Instaurazione del processo contro soggetto latitante
04 Agosto 2015
Si può procedere in assenza di un soggetto dichiarato latitante?
Latitante, ai sensi dell'art. 296 c.p.p., è colui che volontariamente si sottrae alla esecuzione di un provvedimento che dispone nei suoi confronti una misura cautelare. Tale situazione non è esplicitamente contemplata dall'art. 420-bis c.p.p. Dunque, per sciogliere il quesito relativo alla possibilità di procedere in assenza del latitante, sarà necessario verificare se tale qualità può essere inquadrata in una delle situazioni tipizzate dal legislatore. In questa ottica, deve eleggersi a paradigma di riferimento il caso nel quale la persona si sia data alla fuga prima di ricevere l'avviso di fissazione dell'udienza ovvero prima di compiere uno degli atti (elezione di domicilio o nomina del difensore, ad esempio) che consentono di desumere l'avvenuta conoscenza del procedimento. Infatti, qualora si sia verificato uno di questi eventi, la posizione del latitante non sembrerà presentare tratti peculiari rispetto a quella di un imputato al quale non sia stata attribuita tale qualità.
La soluzione del quesito, quindi, risiede nella applicabilità delle formule residuali dell'art. 420-bis c.p.p. In altre parole, per instaurare il rito dell'assente il giudice dovrà essere nella condizione di affermare che il latitante è a conoscenza del procedimento ovvero si è sottratto volontariamente alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo. In questa prospettiva, assume capitale importanza l'accertamento contenuto nel verbale di vane ricerche e nel successivo decreto che dichiara la latitanza (artt. 295 e 296 c.p.p.). Tale ultimo provvedimento, infatti, si radica sulla conoscenza da parte dell'imputato di un provvedimento cautelare emesso nei suoi confronti dalla quale origina la successiva convinzione circa la conoscenza del procedimento del quale l'ordinanza cautelare costituisce un atto particolarmente significativo. A rafforzare il convincimento del giudice, poi, interviene un ulteriore argomento logico secondo il quale colui che si dà alla fuga nella consapevolezza che nei suoi confronti è stato emesso un provvedimento cautelare è allo stesso tempo consapevole dell'instaurazione di un procedimento nei suoi confronti nell'ambito del quale, peraltro, sono stati raccolti elementi a carico di significato tale da consentire una restrizione della libertà personale. Del resto, tenendo una condotta finalizzata a porsi nella condizione di non essere raggiunto dall'autorità giudiziaria, il latitante è perfettamente consapevole che così come impedirà l'esecuzione del provvedimento cautelare non consentirà all'autorità giudiziaria di notificargli gli atti del procedimento. Dunque, la volontaria sottrazione all'esecuzione di una misura cautelare comporta anche la volontaria sottrazione alla conoscenza degli atti del procedimento. In sintesi, si può pervenire alla conclusione che nei confronti del latitante si può procedere in assenza.
La conclusione appena esposta consente di affermare che nei confronti del latitante l'instaurazione del rito in absentia costituisce la regola, ma non conferisce alla declaratoria di latitanza il valore di una presunzione assoluta di conoscenza del procedimento. Pertanto, nulla esclude che il giudice, nel momento in cui si trova a compiere le valutazioni circa l'instaurazione del rito, possa rimeditare gli assunti contenuti nel decreto che dichiara la latitanza e pervenire alla opposta conclusione che, in realtà, la misura cautelare non è stata eseguita non per la volontaria sottrazione del destinatario, ma per l'incompletezza delle ricerche svolte dalla polizia giudiziaria. In questo caso, tuttavia, il provvedimento da assumere non sarà quello di sospensione del procedimento, ai sensi dell'art. 420-quater c.p.p., ma quello in forza del quale sarà dichiarata la nullità del decreto che dichiara la latitanza e di tutti gli atti compiuti sulla scorta di questo. |