Il difficile superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari

05 Gennaio 2016

In seguito alla entrata in vigore della legge del 30 maggio 2014 di conversione del decreto legge 31 marzo 2014, n. 52, recante disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, si è completato, sul piano normativo, il percorso di superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari (O.P.G.).
Abstract

In seguito alla entrata in vigore della legge del 30 maggio 2014, n. 81 di conversione del decreto legge 31 marzo 2014, n. 52, recante disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, si è completato, sul piano normativo, il percorso di superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari (O.P.G.). Tuttavia, molteplici dubbi interpretativi delle nuove disposizioni rilevanti ritardi e carenze organizzative mettono a rischio il futuro di una riforma per molti versi “epocale”.

Il percorso di superamento degli O.P.G. fino alla riforma del 2014

La misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario (di seguito, O.P.G.) fu introdotta nel codice penale sul presupposto della ritenuta incurabilità – e dunque della perpetuità – della malattia mentale e della conseguente necessità di un trattamento esclusivamente (o prevalentemente) penitenziario delle persone che, per tale stato patologico, fossero ritenute pericolose per la collettività sulla base di un accertamento fondato essenzialmente su un sistema di presunzioni legali. Non era, inoltre, prevista una durata massima della misura di sicurezza, talché quest'ultima poteva avere durata indeterminata, risolvendosi quindi in una sorta di restrizione perpetua derivante dalle proroghe periodiche che si susseguivano l'una all'altra sulla base della mera constatazione della permanenza della malattia mentale (c.d. ergastolo bianco).

In seguito all'evoluzione della psichiatria e fattasi strada la prospettiva della curabilità della malattia mentale, si iniziò a praticare un trattamento dei soggetti psichiatrici con attività terapeutiche mirate alla deistituzionalizzazione e al mantenimento/reimmissione del soggetto nell'ambiente territoriale e sociale di provenienza (laddove possibile).

Tale ottica implicava il superamento delle metodologie trattamentali di tipo segregativo e il connesso rapporto gerarchico di autorità (medico/guardia – internato/detenuto) per favorire invece una modalità che si riassume nel concetto di alleanza terapeutica con il soggetto bisognoso di cure. Tali approdi della scienza psichiatrica si riverberarono nell'evoluzione del sistema penale, che aprì (con la sentenza costituzionale 5 aprile 1974, n. 110) alla revoca anticipata della misura di sicurezza, abbandonò il meccanismo delle presunzioni assolute di pericolosità sociale (sentenza costituzionale 8 luglio 1982, n. 139) e attribuì alla magistratura di sorveglianza il governo delle misure di sicurezza (l. 663/1986 , c.d. legge Gozzini).

Il codice di procedura penale del 1988 – con l'art. 679 c.p.p. – stabilì, inoltre, che nessuna misura di sicurezza potesse essere applicata senza il preventivo vaglio del magistrato di sorveglianza sulla concreta e attuale pericolosità sociale del destinatario della medesima.

Pur a fronte di tali sviluppi, gli O.P.G. restavano sostanzialmente connotati dall'impronta marcatamente custodialistica e penitenziaria, che permaneva anche in forza di un complesso di fattori, in parte legati al sistema penale stesso, e in particolare alla disciplina delle misure di sicurezza detentive (quali appunto l'O.P.G.) e dello statusdi internati correlato ai c.d. folli rei, in parte ai timori legati alle possibili conseguenze, sul piano della sicurezza collettiva, di una de-istituzionalizzazione dei soggetti psichiatrici. In tale contesto giuridico e culturale si avviò il percorso di superamento degli O.P.G., nella prospettiva di un contemperamento tra l'opportunità di accentuare la sanitarizzazione del trattamento praticato nelle strutture detentive e le esigenze preventive.

