È davvero esaurito il catalogo delle ingiuste detenzioni “riparabili”?

Fabrizio Galluzzo
05 Gennaio 2016

Il catalogo delle forme di ingiusta detenzione “riparabili” è costituito, per lo più, da detenzioni di natura cautelare, che traggono origine dall'esercizio legittimo della giurisdizione che ha, ciò nonostante, determinato il verificarsi di un danno a carico del destinatario del provvedimento restrittivo.
Abstract

Il catalogo delle forme di ingiusta detenzione riparabili è costituito, per lo più, da detenzioni di natura cautelare, che traggono origine dall'esercizio legittimo della giurisdizione che ha, ciò nonostante, determinato il verificarsi di un danno a carico del destinatario del provvedimento restrittivo.

L'elaborazione giurisprudenziale ha portato ad estendere il campo al di là dei confini della custodia in carcere e degli arresti domiciliari, includendo nel novero delle situazioni indennizabili le misure di sicurezze, l'arresto in flagranza ed il fermo, la misura custodiale adottata nell'estradizione passiva o in esecuzione del mandato di arresto europeo.

Le riflessioni che seguono sono finalizzate ad individuare altre ipotesi di privazione della libertà personale, derivanti da disfunzioni ordinamentali, che meritino l'attribuzione di un ristoro per il danneggiato incolpevole.

Lo stato dell'arte

Il legislatore ha nel tempo individuato alcune fattispecie, ricomprese nella categoria dell'errore giudiziario, che determinano il verificarsi di lesioni della sfera giuridica dell'imputato o altri soggetti, indipendentemente dalla legittimità dell'azione giudiziaria a monte che, di fatto, ha generato il danno.

Il riferimento è, come anticipato, ad attività giudiziaria legittima, tendenzialmente risoltasi a vantaggio dell'imputato che, pur considerando il contemperamento degli interessi in gioco – esigenza dell'ordinamento di prevenire e reprimere i reati, da un lato; diritti inviolabili del singolo, dall'altro – il legislatore ha ritenuto di dover riparare con indennizzi spettanti al soggetto che ha oggettivamente risentito di un pregiudizio.

Accanto ad istituti da tempo recepiti dal nostro ordinamento - la riparazione dell'errore giudiziario, l'equa riparazione per l'irragionevole durata del processo e la riparazione per l'ingiusta detenzione – è probabilmente arrivato il momento di codificare le nuove tipologie di danno che emergono sempre più frequentemente dalle disfunzioni della prassi giudiziaria, di diversa origine, che pregiudicano i diritti dei soggetti colpiti dal sistema giustizia.

Partendo in particolare dalla disamina della disciplina della riparazione per l'ingiusta detenzione, è possibile verificare che l'attuale sistema normativo e giurisprudenziale non copre integralmente ogni ipotesi di danno derivante dalla privazione della libertà personale.

Il ventaglio di situazioni indennizzabili attualmente non riconosciute che traggono origine dalla medesima situazione comune – l'esercizio legittimo della giurisdizione che, tuttavia, ha comportato il verificarsi di un danno – è, infatti, più ampio rispetto alla mera ingiusta detenzione di origine cautelare: la giurisprudenza ha, nel tempo, esteso il catalogo delle privazioni della libertà personale, non più limitato alla sola custodia in carcere o luogo di cura ed agli arresti domiciliari, alle ipotesi di applicazione provvisoria di misure di sicurezza, di arresto in flagranza e fermo, di misura custodiale adottata nella procedura di estradizione passiva o per dare esecuzione al mandato di arresto europeo.

I criteri per il riconoscimento della riparazione sono molto specifici e sono stati elaborati nel corso dalla giurisprudenza che ha modellato sulle singole situazioni i principi generali della disciplina vigente.

In sintesi si può affermare che i presupposti fondamentali per ottenere la riparazione sono rappresentati dalla definizione del procedimento da cui ha tratto origine la privazione della libertà personale in senso favorevole all'indagato/imputato e dalla condotta dello stesso che non abbia dato o concorso a dare causa all'ingiusta detenzione con dolo o colpa grave.

