Vittima di usura vende immobile al suo “creditore”. Quali azioni per riacquisire la proprietà nel procedimento penale?
04 Maggio 2017
Un debitore – in seguito parte offesa dal reato di usura – viene indotto dal creditore – in seguito imputato del reato di cui all'art. 644 c.p. – a trasferirgli, quale corrispettivo dei vari prestiti erogati, la proprietà di un immobile, contro il versamento di un prezzo notevolmente inferiore (pur considerando l'ammontare dei suddetti prestiti) al valore di mercato.
L'esame della questione deve necessariamente prendere le mosse dal più generale tema relativo alla possibilità della parte civile di spiegare nell'ambito del giudizio penale le domande volte ad invalidare e/o a privare di efficacia i negozi giuridici dalla stessa conclusi con l'autore del reato e, quindi, ad ottenere la restituzione dei beni (mobili o immobili) illecitamente acquisiti dal reo. Secondo un primo ed ormai risalente orientamento enucleato dalla Cassazione (Sez. II, 31 maggio 1990, ric. Cangemi), l'azione civile tesa a produrre effetti diretti latu sensu invalidanti e comunque a rimuovere l'efficacia del contratto attraverso il quale l'autore del reato avesse illecitamente acquisito diritti su beni mobili e/o immobile in precedenza riconducibili alla vittima del reato, doveva ritenersi improponibile nel giudizio penale. Doveva reputarsi precluso, infatti, secondo tale impostazione, al giudice penale l'adozione di provvedimenti costitutivi, modificativi o estintivi di rapporti giuridici, riservati in via esclusiva alla giurisdizione civile. In tale prospettiva ermeneutica, quindi, si sosteneva che l'applicazione della norma di cui all'art.185, comma 1, c.p., a mente del quale Ogni reato obbliga alle restituzioni, a norma delle leggi civili, fosse limitata alle sole ipotesi in cui l'attività illecita posta in essere dal reo si era sostanziata in comportamenti meramente materiali con esclusione di tutte quelle fattispecie nella quali, invece, la condotta criminosa risultasse mediata ed integrata attraverso negozi giuridici conclusi tra autore dell'illecito penale e la persona offesa. Più di recente, tuttavia, (Cass. pen., Sez. IV, 4 luglio 2008, n. 27412) tornando sulla questione, la Corte di legittimità ha mutato in modo radicale il proprio orientamento e pronunciandosi in riferimento ad una ipotesi in cui era in contestazione la sussistenza del potere del giudice penale di dichiarare la nullità di un contratto di compravendita attraverso il quale era stato commesso il reato di circonvenzione di incapace, ha chiaramente affermato che « il giudice penale, nel condannare l'imputato alla restituzione in favore della parte civile del bene immobile il cui trasferimento ha costituito l'oggetto della condotta criminosa, può dichiarare la nullità del contratto di compravendita che lo riguarda, salvo che tale declaratoria comprometta anche gli interessi di terzi rimasti estranei al processo ». La Corte, peraltro, da un lato, ha sottolineato come la questione relativa ai limiti dei poteri del giudice penale, investito della domanda restitutoria avanzata dalla parte civile debba essere esaminata anche alla luce dei principi del giusto processo e, dall'altro, ha voluto rimarcare come « per il principio di economia dei giudizi e dei rapporti tra il processo penale e quello civile innanzi ricordato e per il principio di efficienza del sistema giustizia è particolarmente importante che il giudice penale eserciti pienamente questo tipo di potere ». La Corte, contestualmente, tuttavia, ha delineato alcuni limiti al predetto potere-dovere del giudice penale che dovrebbe arrestarsi nelle ipotesi in cui « la situazione giuridica fosse più complessa, la fattispecie civile e penale meno chiaramente sovrapponibili, oppure si profilassero interessi di terzi che dovrebbero essere valutati in una sede in cui costoro possano intervenire per difendere le proprie ragioni ». Ora, appare chiaro e pienamente condivisibile l'assunto in forza del quale il giudice penale non debba spingersi a pronunciare sulla validità di negozi