Confisca penale tributaria e sequestro preventivo: un binomio indissolubile?

Carlotta Corsani
04 Febbraio 2016

Con la riforma tributaria attuata dal decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158, si è colmato il vuoto normativo previgente, inserendo nel decreto legislativo 74/2000, l'art 12-bis che prevede e regola una specifica confisca per i reati fiscali ivi previsti. È noto che fino alla nuova misura oggi in vigore, si è applicata la confisca prevista nel codice penale per i reati contro la pubblica amministrazione (art. 322-ter c.p.).
Abstract

Con la riforma tributaria attuata dal decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158, si è colmato il vuoto normativo previgente, inserendo nel decreto legislativo 74/2000, l'art 12-bis che prevede e regola una specifica confisca per i reati fiscali ivi previsti.

È noto che fino alla nuova misura oggi in vigore, si è applicata la confisca prevista nel codice penale per i reati contro la pubblica amministrazione (art. 322-ter c.p.), grazie al rinvio operato dall'art. 1, comma 143, l. 24 dicembre 2007, n. 244, ora abrogato.

L'art 12-bis, per la verità, non ha dato vita ad alcun novus; la misura ricalca pedissequamente la precedente ed in particolare il comma primo dell'art. 322-ter c.p. L'unica differenza è quella della sua applicabilità a tutti i reati fiscali previsti dal d.lgs. 74/2000, mentre nella situazione previgente restava escluso il reato di cui all'art. 10.

Dunque, l'Autorità giudiziaria dovrà sempre confiscare – si tratta di misura obbligatoria – in via diretta il profitto o il prezzo dei reati fiscali in conseguenza di una sentenza di condanna o di patteggiamento, oppure, ed in via sussidiaria, dovrà confiscare i beni nella disponibilità del reo per un valore corrispondente al prezzo o al profitto medesimi (quest'ultima ipotesi è quella, specifica, della confisca cosiddetta per equivalente).

Questa operazione di “traslazione” della misura di cui all'art 322-ter c.p. nell'attuale norma, ha lasciato irrisolte molte delle problematiche che si sono man mano presentate, così consegnando ancora una volta all'interpretazione, ed in qualche caso all'interpretazione creativa della giurisprudenza, la loro soluzione.

La mancata previsione di un sequestro ad hoc

Una delle lacune rimaste, nel silenzio della riforma, a parere di chi scrive, è quella relativa alla mancata previsione di una forma di sequestro ad hoc per l'importante materia penale tributaria.

Eppure il legislatore, in altri contesti, ha opportunamente scelto una via diversa.

Basti pensare che un sequestro ad hoc è stato inserito nel d.lgs. 231/2001, ove, all'art. 53sequestro preventivo – si è prevista la possibilità della misura cautelare ai fini della confisca di cui all'art. 19 del medesimo decreto.

La previsione di un sequestro specifico è stata inserita persino nel Testo unico antimafia (d.lgs. 159/2011) nel quale si trovano regolati, agli artt. 20 e 25, i sequestri prodromici rispettivamente alla confisca diretta e a quella per equivalente, pur essendo queste misure assimilabili alle misure di sicurezza (Cass. pen., Sez. II, 26 marzo 2015, n. 28096).

La necessità del sequestro, inutile dirlo, non è dettata dall'essere questo un presupposto di applicabilità della misura ablatoria ma dall'esigenza di bloccare i beni in un momento anteriore alla condanna, per poi averli disponibili al momento della condanna stessa per l'applicazione della successiva confisca.

È noto come la giurisprudenza colmi la lacuna, applicando il sequestro preventivo ed è prevedibile che continuerà a farlo anche in via funzionale alla attuale confisca tributaria.

L'applicazione del sequestro preventivo in vista di una confisca extra codicem, come quella in esame, appare però, se non una forzatura, quantomeno un'anomalia del sistema.

Con l'attuale normativa, ancor più di quanto poteva apparire con la normativa antecedente.