Le altre “ingiustizie” che meritano una riparazione

La ricerca delle situazioni non ancora indennizzate, quindi, dovrà essere finalizzata a riscontrare se esistono altre ipotesi di privazione della libertà personale che, secondo i criteri vigenti, legittimino già ora una forma di indennizzo ed a catalogare altre situazioni verificatesi nella prassi processuale che non rispondono ai criteri vigenti ma possano essere valutate a fini riparatori, pur rappresentando eterogenee forme di deviazione dal sistema processuale.

Fattispecie che derivino da disfunzioni ordinamentali, non riferibili a singoli operatori del diritto (ed in particolare ai magistrati che hanno emesso i provvedimenti del caso specifico, assoggettati a specifica disciplina), né tanto meno al soggetto interessato che, sia pure sulla base di un provvedimento restrittivo a monte legittimo, subisca comunque un danno da indennizzare.

Il catalogo delle misure restrittive della libertà personale che, sia pure irrogate sulla base di un provvedimento giurisdizionale irrevocabile, comportino aspetti di sostanziale ingiustizia è assai ampio e la difficoltà di costruire una procedura unitaria che consenta di rispondere ad istanze di riparazione di danni simili deriva dalla diversità delle cause del danno stesso.

Entrando nello specifico, è fatto notorio che il sovraccarico di lavoro che condiziona i nostri tribunali porti alla dilatazione dei tempi di restrizione, sia essa di origine cautelare o di natura alternativa alla detenzione inframuraria, a prescindere dalla concreta esigenza preventiva o punitiva a fondamento della misura.

Assai frequente, ad esempio, che dopo che sia stata disposta dal tribunale di sorveglianza la misura della detenzione domiciliare, l'interessato richieda l'ammissione alla misura dell'affidamento in prova ai servizi sociali in corso di esecuzione della misura stessa.

La sola fissazione d'udienza comporta, secondo i tempi standard di tribunali di medio-alto carico di processi, il decorrere di un lasso di tempo che, rispetto a misure disposte per pochi mesi, spesso coincide con lo spirare della misura stessa.

In giurisprudenza sono rinvenibili casi (Trib. Sorv. Roma, ord. n. 4222/2013, in Cass. pen., 2014, 1066, con nota di F. GALLUZZO, Anche la detenzione domiciliare, se ingiusta, deve essere risarcita ) nei quali la domanda di ammissione alla misura dell'affidamento in prova ai servizi sociali sia stata rigettata, benché fondata sulla persistenza delle condizioni che avrebbero consentito, già ab origine, di concedere la misura meno afflittiva, per la mera constatazione del decorso del termine della misura, in concreto non neutralizzata neanche mediante la presentazione di un'istanza di anticipazione di udienza.

Il danno derivante dal ritardo nella celebrazione dell'udienza o nell'assunzione di un qualsivoglia provvedimento è stato ancora più eclatante, nel caso richiamato, se si considera che il magistrato di sorveglianza, adito subito dopo l'emissione della misura da parte del tribunale di sorveglianza di luogo diverso da quello dell'esecuzione, aveva subito concesso ampi permessi all'interessato al fine di espletare la sua attività lavorativa, la stessa documentata nella primigenia richiesta di affidamento ai servizi sociali; che nel corso dell'udienza tenutasi dinanzi al Tribunale di sorveglianza, oramai a pochi giorni dallo spirare della misura (e fissata soltanto grazie, come detto, alla presentazione di una istanza di anticipazione), il procuratore generale presso la Corte di appello aveva concluso per la concessione della misura dell'affidamento ai servizi sociali; che il Tribunale rigettava la richiesta, oltre che per l'esiguità della pena residua espianda (inferiore a venti giorni) che, si legge nella motivazione, avrebbe reso inutile l'affidamento in prova ai fini della risocializzazione dell'interessato, anche per l'impossibilità di acquisire la relazione dei servizi sociali che non era mai stata effettuata proprio perché la durata della pena, cinque mesi, aveva reso impossibile l'avvio della relativa procedura.

