Delitto tentato: compatibilità con il dolo alternativo e con il dolo eventuale

Andrea Alberico
07 Dicembre 2015

Nonostante il tema della compatibilità tra tentativo e dolo eventuale o alternativo abbia ricevuto, negli ultimi anni, una soluzione tendenzialmente univoca da parte della giurisprudenza, esso continua ad animare la discussione scientifica e la riflessione del foro. Le soluzioni offerte, infatti, non sempre riescono a convincere della validità degli argomenti utilizzati, prestando il fianco, talvolta, a decisive critiche che ne minano l'assolutezza e la stabilità.
Abstract

Nonostante il tema della compatibilità tra tentativo e dolo eventuale o alternativo abbia ricevuto, negli ultimi anni, una soluzione tendenzialmente univoca da parte della giurisprudenza, esso continua ad animare la discussione scientifica e la riflessione del foro. Le soluzioni offerte, infatti, non sempre riescono a convincere della validità degli argomenti utilizzati, prestando il fianco, talvolta, a decisive critiche che ne minano l'assolutezza e la stabilità.

Le forme del dolo: dolo alternativo e dolo eventuale. Cenni

Può essere opportuno, in chiave preliminare ed in maniera molto succinta e schematica, ricordare le principali partizioni del dolo accolte dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

Quanto ad intensità, infatti, il dolo può classificarsi come intenzionale (o diretto), diretto (o diretto di secondo grado) ed eventuale (o indiretto).

Si parla di dolo intenzionale quando l'evento che si verifica – e da cui dipende ‘esistenza del reato – concreta esattamente la finalità per cui il soggetto di è deciso ad agire. Il colpevole, dunque, delinque per realizzare proprio ed esclusivamente l'evento tipico.

Si ha invece dolo diretto quando l'evento è bensì voluto ma solo perché costituisce un effetto secondario, altamente probabile, della condotta posta in essere. L'evento, dunque, non è l'obiettivo che muove la condotta criminosa ma rappresenta un momento di passaggio perché l'agente realizzi lo scopo inizialmente perseguito. Come potrà notarsi, nel dolo diretto il coefficiente della rappresentazione tende a prevalere su quello della volizione.

Il dolo eventuale, infine, rappresenta certamente il vero punctum dolens della teoria del dolo.

Il presupposto di tale forma di dolo è che l'agente non agisca al fine di commettere il reato ma che se ne rappresenti la possibilità come conseguenza della condotta.

Non è questa la sede per ripercorrere le numerose posizioni conosciute in dottrina e giurisprudenza per la relativa definizione.

Merita notare, in estrema sintesi, che la tradizionale teoria dell'accettazione del rischio conosce oggi un momento di crisi, anche in ragione del recente pronunciamento delle Sezioni unite (n. 38343/2014), a mente del quale per la configurabilità del dolo eventuale, anche ai fini della distinzione rispetto alla colpa cosciente, occorre la rigorosa dimostrazione che l'agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificata nella fattispecie concreta aderendo psicologicamente ad essa e a tal fine l'indagine giudiziaria, volta a ricostruire l'"iter" e l'esito del processo decisionale, può fondarsi su una serie di indicatori quali: a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa; b) la personalità e le pregresse esperienze dell'agente; c) la durata e la ripetizione dell'azione; d) il comportamento successivo al fatto; e) il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali; f) la probabilità di verificazione dell'evento; g) le conseguenze negative anche per l'autore in caso di sua verificazione; h) il contesto lecito o illecito in cui si è svolta l'azione nonché la possibilità di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l'agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell'evento (cosiddetta prima formula di Frank).

Quanto all'oggetto, invece – e per quanto qui di interesse – si parla di dolo alternativo in tutte le ipotesi in cui l'agente vuole indifferentemente uno o più tra i diversi eventi che la sua condotta potrà cagionare. La dottrina nega una reale autonomia concettuale alla categoria, ritenendola piuttosto una forma di manifestazione del dolo diretto.

Tentativo e dolo alternativo nella lettura della giurisprudenza

Fondando sulla posizione dottrinale secondo cui il dolo alternativo sarebbe solo una sottocategoria del dolo diretto, la giurisprudenza afferma la piena compatibilità tra questo ed il delitto tentato. La piena affermazione di questi principi ricorre in Cass. pen., Sez. I, n. 9663/2014 a mente della quale il dolo diretto, anche nella sua forma di dolo alternativo, che ricorre quando il soggetto agente prevede e vuole indifferentemente due eventi alternativi tra loro come conseguenza della sua condotta, è compatibile con il tentativo.