Il primo segnale di tale mutata ottica si condensò nell'emanazione del d.P.C.M. 1 aprile 2008, all. C, che doveva portare, attraverso alcuni ulteriori tappe normative – la legge 9/2012, di conversione del d. l. 211/2011, all'art. 3-ter, stabiliva disposizioni per il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari e fissava alla data del 1 febbraio 2013 il termine per la chiusura delle strutture di matrice penitenziaria – al vero e proprio turning point costituito dalla legge 81/2014, che stabilì il termine definitivo di chiusura degli O.P.G. al 31 marzo 2015.

La legge n. 81 del 2014 e le Rems

La legge 30 maggio 2014, n. 81, si muove nel duplice intento di ribaltare, da un lato, il rapporto tra le esigenze preventive e quelle terapeutiche nella esecuzione delle misure di sicurezza detentive, fino ad allora sbilanciato in favore delle prime, e, dall'altro lato, di assegnare alla collocazione custodiale il ruolo di extrema ratio del sistema rispetto all'applicazione di misure non detentive (quali, in primo luogo, la libertà vigilata).

I cardini fondamentali della riforma degli O.P.G. possono essere così sintetizzati:

1) la misura di sicurezza del ricovero in O.P.G. assume posizione tendenzialmente residuale sotto il profilo applicativo rispetto alla libertà vigilata (extrema ratio);

2) la pericolosità sociale dell'infermo e del seminfermo di mente non può essere affermata soltanto sulla base del parametro indicato dall'art. 133, n. 4, c.p. In altri termini: la prognosi sottesa al giudizio sulla pericolosità del soggetto non può essere desunta dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo: in tal modo, il legislatore intende superare il fenomeno patologico delle proroghe sine die della misura di sicurezza detentiva disposte per il solo fatto che i servizi psichiatrici non avessero adottato un programma territoriale per l'infermo di mente;

3) previsione di un termine di durata massima delle misure di sicurezza detentive.

Sul piano operativo, l'esecuzione della misura di sicurezza detentiva, nelle ipotesi residuali in cui essa dovrà comunque trovare applicazione, avverrà non più all'interno dei vecchi O.P.G., bensì in strutture di nuova concezione (Residenze per l'Esecuzione delle Misure di Sicurezza, Rems), realizzate ad hoc con finalità di accentuare il profilo di esclusivo trattamento sanitario nei confronti degli internati presso le medesime e di controllo realizzato mediante la predisposizione di dispositivi di sicurezza passiva interni e della vigilanza all'esterno del perimetro da parte delle forze dell'ordine.

Le Rems, sono strutture sanitarie regionali, poste sotto la responsabilità di un dirigente sanitario, regolate per i requisiti tecnico-strutturali sanitari e di sicurezza da articolati provvedimenti da parte del Ministro della Salute di concerto con quello della Giustizia: D.M. Salute dd. 1 ottobre 2012, Accordo Stato-Regioni-Provincie Autonome dd. 26 febbraio 2015, recante disposizioni per il definitivo superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, in attuazione del D.M. 1 ottobre 2012 emanato in applicazione dell'art. 3-ter, comma 2, d.l. 211/2011 convertito, con modificazioni, dalla l. 9/2012, modificato ulteriormente con d.l. 31 marzo 2014, n. 52, convertito dalla l. 81/2014, che determina le attività di competenza delle Amministrazioni interessate. Secondo l'Accordo cit., le REMS sono strutture sanitarie che ospitano persone in misura di sicurezza detentiva, che rispondono ai requisiti di accreditamento previsti dal D.P.R. 14.1.1997 e dal Decreto Ministro della Salute 1.10.2012; I diritti delle persone internate negli O.P.G. sono disciplinati dalla normativa penitenziaria di cui alla L. 354775 (…); Le Regioni e le Provincie Autonomie devono garantire l'accoglienza nella proprie R.E.M.S. di persone sottoposte a misura di sicurezza detentiva residenti nel proprio ambito territoriale (…);(art.1):“Al fine di assegnare gli internati attualmente ricoverati in O.P.G. alle R.E.M.S., il Ministero della Salute comunica all'A.G. ed al D.A.P. entro e non oltre il 15.3.2015 l'avvenuta individuazione e l'effettiva attivazione al 31.3.2015 delle R.E.M.S. da parte della Regioni e Provincie Autonome (...), il D.A.P. sulla base delle predette indicazioni si impegna ad assegnare e trasferire presso le R.E.M.S gli internati presso gli O.P.G. (…)”; (art.3): “ i Procedimenti di ammissione alla R.E.M.S. … e rapporti con l'Autorità Giudiziaria sono svolti a cura del personale amministrativo delle R.E.M.S. Sono altresì di competenza del personale amministrativo delle R.E.M.S. i rapporti e le comunicazioni alla Magistratura di Sorveglianza o di cognizione e le comunicazioni delle Autorità Giudiziarie nei confronti dei ricoverati (…).