Evidente che dalla vicenda processuale sopra descritta è possibile ricavare alcune considerazioni di ordine generale che discendono dalle patologie evidenziate, pressoché croniche nel nostro sistema processuale, che sono sicuramente assimilabili ad altre già codificate e collocabili nel catalogo degli eventi dannosi indennizzabili.

Partendo da situazioni analoghe a quella descritta, sono diverse le sollecitazioni di carattere generale che si pongono: una prima voce di danno, sempre con la premessa della legittimità del provvedimento da cui deriva la misura restrittiva, è individuabile nell'ipotesi in cui la mancata concessione della misura dell'affidamento ai servizi sociali venga negata senza valorizzare alcuni presupposti, posti alla base della domanda di ammissione alla misura meno afflittiva, che, immutati ma rivalutati dinanzi al Tribunale di sorveglianza, portino all'accoglimento dell'istanza dell'interessato (che nel caso di specie, peraltro, era stata rigettata a prescindere dalla valutazione del merito).

Con un'accezione diversa da quella codificata, che richiede necessariamente il proscioglimento, siamo comunque di fronte ad una forma di ingiusta detenzione, mantenuta a dispetto di condizioni che legittimavano la concessione di una misura non detentiva, che potesse, quanto meno, sostituire in tempi rapidi la misura primigenia.

È questa la seconda fonte di danno: la durata del procedimento esecutivo, aspetto forse inscindibile da quello già esaminato.

Come detto, l'inizio dell'esecuzione della detenzione domiciliare comporta, come da prassi dei tribunali, il decorso di un tempo minimo, spesso non breve, per presentare una domanda di affidamento in prova ai servizi sociali, in corso di svolgimento della diversa misura irrogata; tra il deposito della nuova istanza e la notifica della fissazione dell'udienza trascorre comunemente un ulteriore lasso di tempo, che naturalmente cresce esponenzialmente nei fori maggiormente gravati di processi; qualora poi si verifichi una fissazione dell'udienza a data successiva allo spirare della misura sorge l'ulteriore esigenza di redigere un'istanza per l'anticipazione dell'udienza stessa, in tempo utile per non renderla superflua.

A fronte di una misura detentiva di pochi mesi, la fissazione dell'udienza finalizzata alla sostituzione della stessa dopo che sia già trascorsa buona parte della misura, appare quale una forma di irragionevole durata del processo che incide su diritti del singolo che, se il procedimento fosse stato celere, sarebbero stati riconosciuti.

Anche per tale aspetto, non è certamente applicabile la disciplina vigente del risarcimento per l'irragionevole durata del processo che è ritagliato sul processo di merito, secondo scaglioni temporali ben precisi.

Sono diversi, tuttavia, i punti di contiguità, quanto a ratio della tutela, presupposti oggettivi, regole di esclusione, con la richiamata disciplina, volta ad indennizzare chi subisca un danno per l'incapacità dell'ordinamento di dare una risposta rapida ad istanze giudiziarie.

Altra carenza strutturale che frequentemente condiziona i procedimenti del tribunale di sorveglianza è rappresentata dalla difficoltà di ottenere in tempi congrui la relazione dei servizi sociali, a volte dovuta anche alla tardività dell'affidamento dell'incarico, che ricade sul procedimento ritardandone o impedendone una corretta definizione e determinando, conseguentemente, l'ingiustizia del mantenimento della misura.

In conclusione

De jure condendo, appare opportuna l'introduzione di una procedura unica che sia idonea ad abbracciare le fonti di danno che nella prassi via via emergano al di là di quelle sin qui tratteggiate, al fine di rendere indennizzabili tutte gli eventi dannosi che si siano verificati ai danni dei soggetti che sono stati sottoposti a procedimenti giudiziari.

Una procedura unica che renderebbe maggiormente intelligibili per il cittadino i propri diritti, quanto alle situazioni indennizzabili, ai presupposti per la concessione del ristoro, alle fonti di prova necessarie: conseguentemente, alle possibilità concrete di ottenere una liquidazione ed in quale misura.

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