Sul piano delle ragioni, infatti, si ha buon gioco ad affermare che il dolo alternativo è contraddistinto dal fatto che il soggetto attivo prevede e vuole alternativamente, con scelta sostanzialmente equipollente, l'uno o l'altro evento e risponde per quello effettivamente realizzato. Nulla osta, dunque, a che l'agente compia atti idonei e diretti in modo non equivoco alla realizzazione di uno o entrambi gli eventi rappresentati.

Tentativo e dolo eventuale

Più articolato il percorso che conduce la giurisprudenza a negare compatibilità tra dolo eventuale e fattispecie di delitto tentato.

La soluzione, infatti, passa attraverso la verifica dell'incompatibilità strutturale tra i requisiti della fattispecie ex art. 56 c.p. e quelli della forma del dolo in esame.

Si sostiene, in particolare, che la direzione non equivoca degli atti sarebbe ontologicamente in conflitto con la rappresentazione dell'evento nei termini della mera probabilità. Più semplicemente, dunque, si rileva che la direzione finalistica degli atti – espressamente individuata dal requisito dell'univocità – non potrebbe coesistere con la rappresentazione di probabilità che accompagna il dolo eventuale.

Né a ciò osterebbe la pretesa identità tra dolo del delitto tentato e dolo del delitto consumato, atteso che, costruita la fattispecie di tentativo come figura autonoma di reato, è in ragione di questa che va affermata la compatibilità con i diversi titoli di imputazione soggettiva.

Secondo la giurisprudenza, il dolo eventuale non é configurabile nel caso di delitto tentato, poiché, quando l'evento voluto non sia comunque realizzato e quindi manchi la possibilità del collegamento ad un atteggiamento volitivo diverso dall'intenzionalità diretta, la valutazione del dolo deve avere luogo esclusivamente sulla base dell'effettivo volere dell'autore, ossia della volontà univocamente orientata alla consumazione del reato, senza possibilità di fruizione di gradate accettazioni del rischio, consentite soltanto in caso di evento materialmente verificatosi (Cass. pen., Sez. I, n. 44995/2007 da utimo confermata da Cass. pen., Sez. VI, n. 14342/2012).

Posizioni critiche

La tesi della giurisprudenza, come detto oggi dominante, non è però esente da critiche, avanzate prevalentemente dalla dottrina oggi minoritaria.

Queste sostanzialmente la ragioni.

In primo luogo, si osserva che la tesi dell'incompatibilità tra dolo eventuale e direzione non equivoca degli atti riporterebbe tale elemento della fattispecie di delitto tentato ad una concezione soggettiva e dunque ad una funzione solo probatoria.

L'univocità, in altre parole, indicherebbe solo la presenza del dolo di fattispecie. Il che, come noto, non è.

Si rileva, poi, che il dolo del tentativo e quello del reato consumato devono necessariamente coincidere e che, pertanto, appare quantomeno curioso che un coefficiente soggettivo che giustificherebbe la pena per il reato consumato, diventerebbe, invece, la chiave per l'impunità se, ex post, l'evento non si verifichi per ragioni indipendenti dalla volontà dell'agente.

Sembrerebbe quasi che ciò che può dirsi voluto nel reato consumato, non è tale nella fattispecie di tentativo. E che per tale ragione si annulli il disvalore di azione del fatto commesso.

Si faccia il caso di chi, dopo aver commesso una rapina, per far desistere le forze dell'ordine dal'inseguimento, spari dei colpi di pistola in direzione di costoro. Chiaro che non agisce al fine primario di uccidere. Chiaro, altresì, che il ferimento o l'uccisione di uno degli agenti è circostanza da doversi ritenere ragionevolmente possibile.

Ebbene, negando la compatibilità tra tentativo e dolo eventuale arriveremo a concludere che, se il ferimento o la morte vi sono stati, il soggetto risponderà di lesioni o di omicidio in dolo eventuale, mentre resterà impunito ove nessun proiettile attinga uno degli operanti.

In conclusione

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