Le Rems, in definitiva, sono strutture sanitarie realizzate dalle Regioni e di pertinenza e gestione in capo alla Sanità Regionale.

I profili applicativi

In via generale, la misura di sicurezza è ordinata dal giudice della cognizione con la sentenza (art. 205 c.p.), che può essere preceduta dall'applicazione in via provvisoria ai sensi degli artt. 206 c.p., 312, 313 c.p.p. Secondo l'assetto vigente, come si è visto, il ricovero in O.P.G. (art. 222 c.p.) o in Casa di cura custodia (art. 219 c.p.) assumono carattere residuale, laddove la misura di ordinaria e più frequente applicazione dovrebbe essere rappresentata dalla libertà vigilata (art. 228 c.p.).

Con riguardo ai limiti di pena, il ricovero in O.P.G. può essere disposto in caso di condanna per delitto doloso per il quale è prevista la pena della reclusione superiore nel massimo a due anni (restano, pertanto, escluse le ipotesi contravvenzionali, i delitti colposi e quelli puniti con la pene pecuniarie o comunque diverse dalla reclusione); mentre l'assegnazione ad una C.C.C. può trovare applicazione quando la pena stabilita dalla legge non è inferiore ai limiti indicati nei commi 1, 2 e 3 dell'art. 219 c.p.

Sotto l'aspetto giudiziario, le misure di sicurezza (anche quella detentiva del ricovero in O.P.G., che mantiene la propria originaria denominazione), sono applicabili da parte del giudice nei confronti del soggetto psichiatrico che ha commesso un fatto-reato, sulla base di due presupposti generali:

  • l'accertamento di un'infermità mentale tale da escludere o ridurre grandemente la capacità di intendere e di volere (artt. 88 e 89 c.p.);
  • la diagnosi di pericolosità sociale, intesa come prognosi espressa sulla concreta probabilità che il soggetto commetta nuovi reati (intendendosi qualunque fatto di rilievo penale) formulata utilizzando i parametri di cui all'art. 133 c.p., fatta esclusione – come si è avvertito – del criterio di cui al comma 2, n. 4, della medesima disposizione.

La misura di sicurezza del ricovero in O.P.G. può essere trasformata in melius con applicazione della libertà vigilata; può essere revocata quando il soggetto che vi è sottoposto cessa di essere socialmente pericoloso (art. 207 c.p.), ovvero, in seguito alla l. 81/2014, è dichiarata cessata quando è scaduto il termine massimo di durata, stabilito dalla legge come equivalente alla pena prevista per il reato commesso, con riferimento al massimo edittale stabilito dalla norma incriminatrice (su tale profilo, v. infra).

Gli elementi per la valutazione della pericolosità

Alla luce dell'obiettivo posto dal legislatore, la valutazione della fattispecie concreta dovrà essere finalizzata all'acquisizione di tutti gli elementi che possano concorrere alla verifica della possibilità concreta di evitare l'internamento del soggetto nelle strutture Rems. A questo scopo potranno essere utili, anzitutto, le risultanze della “classica” perizia sull'evoluzione delle condizioni dell'interessato. Tuttavia, tali dati dovranno essere opportunamente implementati da indicazioni quanto più possibile precise sulla tipologia e sulla ubicazione della struttura Rems più idonea ad accogliere la persona. Ancor più utile risulterebbe, nella prospettiva di massimizzazione del ricorso alla libertà vigilata in luogo dell'internamento, l'analisi e la valutazione peritale sull'idoneità del piano terapeutico e riabilitativo proposto dal competente D.S.M. per il trattamento del paziente.

