Una sentenza innovativa sulla prostituzione minorile. Alla ricerca di un'effettiva tutela della vittima e dello stesso condannato

Claudia Cavaliere
05 Dicembre 2016

La sentenza emessa dal Gup di Roma (n. 266/2016) ha ad oggetto un episodio che s'inquadra in una vicenda molto più ampia che, nel 2013, è stata diffusamente riportata dalle cronache giudiziarie, per aver coinvolto la c.d. Roma bene, in un vasto giro di prostituzione minorile.
Abstract

La sentenza emessa dal Gup di Roma (n. 266/2016) ha ad oggetto un episodio che s'inquadra in una vicenda molto più ampia che, nel 2013, è stata diffusamente riportata dalle cronache giudiziarie, per aver coinvolto la c.d. Roma bene, in un vasto giro di prostituzione minorile.

L'indagine ha interessato, in soli due mesi, ben sessanta persone. Il provvedimento in esame è stato emesso nei confronti di un imputato che aveva scelto la definizione con rito abbreviato.

Il giudice, nel ritenerlo colpevole del reato ascrittogli lo ha condannato alla pena di due anni di reclusione ed € 2.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali, dichiarandolo interdetto in perpetuo da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela o all'amministrazione di sostegno, nonché interdetto in perpetuo da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine e grado, nonché da ogni ufficio e servizio in istituzioni o strutture pubbliche o private, frequentate da minorenni.

Ha, altresì, condannato l'imputato al risarcimento del danno subito dalla costituita parte civile, liquidato in € 1.000,00 per il danno patrimoniale e all'acquisto a suo favore di libri e film sulla storia ed il pensiero delle donne, di letteratura femminile e sugli studi di genere.

Interessante, dunque, e del tutto innovativa la parte relativa alle statuizioni civili, con la condanna ad un obbligo di facere, nell'interesse della vittima del reato, che, costituitasi parte civile, a mezzo procuratore speciale, aveva chiesto, invece, il risarcimento di € 20.000,00.

Lo spunto giurisprudenziale

La sentenza si segnala, quindi, per aver disatteso la richiesta in danaro della parte civile ed aver concretizzato il risarcimento in un percorso educativo offerto alla vittima del reato. Percorso che vede l'imputato costretto a mettere a disposizione della persona offesa i primi strumenti utili, che dovranno poi trovare altri necessari supporti, al fine di raggiungere lo scopo prefissato. La dettagliata motivazione della sentenza è rivolta alla funzione rieducativa della pena, principio cardine espresso dall'art.27 della Costituzione, e alla tutela della vittima di reato, tenendo conto non solo delle fonti legislative nazionali ma anche sovranazionali, cui l'ordinamento italiano è tenuto a conformarsi. In particolare, è strettamente funzionale ad affrontare il complesso tema, che si è posto sotto il profilo giuridico, costituito dalla domanda risarcitoria della parte civile.

Nel caso di specie, il delitto contestato è quello previsto e punito dall'art. 600-bis, comma 2,c.p., aggravato dall'art. 602-ter, comma 5, c.p., per aver compiuto atti sessuali in cambio di una somma di denaro, in danno di minore di 16 anni. È proprio la figura della vittima minorenne, infatti, ad essere il punto focale della sentenza, su cui si sviluppa il ragionamento del giudice che sfocia in una condanna, peculiare nel suo oggetto, comprovante l'intenzione di voler assicurare e tutelare il diritto all'educazione del minore e alla dignità dello stesso.

L'imputato è un uomo adulto che ha cercato, consapevolmente, una minorenne al fine di ottenere rapporti sessuali a pagamento. In questi casi la minore è pacificamente vittima del reato ed è la persona offesa da tutelare, i cui diritti alla dignità umana, all'educazione, alla crescita sono stati irrimediabilmente violati. Alcun altro ragionamento è possibile, pur in presenza di atti di seduzione o inviti espliciti da parte della minorenne.

