La rilevanza penale della sindrome da alienazione parentale

Francesca Di Muzio
29 Agosto 2017

Il presente contributo nasce dall'esigenza di comprendere se la sindrome da alienazione parentale (Pas) che ad oggi nel nostro codice penale non assurge a fattispecie autonoma di reato possa assumere rilevanza penale tanto da ricadere in ipotesi delittuose di particolare rilievo come in quella relativa al reato di maltrattamenti in famiglia prevista dall'artt. 572 c.p. o come in quella prevista dall'art. 388 c.p.
Abstract

Il presente contributo nasce dall'esigenza di comprendere se la sindrome da alienazione parentale (Pas) che ad oggi nel nostro codice penale non assurge a fattispecie autonoma di reato possa assumere rilevanza penale tanto da ricadere in ipotesi delittuose di particolare rilievo come in quella relativa al reato di maltrattamenti in famiglia prevista dall'artt. 572 c.p. o come in quella prevista dall'art.388 c.p.

Premessa

La sindrome da alienazione parentale (Pas, acronimo di Parental Alienation Syndrome) è un disturbo riscontrato in alcuni minori a seguito di separazioni conflittuali dei genitori, caratterizzata da una marcata ostilità – fino ad assumere, nei casi più estremi, la forma del rifiuto – che il bambino può manifestare nei confronti di uno dei due genitori, solitamente quello non convivente. La Pas è stata qualificata come disturbo clinico, per la prima volta, nel 1985 dal dottor Richard A. Gardner che, a seguito dei suoi studi, cercava di fornire una prima descrizione del disturbo definendolo «[…] una patologia che sorge quasi esclusivamente in contesti caratterizzati da controversie circa l'affidamento dei figli. In tali situazioni, uno dei genitori (alienante) mette a punto un programma di demolizione dell'altro genitore (alienato), vittima di tale condotta. Tuttavia, non va confuso con il mero “lavaggio del cervello”, essendo necessario il totale allineamento del bambino rispetto a tale campagna di demolizione […]».
Perché possa sussistere la sindrome da alienazione parentale, occorre la compresenza di due elementi fondamentali:

  • l'indottrinamento da parte del genitore alienante;
  • la completa adesione del figlio al pensiero di quest'ultimo.

Questi due elementi devono coesistere, non essendo sufficiente, per configurare la Pas, la sussistenza di uno solo dei due. Molti, infatti, come lo stesso Gardner aveva già evidenziato, parlano di Pas anche ove manchi uno dei due presupposti descritti; soprattutto, non tengono sufficientemente conto del fatto che nella Pas fondamentale è la condotta del minore, la sua partecipazione, il suo contributo all'indottrinamento del genitore alienante contro il genitore alienato. Spesso così si giunge, erroneamente, a parlare di Pas in casi in cui, invece, si riscontra solo una sorta di “lavaggio del cervello”, di condizionamento da parte di un genitore in pregiudizio dell'altro che, quale vittima, vede il proprio figlio giungere ad un vero e proprio rifiuto, immotivato, nei suoi confronti. In altre circostanze, cosa forse ancor più grave, si parla di Pas innanzi a situazioni in cui il comportamento del minore è giustificato da violenze, abusi, forme di abbandono di uno dei due genitori nei confronti della prole, che causano in quest'ultima un rifiuto della figura genitoriale in questione. In tale ultima circostanza, infatti, il minore allontana con un sostanziale e sincero motivo la figura genitoriale violenta o a lui disinteressata e non, invece, in rappresentazione di un indottrinamento realizzato dall'altro genitore, circostanza caratterizzante appunto la sindrome da alienazione genitoriale.La sindrome potrà eventualmente configurarsi qualora il genitore alienante demolisca, in presenza del figlio, la figura genitoriale dell'ex coniuge e che, in virtù di ciò, il bambino inizi a nutrire una forte, ed immotivata, ostilità nei suoi confronti, senza che la condotta del genitore alienato abbia causalmente contribuito alla nascita di tali sentimenti negativi. La Pas non verrà, invero, riscontrata in tutti quei casi in cui la condotta stessa del genitore alienato (il quale, ad esempio, si sia disinteressato al figlio non convivente) sia la causa del rancore maturato nel bambino. I maggiori problemi sorgono in quanto la Pas, quale sindrome clinica, non è, ad oggi, accettata da gran parte della comunità scientifica. L'argomento principale di chi nega l'esistenza della Pas come vera e propria sindrome è la mancanza di un suo riconoscimento formale all'interno delle più rilevanti classificazioni internazionali, prima tra tutte quella contenuta nel DSM-V (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), peraltro aggiornata nel maggio 2013, o in altre come l'ICD-10 (International Classification of Diseases) di cui a breve si avrà la nuova versione ICD-11. La difficoltà di individuare con certezza, univocità e chiarezza i confini, i caratteri e le manifestazioni di questo disturbo rendono particolarmente difficile la sua affermazione formale come effettiva patologia. Come precedentemente anticipato, dunque, la mancata affermazione condivisa della Pas come vera e propria sindrome, a livello scientifico internazionale, ne rende particolarmente difficile il riconoscimento nell'ambito giuridico.