Saranno, inoltre, utili risultanze istruttorie di matrice giudiziaria, idonee alla verifica del comportamento tenuto dal soggetto durante il tempo intercorso dall'inizio della detenzione o in misura di sicurezza o cautelare, il rapporto degli organi di P.S., la relazione dell'Uepe. Si verificherà anche la consapevolezza di malattia quale presupposto per la sottoposizione volontaria alle cure.

In istruttoria dovrà essere anche acquisita – se già non presente agli atti – la presa in carico del soggetto affetto da sofferenza psichica da parte del D.S.M. e del S.P.D.C. (Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura) competenti per territorio. Il rapporto tra il perito incaricato dal giudice e i servizi psichiatrici dovrebbe contribuire a individuare con precisione la struttura in cui dovrà essere eseguita la misura (cautelare o di sicurezza): S.P.D.C., Rems, comunità secondo la gravità della malattia e le prospettive terapeutiche.

Sulla base di tale compendio, il giudice sarà quindi chiamato ad esprimere un giudizio tanto sulla persistenza e sul grado di pericolosità sociale del soggetto, alla luce dello stato mentale e dell'evoluzione registrata dagli operatori; quanto sulla scelta in concreto della misura applicabile, preferendo la meno segregante libertà vigilata in tutti i casi in cui l'idoneità del programma proposto dal D.S.M. possa ritenersi adeguato al trattamento sanitario e terapeutico dell'interessato con le necessarie garanzie per la sicurezza.

Nel corso dell'esecuzione, inoltre, i servizi (D.S.M. e S.P.D.C.) dovranno tempestivamente segnalare al giudice ogni eventuale violazione delle prescrizioni da parte dell'interessato ovvero ogni altra circostanza che rende opportuna o necessaria una modifica del programma terapeutico o della misura stessa.

Occorre, comunque, osservare che la pericolosità sociale del malato psichico non costituisce il naturale effetto della patologia ed, anzi, vi sono evidenze scientifiche che dimostrano come le malattie mentali, anche gravi, non rappresentano di per sé un dato da cui desumere la probabilità di agiti violenti, che potrebbero essere associati, piuttosto, alla “storia” del paziente e in particolare a fattori anamnestici di tipo biografico (violenze subite in passato, carcerazione giovanile, abusi fisici), clinici (abusi di sostanze, minacce percepite) o del contesto (disoccupazione, vittimizzazione). La pericolosità va desunta dalle circostanze di cui all'art. 133 c.p. e pertanto, pur basandosi spesso sugli esiti della valutazione del perito sulla natura e evoluzione dello stato patologico del soggetto, resta un giudizio di stretta competenza del giudice e a lui deve essere demandata in via esclusiva.

La pericolosità “situazionale”

Come si è accennato, un rilevante intervento di modifica della disciplina delle misure di sicurezza detentive riguarda l'art. 3-ter, comma 1, d.l. 211/2011, come modificato dall'art.1, d.l. 52/2014, definitivamente stabilizzato dalla legge di conversione 81/2014, il quale stabilisce che il giudice dispone (anche in via provvisoria) nei confronti dell'infermo di mente e del seminfermo di mente l'applicazione di una misura di sicurezza, diversa dal ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario o in una casa di cura e custodia, salvo quando sono acquisiti elementi dai quali risulta che ogni misura diversa non è idonea ad assicurare cure adeguate e a fare fronte alla sua pericolosità sociale. Quest'ultima è, in ogni caso, accertata sulla base delle qualità soggettive della persona e senza tenere conto delle condizioni di cui all'art. 133, comma 2, n. 4, c.p. Negli stessi termini provvede il magistrato di sorveglianza quando interviene ai sensi dell'art. 679, c.p.p.