Nella sentenza in esame è ricostruita la fragilità e la personalità della vittima; si analizzano le parole dalla stessa pronunciate così come quelle utilizzate dal suo cliente, idonee a dimostrare che, per quest'ultimo, l'acquisto di prestazioni sessuali di una ragazza adolescente, non si differenzia dall'ottenimento di oggetti materiali, quali indumenti, cibo, ecc..

È in questo modo che viene del tutto svilita la dignità umana della minore, privata della sua soggettività e della sua giovane età. Ciò impone, dunque, di approfondire il contesto sociale e culturale in cui l'adolescente forma la sua identità e che l'ha spinta a prostituirsi. Il giudice ha correttamente evidenziato quest'aspetto per motivare la decisione adottata.

Il quadro è impietoso. Abbandonata dal padre, obbligata dal suo sfruttatore ed utilizzata dalla madre, che pur essendo a conoscenza dell'attività della minore non mostra alcun rimorso ad approfittarne, con lo scopo di ricavarne vantaggi economici; questi i condizionamenti di un malsano contesto familiare e sociale in cui cresce la giovane vittima. Fallisce la famiglia ma anche la scuola ed i servizi sociali, incaricati di seguire la complessa situazione familiare, che non hanno funzionato, come avrebbero dovuto, come luoghi di controllo, di formazione, di ascolto, di emersione di un disagio adolescenziale profondo e ben visibile, che aspettava solo di essere colto da adulti adeguati, capaci e solo minimamente attenti.

Queste le condizioni di vita della giovane persona offesa e di tante altre vittime di un mercato così drammaticamente diffuso a livello planetario e con un volume di affari miliardario.

Fonti nazionali e sovranazionali in materia di protezione dei minori

In merito alla figura del minore, quale soggetto titolare di diritti fondamentali, occorre sottolineare i progressi compiuti non solo dalla legislazione nazionale ma anche sovranazionale.

Soprattutto si richiama la Convenzione Onu sui diritti del Fanciullo del 1989, la Conferenza Mondiale di Stoccolma del 1996 (espressamente richiamata all'art. 1 della l. n. 269 del 1968 approvata dall'Italia contro la pedofilia), la decisione quadro 2001/220/Gai (IASEVOLI) e quella successiva del Consiglio d'Europa sulla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile del 2003.

In particolare per tutela del minore, quale soggetto particolarmente vulnerabile e fragile dal punto di vista fisico e mentale, uno degli interventi più incisivi, a livello europeo, è la Convenzione di Lanzarote entrata in vigore il 1° luglio 2012 (MAURIELLO).

La legge nazionale 172/2012, con cui l'Italia ha ratificato la Convenzione di Lanzarote, fornisce una dettagliata illustrazione di taluni reati già disciplinati dal nostro ordinamento, quali, ad esempio, l'abuso sessuale e la prostituzione minorile.

Per abuso sessuale si intende il coinvolgimento in attività fisiche e/o psicologiche, di una persona incapace di scegliere. La legge introduce come elemento di novità quella di costringere un minore ad assistere ad atti sessuali, nonché a compiere tali atti con terzi.

Per prostituzione minorile, definizione che particolarmente interessa il caso di specie, si intende quel reato consumato da chiunque induca o sfrutti la prostituzione di un soggetto minore di diciotto anni.

La legge di attuazione si propone, inoltre, di introdurre nuove fattispecie per rispondere alle esigenze sorte in ragione dello sviluppo tecnologico.

Si introduce il grooming, ossia l'adescamento tramite internet per scopi sessuali; l'accesso consapevole tramite internet a materiale pornografico; il turismo sessuale infantile all'interno della Ue, cioè l'organizzazione di viaggi a scopo sessuale con minori, per tale reato sono puniti sia coloro che organizzano tali viaggi sia chi vi aderisce; istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia.

Quanto al regime sanzionatorio vengono applicate ai reati pene più severe perché commessi nei confronti di soggetti particolarmente vulnerabili. Ulteriori aumenti di pena sono previsti quando il delitto è stato commesso da soggetti che hanno la fiducia del minore come familiari, insegnanti, tutori. Non può essere invocata, come causa di giustificazione, la libertà di espressione del minore.