giuridici che investano posizioni e diritti riconducibili a soggetti terzi ai quali, poiché non hanno preso parte al processo penale, debbono essere assicurate le garanzie del contraddittorio che impongono di demandare la cognizione sulla fattispecie alla sede civile. Altrettanto, però, non può dirsi per le altri ipotesi limitative tratteggiate dalla Cassazione che attraverso il riferimento a fattispecie più complesse ed a fattispecie civile e penale meno chiaramente sovrapponibili introduce degli elementi dai contorni non chiaramente definibili e che peraltro sono suscettibili di compiuta verifica, non ex ante bensì ex post ossia solo in esito alla decisione sulla questione. In tal modo, in altri, termini, viene introdotto un limite di carattere empirico ed incerto, che sembra condurre, in definitiva, a ritenere che se la decisione sulla validità ed efficacia del contratto mediante cui l'illecito penale si è realizzato, si presenta piuttosto lineare e non particolarmente complessa, il giudice penale è tenuto a pronunciarsi su di essa mentre, se la questione risulta complessa ed articolata, il giudice penale non dovrebbe decidere su di essa, sicché la relativa decisione sarebbe necessariamente demandata alla giurisdizione civile. Si tratta di una interpretazione foriera di incertezza, che costringerebbe la parte civile a valutare, ex ante ed in modo empirico, se la questione sulla validità ed efficacia del contratto risulti sufficientemente lineare da potere essere decisa dal giudice penale ovvero se, in ragione di eventuali profili di complessità, si renda necessario riservarne la trattazione alla sede civile ove certamente non potranno porsi problemi di proponibilità connessi al grado di complessità della questione sottoposta al giudice adito. Ciò potrebbe determinare, quindi, una significativa riduzione delle pronunce restitutorie in sede penale (destinate ad essere traslate in sede civile) con conseguente discrasia proprio rispetto ai richiamati principi di economia dei giudizi, di efficienza del sistema giustizia ed in definitiva di attuazione del giusto processo. Tali considerazioniinducono a ritenere la complessità dell'accertamento e la non piena sovrapponibilità della fattispecie civile a quella penale, quali mere difficoltà operative che il giudice penale dovrà affrontare per decidere la questione piuttosto che quali veri e propri limiti all'esercizio del suo potere-dovere di statuire anche in ordine alle restituzioni domandate dalla parte civile. Ciò deve valere a maggior ragione in riferimento alla fattispecie di usura reale (che si realizza attraverso la dazione o la promessa di una utilità di carattere usurario – consistente in un diritto – reale, personale di godimento o di garanzia - su un bene mobile e/o immobile), rispetto alla quale l'ultimo comma dell'art. 644 c.p. fa espressamente salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni oltre che al risarcimento dei danni. In considerazione dei rilievi che precedono, dunque, deve ritenersi che anche nell'ambito del processo penale concernente l'usura reale, la parte civile (che ad esempio abbia in precedenza trasferito un bene immobile, il cui valore sia di gran lunga superiore all'ammontare del debito che con quel trasferimento è stato soddisfatto), possa spiegare le domande volte ad invalidare il contratto privandolo di effetti ed ottenere, quindi, la restituzione del bene, tranne che la pronuncia richiesta al giudice penale possa, anche solo potenzialmente, compromettere interessi di soggetti terzi rimasti estranei al processo. Va osservato, peraltro, che l'accoglimento della domanda restitutoria avanzata dalla parte civile – che ricorrendo giustificati motivi potrà richiedere anche la provvisoria esecutività della relativa condanna ex art. 540, comma 1, c.p.p. – non sarebbe certamente pregiudicata dal sequestro preventivo eventualmente in precedenza disposto dall'autorità giudiziaria. Ed infatti, la disposizione di cui all'art. 185 c.p. che sancisce solennemente il diritto alla restituzione ai sensi delle leggi civili, con