È altresì stabilito che non costituisce elemento idoneo a supportare il giudizio di pericolosità sociale la sola mancanza di programmi terapeutici individuali. Su tale delicato profilo è recentemente intervenuta la Corte costituzionale (sent. 23 luglio 2015, n. 186) che, adita dal Tribunale di sorveglianza di Messina in relazione a numerosi parametri costituzionali (artt. 1, 2, 3, 4, 25, 27, 29, 30, 31, 32, 34, 77 e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 5 della Convenzione Edu), in relazione alla supposta incostituzionalità di tale assetto, ha ritenuto infondata la questione, ritendola sollevata in base all'erroneo presupposto che la riforma escluda dalla base cognitiva, per il giudizio sulla necessità della misura di sicurezza dai contenuti restrittivi più marcati, elementi determinanti per la valutazione richiesta al giudice.

Il senso della novella – ha osservato la Consulta - si comprende se si considera che la riforma nasce sulla scorta delle conclusioni raggiunte dalla Commissione parlamentare di inchiesta sugli ospedali psichiatrici giudiziari, che aveva rilevato la fortissima incidenza di situazioni di svantaggio sociale fortemente incidenti sulla valutazione di pericolosità dei pazienti psichiatrici dovute alle differenti situazioni individuali anche con riguardo alla capacità delle strutture sanitarie sul territorio nazionale, di approntare i piani terapeutici individuali per i soggetti dimittendi dalle strutture giudiziarie. In questa prospettiva la Corte ha osservato che le norme censurate non condizionano il giudizio di pericolosità, che dunque può essere legittimamente fondato su qualunque elemento utile ma solo la conseguente individuazione della misura di sicurezza idonea a contenere la pericolosità eventualmente accertata: la limitazione quindi non riguarda in generale la pericolosità sociale, ma ha lo scopo di riservare le misure estreme, fortemente incidenti sulla libertà personale, ai soli casi in cui sono le condizioni mentali della persona a renderle necessarie. È una disposizione da leggere nell'ambito della normativa volta al definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari [...] la disposizione censurata non ha modificato, neppure indirettamente, per le persone inferme di mente o seminferme di mente, la nozione di pericolosità sociale, ma si è limitata ad incidere sui criteri di scelta tra le diverse misure di sicurezza e sulle condizioni per l'applicazione di quelle detentive (Corte cost., 23 luglio 2015, n. 186).

La durata massima del ricovero in O.P.G. (ora Rems)

L'art. 1, comma 1-quater del d.l. 31 marzo 2014, n. 52, recante disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, convertito, con modif., dalla l. 30 maggio 2014, n. 81, prevede: Le misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive, compreso il ricovero nelle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza, non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, avuto riguardo alla previsione edittale massima. Per la determinazione della pena a tali effetti si applica l'articolo 278 del codice di procedura penale. Per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo non si applica la disposizione di cui al primo periodo.

Si tratta, a tutti gli effetti, di una nuova causa di estinzione/cessazione ope legis della misura di sicurezza detentiva.

Tale disposizione ha suscitato notevoli problematiche interpretative, sia sotto il profilo sistematico con riguardo alla autonomia delle misure di sicurezza (considerato che la loro durata è correlata alla durata astrattamente stabilita per le pene detentive e non più dipendente dal perdurare della pericolosità sociale dell'agente), sia per quanto concerne l'aspetto - ben più concreto - delle esigenze di tutela della collettività (la nuova disciplina impone, infatti, allo spirare del termine di durata massima della misura di sicurezza detentiva, di revocare la detta misura a prescindere dalla attualità o meno della pericolosità sociale dei soggetti).

