Il sequestro dell'animale vittima di maltrattamenti non si estende al cucciolo nato durante la misura preventiva
04 Maggio 2017
« Ai fini della confisca di cui all'art. 544-sexies c.p., l'animale rileva non come corpo del reato o cosa ad esso pertinente, né come bene produttivo ma solo ed esclusivamente come essere vivente dotato, in quanto tale, di una propria sensibilità psico-fisica. Ne consegue che l'istituto ablatorio non può applicarsi ai figli dell'animale nati in costanza di sequestro preventivo finalizzato alla confisca ».
Il principio è stato espresso dalla Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 20934, depositata il 2 maggio 2017. Secondo il Collegio, non è possibile una automatica trasposizione delle regole civilistiche – che permettono l'estensione del sequestro preventivo ai frutti del bene sequestrato – per due ordini di ragioni: in primo luogo, per la funzione assolta dalla confisca, in ragione della quale venga disposto il sequestro, qual è, nel caso specifico, quello di allontanare l'animale (nel caso di specie un delfino) in modo definitivo dall'autore della condotta e dai luoghi della sua sofferenza, per affidarlo ad altri soggetti e a contesti più adeguati; in secondo luogo, in quanto la confisca prevista dall'art. 544-sexies c.p. ha ad oggetto l'animale, non come bene patrimoniale, produttivo di frutti, né come corpo del reato ovvero come cosa ad esso pertinente, ma in quanto essere vivente caratterizzato da una sua individualità e sensibilità. La confisca pertanto riguarda solo l'animale maltrattato e non i suoi figli, che sono del tutto estranei al reato, anche se, come nel caso in esame, sono nati successivamente e in costanza di sequestro. L'estensione a questi ultimi del sequestro preventivo sarebbe pertinente unicamente nel caso in cui – utilizzando il concetto civilistico di frutti naturali – vi sia la necessità di tutelare, in via anticipata, gli interessi patrimoniali di coloro che vantino sul cucciolo i riferiti interessi. |