Apposite strutture – case famiglia, centri di ascolto – hanno il compito di sostenere il minore vittima e la sua famiglia, prima, durante e dopo il processo penale, al fine di evitare il c.d. fenomeno della vittimizzazione secondaria.

Pene accessorie sono previste per evitare che il condannato abbia contatti con minori. Il reo, infatti, non potrà svolgere attività che implichino la loro vicinanza.

La direttiva 2012/29/Ue e la "vittimizzazione secondaria"

In merito alla tutela del minore vittima di reato, altro profilo di tutela si concretizza in quelle disposizioni legislative idonee ad assicurare un'adeguata protezione nella fase giudiziali di accertamento della verità, per evitare quello che è il fenomeno di vittimizzazione secondaria, cui si è precedentemente fatto riferimento. È questa la fase in cui il minore è nuovamente costretto a ripercorrere i medesimi fatti di cui è stato vittima.

Il codice di procedura penale del 1930, il codice Rocco, non prevedeva norme volte alla tutela del minore testimone sia esso o meno parte lesa, eccetto quella offerta dall'art. 449 c.p.p. che escludeva l'obbligo di giuramento per il minore chiamato a deporre. Il processo avente ad oggetto reati sessuali sui minori, peraltro, non doveva essere necessariamente svolto a porte chiuse, essendo questa una decisione rimessa alla discrezionalità del giudice sulla base dei criteri di sicurezza, ordine pubblico e moralità.

È con il passaggio al codice di procedura penale del 1988 che si comprende la necessità di tutelare la serenità e tranquillità psichica del minore anche nella fase di giudizio. Si veda l'art. 472, comma 3-bis, c.p.p., secondo cui il dibattimento per taluni delitti, tra cui il reato ex 600-bis c.p., può svolgersi, su richiesta della parte offesa, a porte chiuse. Ancora la facoltà, individuata al comma 4 del medesimo articolo, in capo al giudice di disporre a porte chiuse l'esame dei testi minorenni. L'art. 498, comma 4, c.p.p. che prevede la possibile collaborazione di un familiare di un minore o di un esperto in psicologia infantile durante l'esame testimoniale.

Degna di nota, inoltre, la normativa in materia di reati sessuali del 1996 e la legge sulla pedofilia del 1998 che hanno disposto, per tutti i procedimenti penali avverso tali fattispecie di reato, la possibilità di assumere la testimonianza di persona minore di anni 16, a mezzo di incidente probatorio, anche al di fuori dei casi eccezionali previsti all'art. 392 c.p.p. nel più breve tempo possibile per evitare che sia differito alla fase di giudizio (alle medesime conclusioni giunge la Corte Costituzionale con la sentenza n. 262 del 9 luglio 1988).

Anche nel panorama europeo una particolare attenzione alle vittime minorenni, che per la loro età tendono a presentare un elevato tasso di vittimizzazione secondaria e ripetuta, è imposta ai giudici, dalla direttiva 2012/29/Ue. Quest'ultima, in particolare al considerandum n. 9, tende ad evitare che il minore abbia contatti con l'autore del reato e lo tutela nel corso del processo.

L'Italia ha dato attuazione alla succitata direttiva con il d.lgs. 15 dicembre 2015 n. 212, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 3 del 5 gennaio 2016.

Il decreto offre una definizione di vittima di reato nel solco tracciato dalla direttiva europea: non solo la persona che ha effettivamente subito le conseguenze del reato ma anche i suoi familiari, in caso di decesso della vittima; in tema di informazione e partecipazione al processo, il decreto attuativo modifica istituti già esistenti, al fine di garantirne una più ampia applicazione; garantisce il diritto alla traduzione e all'assistenza linguistica anche per la persona offesa; introduce, per i reati più gravi, la possibilità per la vittima di impugnare le decisioni di non luogo a procedere.

Il decreto legislativo prevede per l'incidente probatorio e per la prova testimoniale, modalità che consentono la protezione del minore, indicando specifiche tutele.