Una questione assai spinosa è, poi, quella inerente alla determinazione del termine massimo di durata della misura di sicurezza qualora l'internato abbia commesso più reati (il richiamo portato dall'art. 1, comma 1-quater, cit., alla regola stabilita dall'art. 278 c.p.p., per la determinazione della pena ai fini dell'applicazione della custodia cautelare in carcere fa sì che non si possa considerare la continuazione).

Quanto all'applicabilità della nuova disciplina alle misure in esecuzione al momento dell'entrata in vigore del d.l. 52/2014, si pone la questione se debba revocarsi la misura di sicurezza detentiva nei confronti di chi – ancora socialmente pericoloso - abbia già espiato un periodo di esecuzione superiore al termine massimo di durata della misura stessa, individuato secondo le nuove regole. Su tale delicato quesito si confrontano due tesi. Secondo un primo orientamento, in assenza di una disciplina transitoria ad hoc, dovrebbe applicarsi la regola generale stabilita dall'art. 200, comma 2, c.p., per cui dovrebbe farsi applicazione della legge del tempo in cui deve eseguirsi la misura di sicurezza, con il conseguente obbligo di dimissione dell'internato dalla struttura detentiva che abbia superato il termine massimo di durata.

Secondo altro indirizzo, avallato dalla Cassazione con un recente arresto, la lettera della legge (art. 1, comma 1-quater, l. 81/2014) menziona espressamente, tra le misure di sicurezza detentive, provvisorie o definitive, quella del ricovero nelle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza e non quella del ricovero presso l'Ospedale psichiatrico giudiziario. Occorre inoltre considerare, secondo tale seconda impostazione, “lo spirito della legge” e la sua “radicale portata innovativa”, che introducono un rapporto di stretta proporzionalità tra la durata massima delle misure di sicurezza detentive e la gravità del reato, parametrata sulla base della sanzione prevista per la sua commissione. Essendo tale disciplina espressione di una ratio legis che “filosoficamente ed ontologicamente, nonché organizzativamente (perché prevede strutture e presidi diversi), si pone in netto contrasto con quello che va a sostituire sarebbe irragionevole affermarne l'applicazione ex tunc anche a situazioni regolate dai differenti presupposti che informavano il precedente e tutt'affatto diverso regime delle misure di sicurezza detentive, sostanzialmente "indeterminate" nella loro durata massima.” In altri termini, la riforma non è riconducibile al mero fenomeno della successione tra sanzioni penali, bensì fonda un nuovo criterio convenzionale di riferimento (quello della durata massima della pena), che va applicato con efficacia ex nunc (art. 11 preleggi), “ancorata al termine in cui, per volontà del legislatore, sarà approntata la cornice strutturale e logistica in cui la norma stessa dovrà necessariamente e concretamente prendere vita”, vale a dire a decorrere dal 31 marzo 2015.

In altri termini, il tempo dell'esecuzione della misura – cui si riferisce l'art. 200, comma 2, c.p. - è fatto coincidere appunto con la data del 31 marzo 2015, a partire dalla quale gli O.P.G. hanno cessato di esistere (Cass. pen., Sez. I, 9 gennaio 2015, n. 23392). Un elemento di dubbio concerne anche la competenza in ordine alla declaratoria di estinzione/cessazione della misura.