In una pronuncia la Corte di cassazione – a proposito del controverso affido del minore noto alle cronache perché forzosamente prelevato da scuola al fine di dare esecuzione al provvedimento della Corte d'Appello di Venezia (decreto del 2 agosto 2012) – ha evidenziato la difficoltà di inquadrare definitivamente e chiaramente la Pas quale patologia rilevante in ambito giuridico, a causa dell'assenza di un effettivo, condiviso e formale riconoscimento della stessa nel settore medico-scientifico. La Cassazione, pur senza arrivare a negare l'esistenza generale di questo disturbo in ambito scientifico, conclude che «di certo, soprattutto in ambito giudiziario, non possano adottarsi delle soluzioni prive del necessario conforto scientifico, come tali potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che le teorie ad esse sottese, non prudentemente e rigorosamente verificate, pretendono di scongiurare»

Sindrome da alienazione parentale e fattispecie penali

La questione che si pone all'attenzione degli studiosi e degli operatori del diritto penale è se la sindrome da Pas possa assumere qualche rilevanza penale in termini di configurabilità di fattispecie di reato. Innanzitutto, occorre precisare che certamente la condotta del genitore alienante non configura, ad oggi, una fattispecie autonoma di reato in sede penale. Proprio a causa delle numerose critiche che permeano il riconoscimento, in campo scientifico, della Pas, quest'ultima a livello normativo non ha mai trovato ingresso nel nostro ordinamento; non soltanto in sede civile (due disegni di legge volti ad attribuire rilevanza al fenomeno in sede civile, rispettivamente d.d.l. 957/2008 e d.d.l. 2454/2010, hanno visto naufragare il loro iter parlamentare) ma, a fortiori, in sede penale, ove l'accertamento del fatto deve essere connotato da assoluta certezza e dove vige il divieto di analogia (art. 14 prel.). Si discute dunque se l'accertamento circa la sussistenza della sindrome da alienazione parentale, quale disturbo psichiatrico, possa ricadere nell'alveo di altre ipotesi delittuose, in particolare quella di cui all'art. 572 c.p. (maltrattamenti in famiglia). Invero, negli ultimi anni assistiamo a processi penali per maltrattamenti che si fondano sempre di più su perizie forensi che rilevano casi di alienazione parentale ad opera di un genitore nei confronti dell'altro in cui il minore subisce notevoli pregiudizi per il proprio benessere psico-fisico e ove il genitore alienante pone in essere comportamenti manipolativi nei confronti del minore da assurgere a vere e proprie condotte di maltrattamento psicologico.

Invero con sentenza della Corte di cassazione del 23 settembre 2011, n. 36503 il Supremo Collegio ha confermato la condanna di una madre e del nonno di un minore per il reato di maltrattamenti in famiglia, in quanto colpevoli di aver tenuto un comportamento iper protettivo, caratterizzato da privazioni sociali e psicologiche, concretizzatesi nell'annientamento delle figura paterna, descritta come negativa e violenta, tanto da impedire al minore di usare il cognome del padre. La Corte ha ritenuto sussistere l'elemento soggettivo del reato di maltrattamenti escludendo la buona fede nella condotta della madre la quale aveva persistito nelle condotte denigratorie della figura paterna, nonostante le indicazioni e i correttivi proposti dagli esperti e dagli esperti dell'età evolutiva intervenuto nel corso dei giudizi.