Difatti, il legislatore ha inserito, nell'art. 321 c.p.p., il comma 2-bis, prevedendo un sequestro ad hoc per i beni per i quali è consentita la confisca in relazione ai reati di cui al Capo I del Titolo II del Libro II del codice penale, quella che veniva poi applicata ai reati tributari, in forza del noto rimando normativo. Con le note problematiche relative alla formula adottata, il giudice dispone, che parrebbe indicare una forma di sequestro obbligatoria, mentre un'interpretazione costituzionalmente orientata vorrebbe, probabilmente, che l'obbligatorietà fosse limitata alla richiesta del pubblico ministero, poiché il giudice deve essere libero di formare il proprio convincimento sulla sussistenza dei presupposti fondanti il sequestro e, quindi, anche di rigettarlo.

Pertanto, in ambito tributario, anche se l'art. 1, comma 143, l. 244/2007 non aveva operato un richiamo al sequestro sopra indicato, si poteva argomentare che la detta misura cautelare potesse applicarsi simmetricamente, se non in maniera propriamente analogica, anche nel caso dei reati tributari. Il meccanismo appariva mantenere una certa coerenza sistematica.

Attualmente però, stante il mutamento normativo sopra riportato, si deve ragionevolmente ritenere che il sequestro di cui all'art. 321, comma 2-bis c.p.p., sia applicabile soltanto ai reati per i quali è specificamente previsto (cioè i delitti contro la pubblica amministrazione) in quanto disposizione speciale.

La finalità di conservare le ragioni economiche dell'erario

Se è vero infine che il sequestro dei beni in ambito penale tributario mira soprattutto alla conservazione delle ragioni economiche volte a ripristinare l'equilibrio fiscale violato dal reato tributario, è altresì vero che, alla luce delle ragioni sistematiche sopra evidenziate, sarebbe opportuno rifarsi ad un sequestro diverso e non ad una forma che, pur rielaborandone i presupposti, rimane pur sempre sequestro preventivo.

Peraltro, come evidenziato da autorevole dottrina processual-penalistica, proprio il sequestro preventivo ha da sempre destato le più forti preoccupazioni in tema di misure cautelari (cfr., P. Tonini, Manuale di procedura penale, Milano, 2015, pag. 482).

Non è un caso che la legge delega 81/1997, relativa al nuovo codice di procedura penale, intendeva porre un vincolo alla discrezionalità del pubblico ministero e del giudice relativamente ad un provvedimento che permetteva di svolgere una funzione, per così dire, eccessivamente preventiva.

Se tale preoccupazione aveva un senso, non v'è dubbio che si debba attentamente riflettere sull'attuale situazione tenuto altresì conto che le esigenze cautelari individuate dal legislatore per il sequestro preventivo di cui all'art. 321 c.p.p. sono ben diverse rispetto all'utilizzo che viene ad essere effettuato in materia penale tributaria.

In conclusione

È possibile, infine, che per superare la lacuna si continuerà ad utilizzare lo strumento del sequestro preventivo, così come si è fatto in passato.

È innegabile tuttavia che l'anomalia sussista e che il legislatore, nel formulare il nuovo art. 12-bis del d.lgs. 158/2015, abbia perso l'occasione per fare chiarezza uniformandosi a scelte peraltro già effettuate in altre materie (valgono, in particolare, le considerazioni fatte in precedenza sul Testo unico antimafia).

La lacuna sollevata rischia poi di essere ancor più significativa nel caso in cui la confisca si configuri come misura per equivalente proprio per la sua natura sanzionatoria ormai pacificamente riconosciuta: è davvero possibile anticipare in via cautelare gli effetti di una sanzione con una misura che, a rigore, non è espressamente prevista dall'ordinamento?

Le perplessità al riguardo sono e rimangono molte.

Né vale obiettare che potranno superarsi in forza della cosiddetta ragione erariale in virtù della quale lo strumento del sequestro preventivo sarà ancora applicabile per evitare di disperdere somme utili eventualmente da confiscarsi in futuro.

Tale orientamento, pur suggestivo, pare, a sommessa opinione di chi scrive, entrare in rotta di collisione con quei principi fondamentali che attengono alle garanzie difensive.

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