Per alcuni, sarebbe competente il pubblico ministero incaricato dell'esecuzione (con l'ulteriore dubbio se sia competente il pubblico ministero presso il magistrato di sorveglianza la cui giurisdizione comprende un ex O.P.G. o quella del P.M. competente per l'esecuzione dello specifico titolo). Per altra opinione, la competenza dovrebbe radicarsi presso la magistratura di sorveglianza alla luce della necessità di un provvedimento formale che dichiari la cessazione delle misure di sicurezza e sulla base del disposto dell'art. 659, comma 2, c.p.p., secondo il quale i provvedimenti relativi alle misure di sicurezza diverse dalla confisca sono eseguiti dal pubblico ministero presso il giudice di sorveglianza che li ha adottati. A fronte della considerazione che la relativa declaratoria consegue ad una mera operazione di computo aritmetico relativo alla durata della misura di sicurezza detentiva rispetto alla misura massima della pena stabilita per il connesso reato, sembra convincente la tesi che la relativa competenza alla declaratoria di estinzione/cessazione della misura competa al P.M. che cura l'esecuzione della misura stessa. Una questione molto delicata e gravida di conseguenze sul piano applicativo concerne, infine, il caso della scadenza del termine massimo di esecuzione della misura detentiva in capo ad un soggetto di cui sia accertata la persistente pericolosità sociale. Al proposito, si rileva che la sopravvenuta estinzione/cessazione della misura detentiva non implica necessariamente la rimessa in libertà del soggetto già internato, potendo il giudice applicare la libertà vigilataai sensi del combinato disposto degli artt. 202 e 205 c.p. Tale soluzione applicativa introduce, peraltro, l'ulteriore dubbio se tale libertà vigilata possa nuovamente essere aggravata con l'applicazione di una misura di sicurezza detentiva, qualora il soggetto trasgredisca le prescrizioni (art. 232, c.p.). Secondo un'opinione, l'unica sanzione possibile sarebbe in questo caso l'inasprimento delle prescrizioni della libertà vigilata. Va tuttavia osservato che la lettera del comma 1-quater, art. 1, d.l. 52/2014, cit., limita la propria operatività agli effetti del termine di durata massima alle misure di sicurezza detentive comminate in relazione al reato commesso, senza dettare una disciplina specifica per la misura di sicurezza detentiva disposta in aggravamento (art. 232 c.p.). Ne consegue che il sistema non impedisce l'aggravamento quantitativo o qualitativo della libertà vigilata comunque applicata.

Alternative all'O.P.G: la libertà vigilata (residenziale) in comunità

Una questione applicativa molto delicata concerne la scelta che il giudice è chiamato ad operare in ordine alla tipologia di misura di sicurezza applicabile nel caso concreto, alla luce della diagnosi di pericolosità sociale operato sul soggetto autore di un fatto-reato.

Come si è visto, in seguito alla l. 81/2014 è diventato cogente il principio per cui la misura di sicurezza detentiva del ricovero in O.P.G. (materialmente eseguita presso una Rems) assume natura di extrema ratio, laddove deve essere preferito, in tutti i casi in cui sia possibile, il ricorso alla libertà vigilata. Sotto l'aspetto pratico, la collocazione del soggetto malato psichico in una struttura territoriale (che sarà quindi una comunità terapeutica e non una Rems) avverrà, pertanto, tramite la detta misura, caratterizzata – come è noto – da un particolare corredo prescrizionale che l'interessato è tenuto ad osservare, a pena di conseguenze sul piano giudiziario, che possono andare dalla modifica restrittiva delle prescrizioni (nei casi meno gravi) alla modifica in pejus della misura, vale a dire nella trasformazione della libertà vigilata nel ricovero in Casa di cura e custodia (art. 232 c.p.), anche in questo caso materialmente eseguita con internamento in una Rems. Nel corredo prescrizionale della libertà vigilata residenziale (cioè eseguita presso una comunità terapeutica), il giudice prescrive al soggetto di dimorare continuativamente presso la struttura terapeutica e di seguire il programma predisposto dai servizi (D.S.M.).

Il punto critico risiede nel fatto che la libertà vigilata è, a tutti gli effetti, una misura di sicurezza non detentiva, cosicché il soggetto – pur tenuto in forza delle prescrizioni a permanere all'interno della comunità – rimane in stato di libertà, così che gli operatori non hanno né il dovere né la facoltà di impedire l'eventuale allontanamento volontario del libero vigilato, dovendo limitarsi l'intervento ad un tentativo di persuasione del soggetto e al pronto avviso all'autorità giudiziaria competente per le valutazioni del caso. Le problematiche applicative si verificano, del resto, anche con riguardo agli spostamenti del soggetto all'esterno della struttura (ivi compresa l'accoglienza iniziale) che non possono essere disposti a mezzo di traduzione (l'interessato è sotto l'aspetto giuridico persona non detenuta).

