Rilevanza penale dell’elusione fiscale e dell’abuso di diritto. L'immediato riscontro della Cassazione dopo la riforma

Gianluca Soana
04 Novembre 2015

Il decreto legislativo 5 agosto 2015 n. 128 ha introdotto, nello statuto dei diritti del contribuente (legge 27 luglio 2000 n. 212), l'art. 10-bis con il quale sono stati disciplinati, in modo unitario, l'abuso del diritto e l'elusione fiscale prevedendosi, tra l'altro, l'irrilevanza penale delle condotte inquadrabili in questo istituto, con un intervento i cui effetti in campo penale hanno trovato un primo riscontro nella sentenza della Corte di cassazione, sez. III, del 1-7 ottobre 2015, n. 40272.
Abstract

Il decreto legislativo 5 agosto 2015 n. 128 ha introdotto, nello statuto dei diritti del contribuente (legge 27 luglio 2000 n. 212), l'art. 10-bis con il quale sono stati disciplinati, in modo unitario, l'abuso del diritto e l'elusione fiscale prevedendosi, tra l'altro, l'irrilevanza penale delle condotte inquadrabili in questo istituto, con un intervento i cui effetti in campo penale hanno trovato un primo riscontro nella sentenza della Corte di cassazione, sez. III, del 1-7 ottobre 2015, n. 40272.

L'elusione fiscale e l'abuso di diritto prima del d.lgs. 128/2015

L'elusione fiscale è data dalla condotta con la quale il contribuente, al fine di abbattere il carico impositivo, faccia ricorso ad un uso distorto (od anche strumentale), pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di istituti giuridici leciti attraverso i quali riesce ad ottenere un risparmio di imposta conseguendo un medesimo risultato economico che l'utilizzo degli ordinari strumenti giuridici avrebbe assoggettato ad imposizione, con una condotta che – a differenza di quella di evasione – si manifesta ed interviene prima dell'insorgere del presupposto tributario essendo, anzi, questa scelta diretta proprio ad evitare che quest'ultimo si verifichi. Pertanto, l'elusione si differenzia dall'evasione in quanto, con la seconda si violano in modo diretto le norme fiscali con una condotta dalla quale consegue l'inadempienza da parte del contribuente all'obbligazione tributaria, mentre l'elusione è una questione, essenzialmente, di diritto in quanto con essa l'operazione che viene descritta è realmente voluta ed effettiva anche se è realizzata per un fine estraneo all'assetto tipico del negozio utilizzato essendo diretta unicamente a determinare una situazione fiscale favorevole non prevista e non voluta dal legislatore tributario.

Fino al d.lgs.128/2015, il legislatore aveva scelto di contrastare questi fenomeni abusivi non attraverso l'introduzione di una disposizione antielusiva di portata generale ma con delle singole norme indirizzate a contrastare quelle operazioni elusive che nella pratica erano maggiormente ricorrenti, attribuendo in questi casi all'amministrazione finanziaria, laddove realizzate in difetto di valide ragioni economiche e proprio al fine di aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento per ottenere risparmi d'imposta altrimenti indebiti, il potere di disconoscerle, con conseguente assoggettamento al tributo eluso (cfr. quali norme antielusive specifiche artt. 37, comma 3, e 37-bis, 74, comma 2, del d.P.R. 600/1973; art. 110, commi 10 e 11, d.P.R. 917/1986; art. 3, comma 3, lett. a), d.lgs. 466/1997).

