertanto che all'imputato, come avviene per gli altri riti speciali, sia dato avviso della facoltà di richiederlo». Alla luce di siffatto insegnamento pare francamente indiscutibile che l'omessa indicazione della possibilità di accedere alla disciplina prevista dall'articolo 168-bis c.p. contenuta nel decreto penale di condanna costituisca nullità posto che essa aggredisce il diritto di difesa, violandolo, impedendo all'imputato di avere conoscenza piena e completa delle scelte di difesa tecnica poste a sua disposizione. L'obbligo di informazione, prescritto dalla Consulta, costituisce presidio al e del diritto di difesa sancito dall'articolo 24 della Costituzione e come visto dall'articolo 6 della Cedu. Si tratta di verificare a quale genere di nullità detta omissione possa ascriversi. La sentenza resa dalla Consulta pone in evidenza come l'avviso di cui si tratta non sia necessario allorché il termine ultimo per avanzare la richiesta di riti alternativi venga a cadere all'interno di un'udienza, preliminare o dibattimentale, a partecipazione necessaria, in cui l'imputato è obbligatoriamente assistito dal difensore, che è tenuto a garantire una completa informazione circa la facoltà e/o la opportunità possibilità di richiedere detti riti. Si tratta di una precisazione importante posto che da esso può argomentarsi circa la natura della nullità rilevata poiché se dalla omessa indicazione, all'interno del decreto di citazione a giudizio di cui all'art. 552 c.p.p., dell'avvertimento all'imputato della facoltà di chiedere, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, la sospensione del procedimento con messa alla prova, non dovrebbe derivare alcuna nullità di ordine generale per violazione del diritto di difesa ai sensi dell'art. 178, comma 1, lettera c), c.p.p., avendo sbocco l'atto in questione in una udienza a partecipazione necessaria, all'interno della quale viene a cadere il termine ultimo per avanzare la richiesta di messa alla prova, allora a contrario dall'omessa indicazione del medesimo avvertimento nel decreto penale di condanna deve necessariamente derivare nullità di ordine generale ex articolo 178, lett. c) c.p.p. posto che la difesa non avrebbe altra possibilità di far utile governo delle scelte di difesa tecnica ad essa riservate. La rimessione in termini (articolo 175 c.p.p.). La normativa inerente la rimessione in termine esclude siffatta possibilità prevista solo in favore dell'imputato che non abbia «avuto tempestivamente effettiva conoscenza del provvedimento, è restituito, a sua richiesta, nel termine per proporre opposizione, salvo che vi abbia volontariamente rinunciato” (articolo 175 n. 2 c.p.p.). Esclusa, per espressa volontà del Legislatore detta possibilità occorre ricordare come l'articolo 586 c.p.p. preveda che «quando non è diversamente stabilito dalla legge, l'impugnazione contro le ordinanze emesse nel corso degli atti preliminari ovvero nel dibattimento può essere proposta, a pena di inammissibilità, soltanto con l'impugnazione contro la sentenza. L'impugnazione è tuttavia ammissibile anche se la sentenza è impugnata soltanto per connessione con l'ordinanza». (Cass. pen., Sez. V, 15 dicembre 2014, n. 5763). Ne discende che la dedotta eccezione di nullità, respinta dal tribunale con ordinanza, dovrà necessariamente essere coltivata in sede di gravame. Per sua ontologica natura essa potrà essere coltivata anche in sede di ricorso per Cassazione.
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