In questi casi il giudice potrà prescrivere che l'interessato sia sempre accompagnato da personale della comunità o del servizio di salute mentale ma sono comunque ipotesi connotate da un certo grado di rischio (per agìti auto ed etero aggressivi, per scompensi dovuti a criticità situazionali esterne e simili) e dunque da valutarsi caso per caso con la dovuta attenzione, anche per le conseguenze che il concretizzarsi di tali situazioni comporta sotto il profilo del rischio per la collettività e per lo stesso sviluppo della misura di sicurezza.

Le criticità sul piano organizzativo

La fase di superamento dell'esecuzione delle misure di sicurezza detentive presso gli O.P.G. ha incontrato una serie nutrita di difficoltà organizzative e applicative. Anzitutto, si è riscontrata una realtà “a macchia di leopardo”, caratterizzata da alcune Regioni “virtuose” che hanno realizzato nei tempi previsti le Rems per l'accoglienza dei malati di propria competenza, sulla base del principio di tendenziale territorializzazione delle degenze in relazione al luogo di residenza dei pazienti e da altre realtà che hanno accumulato ritardi, tuttora persistenti.

Emblematiche di una tale situazione sono alcune decisioni della magistratura di sorveglianza, adite da soggetti tuttora internati nelle ex strutture O.P.G., tecnicamente “chiuse” al 31 marzo 2015, che non è stato possibile trasferire nelle Rems di alcune Regioni, poiché non ancora materialmente realizzate, che hanno sancito come l'attuale situazione di fatto nella quale si trova il reclamante determini una pacifica violazione dei suoi diritti inerenti l'esecuzione della misura di sicurezza cui è sottoposto: ad essere trasferito in R.E.M.S. ed essere colà soggetto ai previsti trattamenti terapeutico-riabilitativi, volti (soprattutto) alla cura della problematica psichiatrica cui è afflitto, ed intimamente connessa alla pericolosità sociale di cui è portatore” (Mag. Sorv. Firenze, ord. 21 ottobre 2015). Pesano, inoltre, le numerose carenze già denunciate dagli operatori dei servizi psichiatrici territoriali, in relazione alla necessità di maggiori risorse materiali e personali.

In conclusione

Il percorso di superamento degli O.P.G. appare ad oggi assai difficoltoso, pur alla luce del rinnovato quadro normativo che ne ha sancito, sul piano normativo, la definitiva chiusura. Oltre alla già accennate carenze sul piano della realizzazione delle Rems, destinate a sostituire sul piano esecutivo le dismesse strutture detentive, pesano i molteplici dubbi interpretativi delle nuove disposizioni. Sarà, in tale cornice, decisivo l'atteggiamento che assumeranno i protagonisti del futuro della riforma: da una parte, il corpo degli operatori incaricati della gestione delle Rems in relazione alle proprie competenze e responsabilità e, dall'altro, la magistratura e quella di sorveglianza in particolare, su cui pesa la responsabilità di traghettare la riforma verso il traguardo finale rappresentato dalla definitiva archiviazione delle modalità segregative di gestione dei folli rei.

Guida all'approfondimento

M.L. Fadda, Misure di sicurezza e detenuto psichiatrico nella fase dell'esecuzione” Incontro di studio su L'autore Di Reato Con Disturbi Psichiatrici, 15 marzo 2013, Scuola Superiore Della Magistratura, Struttura Didattica Territoriale Corte Di Appello Di Genova;

F. Maisto, Quale superamento dell'OPG? In Quest. Giust., 2015;A. Pugiotto, Dalla chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari alla (possibile) eclissi della pena manicomiale, in Costituzionalismo.it, 2, 2015;

ID, La giurisprudenza difensiva in materia di opg a giudizio della corte costituzionale, in Giur.Cost., 6, 2015.

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