Nell'ambito di questo limitato contrasto dell'elusione da parte del legislatore, è intervenuta, negli ultimi anni, in modo innovativo, la giurisprudenza, sia comunitaria che nazionale, che ha individuato la presenza, nell'ordinamento, di un generale principio antielusivo il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un'agevolazione o un risparmio d'imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici. In particolare, la Corte di giustizia ha indicato come sia un principio generale di diritto dell'Unione europea quello per il quale l'abuso del diritto è vietato non potendo l'applicazione delle norme essere estesa sino a comprendere pratiche abusive, ossia operazioni effettuate non nell'ambito di normali transazioni commerciali, ma unicamente allo scopo di beneficiare abusivamente dei vantaggi previsti da detto diritto, in particolare, quando lo scopo delle operazioni controverse è essenzialmente l'ottenimento di un vantaggio fiscale, trovando, in linea generale, l'abuso del diritto un espresso riconoscimento nell'art. 54 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea firmata a Nizza il 7 dicembre 2000 che, in seguito all'entrata in vigore del Trattato di Lisbona (2 dicembre 2009), ha acquisito lo stesso valore giuridico dei Trattati (C. Cee, 10 novembre 2011, C- 126/2010, Foggia; C. Cee, 5 luglio 2007, n. 321/2005, Hans Markus Kofoed; C. Cee, 9 marzo 1999, n. 212/1997, Centros ltd.; C.Cee, 21 febbraio 2006, n. 255/2002, Halifax plc). La rilevanza dell'abuso di diritto ha trovato, poi, riconoscimento anche nella giurisprudenza della Corte di cassazione che ha indicato come lo stesso trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati (nella specie, imposte sui redditi), nei principi costituzionali di capacità contributiva (art. 53 Cost., comma 1) e di progressività dell'imposizione (art. 53 Cost., comma 2) e non contrasta con il principio della riserva di legge (art. 23 Cost.), non traducendosi nell'imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l'applicazione di norme fiscali (Cass. civ., Sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30055; Cass., Sez. trib., 19 febbraio 2014, n. 3938; Cass., Sez. trib., 26 febbraio 2014, n. 4604; Cass. civ., Sez. un., 26 giugno 2009, n. 15029).

Rilevanza penale dell'elusione fiscale prima del d.lgs. n. 128/2015.

In questo contesto, la giurisprudenza, degli ultimi anni, ha affermato la rilevanza penale dell'elusione fiscale laddove questa derivi da condotte corrispondenti a specifiche fattispecie di elusione regolate, espressamente, da una norma (c.d. elusione fiscale specifica). In questi casi, infatti, si è ritenuto che il contribuente, nel momento in cui redige la dichiarazione, deve tenere conto del complessivo sistema normativo tributario, che assume carattere precettivo nelle specifiche disposizioni antielusive. Il tutto considerando, tra l'altro, che:

  1. la nozione di imposta evasa contenuta nell'art. 1 lett. f) d.lgs. 74/2000 comprende anche l'imposta elusa, che è, appunto, il risultato della differenza tra un imposta effettivamente dovuta, cioè quella della operazione che è stata elusa, e l'imposta dichiarata, cioè quella autoliquidata sull'operazione elusiva;
  2. l'art. 16, d.lgs. 74/2000, nel prevedere come non punibile chi si sia uniformato al parere del Comitato consultivo per l'applicazione delle norme antielusive, dimostra che l'elusione, fuori dal procedimento di interpello, possa avere rilevanza penale in quanto, in caso contrario, non vi sarebbe stata la necessità di una esimente speciale per la tutela dell'affidamento;
  3. se le fattispecie criminose sono incentrate sul momento della dichiarazione fiscale e si concretizzano nell'infedeltà dichiarativa, il comportamento elusivo non può essere considerato tout court penalmente irrilevante. Se il bene tutelato dal nuovo regime fiscale è la corretta percezione del tributo, l'ambito di applicazione delle norme incriminatrici può ben coinvolgere quelle condotte che siano idonee a determinare una riduzione o una esclusione della base imponibile (Cass., Sez. III, 22 novembre 201128 febbraio 2012, n. 7739; Cass., sez. III, 6 marzo 2013, n. 19100; Cass., Sez. IV, 20 novembre 201423 gennaio 2015, n. 3307; Cass., Sez. V, 23 maggio 2013, n. 36894; Cass., Sez. III, 20 marzo 2014, n. 15186; Cass., Sez. III, 12 giugno 2013, n. 33187). Non ha, invece, secondo questa stessa giurisprudenza, rilevanza penale l'abuso di diritto di derivazione giurisprudenziale tenuto conto che nel campo penale non può affermarsi l'esistenza di una regola generale antielusiva, che prescinda da specifiche norme antielusive, così come, invece, ritenuto dalle citate Sezioni unite civili della Corte Suprema di Cassazione, mentre può affermarsi la rilevanza penale di condotte che rientrino in una specifica disposizione fiscale antielusiva (Cass., n. 7739/2012, cit.), come, peraltro, sostenuto anche dalla Corte di giustizia che, nel consentire la contestazione di un comportamento abusivo, ha specificato che questo non deve condurre ad una sanzione, per la quale sarebbe necessario un fondamento normativo chiaro ed univoco, bensì e semplicemente ad un obbligo di rimborso (C. Cee, n. 255/2002, cit.).
Il nuovo articolo 10-bis dello statuto dei diritti del contribuente