La sindrome da alienazione parentale in realtà può configurare anche altre tipologie di reato quali il 388 c.p. e il 570 c.p. Nel corso degli ultimi anni, la giurisprudenza di legittimità e di merito si è pronunciata più volte sulla rilevanza penale della Pas quale disturbo atto a configurare svariate tipologie di reati. È ben noto che il comportamento elusivo del genitore affidatario integra gli estremi del reato di cui all'art. 388, comma 2, c.p. (mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice che concerna l'affidamento di minori o di altre persone incapaci), secondo cui «è punito con la pena della reclusione fino a 3 anni o della multa da 103,00 euro a 1.032,00 euro chi elude l'esecuzione di un provvedimento del giudice civile, che concerna l'affidamento dei minori o di altre persone incapaci». Perché si realizzi la fattispecie di reato, è necessario sia il presupposto materiale rappresentato dalla violazione o elusione di un provvedimento civile, sia il presupposto psicologico caratterizzato dal dolo generico inteso come coscienza e volontà di disobbedire e trasgredire il precetto di legge. Con sentenza n. 25244/2006, la Suprema Corte di cassazione, intervenuta sull'argomento, ha statuito che «l'elusione dell'esecuzione del provvedimento giurisdizionale adottato in sede di separazione dei coniugi, si realizza anche attraverso la mancata ottemperanza al provvedimento stesso». La condotta elusiva può quindi consistere anche in un semplice non fare, in una condotta non collaborativa o omissiva che vanifica ingiustamente le pretese e le aspettative dell'altra persona, nel caso di specie, il genitore non affidatario o non convivente con il minore. Dovere essenziale del genitore “affidatario” o convivente con il minore è quello di favorire proprio il rapporto con l'altro coniuge e questo perché entrambe le figure sono fondamentali nel percorso di crescita del minore: impedire o ostacolare tale rapporto non può che avere effetti deleteri non solo sul piano psicologico ma anche sul piano della sua formazione personale. Ciò che si richiede non è quindi una semplice disponibilità passiva ma una fattiva collaborazione con l'altro coniuge, che permetta in tal modo di superare con maturità e coscienza i rancori legati alla fine del proprio rapporto matrimoniale, tutelando e perseverando i propri figli che non devono mai essere protagonisti inconsapevoli ed indifesi dei loro scontri personali e privati. Numerose le sentenze, tra le quali occorre menzionare una recente sentenza della Cassazione penale, Sez. IV, n. 27995/2009, che ha provveduto a condannare il genitore affidatario, colpevole di aver eluso il provvedimento presidenziale in ordine all'affidamento del minore, impedendo in tal modo il corretto esercizio del diritto di visita. È stato chiarito, inoltre, che neppure la resistenza del minore nei confronti dell'altro genitore a passare del tempo con il predetto può essere utilizzata quale causa di esclusione della colpevolezza per il genitore affidatario, che deve comunque garantire il rispetto di quanto stabilito nel provvedimento del giudice, sia perché la resistenza del minore può essere indice evidente di una Pas esercitata dal genitore affidatario, sia perché, come innanzi precisato il genitore collocatario deve avere un comportamento attivo volto a favorire il rapporto con l'altro genitore. La Cassazione con sentenza del 2009 n. 34838 ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno endofamiliare , per l'elusione sistematica dei provvedimenti sull'affidamento stabiliti dal giudice della separazione , da parte della madre affidataria nei confronti del padre, condannando la donna per il reato di cui all'art.388, comma 2 , c.p. riscontrando «deliberata volontà di condizionamento psicologico della figlia della coppia, indotta cosi a non voler più incontrare il padre nei termini stabiliti nella separazione e volto ad annullare la figura paterna». A tal proposito, si deve richiamare una sentenza del tribunale di Monza del 5 novembre 2004 (in Danno e Resp., 2005, p. 851), che ha riconosciuto l'esistenza del danno esistenziale per responsabilità del genitore affidatario presso il quale il figlio viveva stabilmente: il genitore che venga meno al fondamentale dovere, morale e giuridico, di non ostacolare, anzi di favorire la partecipazione dell'altro genitore alla crescita ed alla vita affettiva del figlio, è responsabile per il grave pregiudizio arrecato al diritto personale di quest'ultimo alla piena realizzazione del rapporto parentale. È, pertanto, risarcibile la avvenuta compromissione del rapporto tra il figlio e l'altro genitore che non ha potuto esercitare per lungo tempo il diritto di visita al figlio per effetto della condotta ostruzionistica dell'altro genitore. L'annullamento della funzione genitoriale comporta un grave danno morale ed esistenziale, in quanto il genitore non può assolvere ai propri doveri nei confronti del figlio e non può esercitare i propri legittimi diritti di genitore, riconosciuti e garantiti dalla Costituzione. Conseguentemente anche il figlio potrebbe subire un danno meritevole di risarcimento dalla condotta del genitore “ostacolante”: viene, infatti, leso un interesse fondamentale del minore, consistente nel diritto a svolgere un armonico rapporto affettivo con il proprio genitore ed a ricevere dallo stesso la necessaria formazione sociale, istruttive ed educativa, così come previsto dall'art. 30 della Costituzione.

In conclusione

Un pericolo, riconosciuto come tale anche dai sostenitori dell'alienazione parentale, è che l'abuso di questa diagnosi si dimostri come una potenziale arma del genitore effettivamente abusante, con la quale può difendersi dalle accuse di abusi e garantirsi la custodia del figlio abusato. D'altra parte però l'enfasi su questo tipo di argomentazione rischia di mettere in serio dubbio l'efficacia dei protocolli di accertamento sulla fondatezza delle accuse di abuso. Chi sostiene che è facile far dichiarare falsa l'accusa di abuso appellandosi alla Pas sostiene implicitamente che in tutti i processi penali di questo tipo le accuse sono sprovviste di prove diverse dalla mera dichiarazione del minore. Inoltre implicitamente mette anche in dubbio che i professionisti incaricati di esaminare i minori siano effettivamente in grado di distinguere i sintomi dell'abuso da quelli della manipolazione piscologica. Come ha scritto Linda Gottlieb: un protocollo scientifico di accertamento sull'esistenza di manipolazione dei minori in realtà è indispensabile proprio per decidere i casi in cui le accuse di abusi sono dubbie ed escludere quindi che i minori siano stati manipolati nel corso del conflitto tra i loro genitori.

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