disposizione ulteriormente specificata e rafforzata per il reato di usura dall'art. 644, ultimo comma, c.p., inducono senz'altro a ritenere che ove la parte civile ne abbia fatto fondata richiesta, ella abbia senz'altro diritto alla restituzione del bene mentre il sequestro preventivo dovrà ritenersi (anche ove non espressamente revocato) comunque privo di efficacia a seguito dell'ordine giudiziale di restituzione. In ordine poi alla concreta scelta dell'azione che la parte civile andrà ad esperire nel processo penale è appena il caso di osservare che la proposizione delle azioni civili (nullità, annullamento, rescissione ecc…) anche nella sede penale, non potrà prescindere dai presupposti che ciascuna distinta disciplina civilistica appositamente richiede. Per quanto, poi, più specificamente attiene ai rapporti tra l'azione di rescissione ed il processo penale avente ad oggetto il reato di usura, la giurisprudenza ha sottolineato come « affinché un contratto, il quale importi il trasferimento di diritti o l'assunzione di obblighi verso un determinato corrispettivo in denaro, beni o servizi, possa essere considerato il mezzo in concreto utilizzato dall'agente per commettere il reato di cui all'art. 644, comma 1, c.p. facendosi dare o promettere, in corrispettivo di una somma di denaro o di altra cosa mobile interessi o vantaggi usurari, ed incorra quindi nella sanzione di nullità è necessario - a differenza della contigua ipotesi di rescindibilità del contratto per lesione - che il contraente avvantaggiato abbia tenuto un comportamento diretto ad incidere sulla determinazione della volontà contrattuale del soggetto passivo non essendo sufficiente (diversamente dalla menzionata ipotesi di rescindibilità) che egli, nella consapevolezza dello stato di bisogno della controparte, si sia limitato a trarne profitto » (Cass. civ., Sez. II, 22 gennaio 1997 n. 628). Ad ulteriore conferma del non semplice rapporto tra azione di rescissione e processo penale di usura, occorre notare che è stato affermato (Cass. civ. Sez. II, 2 febbraio 2017, n. 2796) che l'assoluzione dal reato di usura, non è incompatibile con la lesione ultra dimidium, e neanche l'assoluzione dell'imputato secondo la formula - perché il fatto non sussiste - preclude la possibilità di pervenire all'affermazione della responsabilità civile considerato il diverso atteggiarsi, in tale ambito, sia dell'elemento colpa che delle modalità di accertamento del nesso di causalità materiale, (fermo restando i limiti del giudicato di cui all'art. 652 c.p.p.). Autorevole dottrina, poi, (GAZZONI, Manuale di Diritto Privato, XIII, p. 1010) argomentando anche sulla scorta dei diversi presupposti richiesti dalla fattispecie di usura e da quella del contratto rescindibile (in quanto la prima a differenza della seconda non richiede quali elementi costitutivi lo stato di bisogno e l'approfittamento) arriva ad affermare che debba ritenersi esclusa l'esperibilità dell'azione di rescissione innanzi al giudice penale (idem, p. 1113). In definitiva, pur reputandosi preferibile l'opinione secondo cui nel processo penale avente ad oggetto la c.d. usura reale, la parte civile abbia la possibilità di esperire tutte le azioni tese all'invalidazione del contratto, alla caducazione dei suoi effetti e quindi alla restituzione del bene mobile o immobile illecitamente appreso dall'autore del reato, e fermo restando che l'organo giudicante per pervenire alla statuizione di restituzione dovrà accertare la configurabilità, in concreto del delitto di usura, può certamente affermarsi che nell'ambito delle diverse azioni esperibili, quella di rescissione costituisca l'ipotesi di più marginale applicazione, di incerta interpretazione giurisprudenziale oltre che controversa in dottrina. Non a caso, invero, un illustre autore (MIRABELLI, La Rescissione del contratto, 1962, p. 408) già nei lontani anni ‘60 della rescissione scriveva non si sa come sia nata, non si sa cosa sia, non si sa cosa ci stia a fare, osservando che l'applicazione giurisprudenziale era particolarmente scarsa. |