Le sopra citate elaborazioni giurisprudenziali, sia con riferimento alla nozione di abuso di diritto avvenuta in ambito tributario che all'affermata rilevanza penale dell'elusione fiscale specifica, hanno portato il legislatore ad intervenire su questa materia attraverso la legge delega dell'11 marzo del 2014, n. 23 in attuazione della quale – per quel che qui interessa – è stato emanato il d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128 che, all'art. 1, ha introdotto – nello statuto dei diritti del contribuente (legge 27 luglio 2000, n. 212) –l'art. 10-bis con il quale si disciplina, in modo unitario ed in termini generali, l'abuso di diritto e l'elusione fiscale con una norma che si applica a tutti i tributi (ad eccezione di quelli doganali). In particolare, l'art. 10-bis, nel riprendere l'elaborazione giurisprudenziale tributaria e comunitaria, stabilisce che configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti… a tale fine si considerano: a) operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali… b) vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario.

L'art. 10-bis prevede, poi, che queste operazioni abusive non possono avere rilevanza penale (comma 13) precisando, tuttavia, che l'abuso del diritto regolato da questa norma ha natura residuale in quanto può essere configurato solo se i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione di specifiche disposizioni tributarie (comma 12).

L'individuazione dei confini tra art. 10-bis e condotte di evasione da parte della Cassazione penale

L'introduzione di questa disciplina generale dell'abuso di diritto e l'esclusione della sua rilevanza penale rendono essenziale determinare, con esattezza, quale sia la differenza tra la condotta abusiva regolata dall'art. 10-bis e quella di evasione che, invece, può essere sanzionata penalmente ex d.lgs. n. 74/2000. Ciò tenendo conto che i sopra citati interventi della Cassazione penale – avvenuti prima dell'introduzione dell'art. 10-bis – possono, allo stato attuale, determinare delle incertezze sugli esatti confini tra questi due istituti in quanto con essi si sono definite come elusive condotte (ad esempio esterovestizione o società schermo) che appaiono, invece, di natura evasiva, con, allora, possibili ripercussioni sull'attuale area di operatività del diritto penale tributario.

Sul punto, è intervenuta, proprio il giorno di entrata in vigore dell'art. 10-bis, la Corte di cassazione (Sez. III penale, 1 ottobre 2015, n. 40272) con una sentenza che, nell'affrontare in termini ampi la nuova disciplina sull'abuso di diritto, si è, tra l'altro, adoperata a delineare gli esatti confini tra questo istituto e le condotte di evasione. Si è, innanzitutto, indicato che l'abuso del diritto – stante la sua natura residuale - può essere configurato solo se i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando le violazioni di disposizioni del d.lgs. n. 74 del 2000 (in materia di reati tributari), con riferimento, tra l'altro, alle norme concernenti la simulazione o i reati tributari, in particolare l'evasione e la frode. A tale fine, sono, sicuramente, condotte evasive, rilevanti penalmente, quelle aventi ad oggetto operazioni contrastanti con disposizioni specifiche che perseguono finalità antielusive in quanto in queste ipotesi, non opera la norma generale antilelusiva di cui all'art. 10-bis ma la disposizione specifica che, nel qualificare come elusive determinate operazioni, fa si che le stesse integrino ipotesi di vere e proprie evasioni. Pertanto, possono avere rilevanza penale – non riducendosi ad un abuso di diritto – tutte quelle condotte con le quali si violano norme tributarie specifiche anche laddove queste abbiano la funzione di regolare, disconoscendone gli effetti, operazioni, ricorrenti, di natura elusiva. Inoltre, ed è l'aspetto sicuramente più rilevante, la Cassazione indica quale sia l'esatto confine dell'abuso di diritto – rispetto all'evasione - stabilendo che questo può trovare applicazione solo a quelle operazioni che, pur prive di sostanza economica e dirette a realizzare vantaggi fiscali indebiti, sono, comunque, esistenti e volute dalle parti in relazione ad accordi realmente conclusi, a prestazioni effettivamente rese ed a contratti non simulati. Non vi è, invece, abuso del diritto ex art. 10-bis ma condotta di evasione nei casi in cui l'operazione è inesistente e/o simulata potendo la stessa essere ricondotta nell'ambito delle fattispecie penali di cui agli artt. 2, 3 o 4 d.lgs. 74/2000.

In ultimo, la Suprema Corte ha chiarito che l'irrilevanza penale dell'abuso di diritto trova applicazione retroattiva anche ai fatti antecedenti al 1 ottobre del 2015.

In conclusione

Dopo questo intervento legislativo ed a seguito della sentenza sopra citata della Cassazione penale, si può ritenere che la vera questione che interesserà le aule giudiziarie penali sarà la definizione degli esatti ambiti di applicazione dell'art. 10-bis, soprattutto con riferimento a quelle operazioni la cui effettiva realtà è sospetta. In vero, a fronte di un'operazione priva di sostanza economica ed avvenuta solo per ottenere indebiti vantaggi fiscali, diviene difficile stabilire se la stessa possa essere inquadrata tra le operazioni, comunque, realmente avvenute e volute che, allora, sono prive di rilevanza penale o, invece, tra quelle, oggettivamente o soggettivamente, simulate o, comunque, inesistenti per le quali potranno, invece, ricorrere i delitti di cui al d.lgs.74/2000. Infatti, per diverse fattispecie l'esatta interpretazione di operazioni, comunque, dettate dall'unica volontà di ottenere un indebito risparmio fiscale, diviene, obiettivamente, non facile non essendo sempre sufficiente far riferimento, come fatto dalla sentenza sopra citata, all'avvenuta regolazione dei pagamenti od alla presenza di una effettiva volontà delle parti di dare esecuzione a quella operazione.

Molto spesso, in vero, nell'ottica del giudice penale, l'aver costruito una complessa operazione contrattuale al solo fine di non pagare delle imposte o l'aver costituito una società il cui unico scopo è quello di consentire un indebito risparmio fiscale all'effettivo contribuente, determina la presenza di una complessiva condotta che appare simulata o inesistente non potendo gli elementi di realtà dedursi, unicamente, dall'effettività dei movimenti bancari soprattutto laddove questi avvengano tra soggetti giuridici riconducibili alla stessa persona od allo stesso gruppo.

Questo, allora, sarà il vero campo di verifica della bontà di un intervento legislativo che nel dettare disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente lascia, in modo inevitabile, soprattutto nell'applicazione concreta, ampi spazi interpretativi alla giurisprudenza, sia penale che tributaria. Resta, invece, chiarito che laddove l'operazione viola una specifica norma tributaria, allora, la condotta dovrà qualificarsi come di evasione anche laddove questa disposizione abbia una finalità antielusiva.

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