Questi interventi si sono resi necessari in quanto troppo spesso si ignora che la vittima subisce non solo le conseguenze direttamente connesse al reato ma anche quelle derivanti dall'impatto con il sistema giudiziario. Peraltro, com'è naturale, il rischio di vittimizzazione secondaria è tanto più alto quanto più sono fragili le vittime di reato, quali i minori, vittime di reati sessuali. È questa, infatti, la ratio che permea la direttiva europea, che si propone l'ulteriore scopo di procedere ad un'armonizzazione delle legislazioni nazionali in tema di protezione dei minori. Come è noto una delle quattro libertà fondamentali individuate nel contesto europeo è costituita dalla libertà di circolazione, tuttavia essa comporta inevitabilmente una quinta ed indesiderata libertà, la libera circolazione del crimine (KOSTORIS) che in quanto tale impone agli Stati membri dell'Unione europea di dotarsi di strumenti idonei a contrastare questo fenomeno alla luce del costante aumento, nell'area europea, delle vittime di reato, spesso provenienti da Paesi diversi rispetto a quello di commissione del fatto.

Funzione rieducativa diretta ed indiretta della condanna risarcitoria

La sentenza in esame si distingue, inoltre, per l'attenta ricerca, condotta sul piano sanzionatorio, avente lo scopo non solo di restituire dignità alla giovane vittima e di neutralizzare il fenomeno della vittimizzazione secondaria a danno della stessa ma, soprattutto, di rendere effettivo il principio sancito all'art. 27 della Costituzione di funzione rieducativa della pena proiettata al reinserimento sociale del condannato.

Il giudice, sulla base della domanda di risarcimento contenuta nell'atto di costituzione di parte civile della curatrice speciale della persona offesa, propone un'analisi della nozione di risarcimento del danno morale, ripercorrendo le linee distintive tra risarcimento del danno in forma specifica e risarcimento in via equitativa per individuare la soluzione maggiormente aderente allo scopo di rieducazione del minore che sceglie di prostituirsi e dell'autore dei reati contestati.

Opportuno è il riferimento alla giurisprudenza della Corte di cassazione (Sez. II civile, n. 1186/2015) secondo cui il risarcimento del danno per equivalente costituisce una reintegrazione del patrimonio del creditore, che si realizza mediante l'attribuzione di una somma di denaro pari al valore della cosa o del servizio oggetto della prestazione non adempiuta […] il risarcimento in forma specifica, essendo diretto al conseguimento dell'eadem res dovuta, tende a realizzare una forma più ampia di ristoro del pregiudizio dallo stesso arrecato, dato che l'oggetto della pretesa azionata non è costituito da una somma di danaro, ma dal conseguimento, da parte del creditore danneggiato, di una prestazione del tutto analoga, nella sua specificità ed integrità, a quella cui il debitore era tenuto in base al vincolo contrattuale. Ne consegue che costituisce una semplice riduzione della domanda o comunque una distinta modalità attuativa del diritto fatto valere la richiesta di risarcimento per equivalente allorché sia stato originariamente richiesto, in giudizio, il risarcimento in forma specifica.

Tale distinzione rileva in ragione della definizione del danno morale inteso quale pretium doloris per il quale occorre individuare la forma più appropriata di risarcimento. Ai sensi dell'art. 2059 c.c. i danni non patrimoniali devono essere risarciti solo nei casi determinati dalla legge e tra questi vi sono quelli derivanti da illecito penale come previsto dall'articolo 185 c.p.

Al primo comma, l'art. 185 c.p. prevede le restituzioni (Ogni reato obbliga alle restituzioni, a norma delle leggi civili) cioè la reintegrazione dello stato di fatto preesistente alla commissione del reato e può avere ad oggetto sia cose mobili che immobili di cui si sia venuti in possesso. Obbligo che sorge solo quando la restituzione sia possibile naturalisticamente e giuridicamente. Il secondo comma dell'art. 185c.p, invece, prevede il risarcimento del danno: Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui. Ebbene per danno non patrimoniale si intende anche il danno morale, consistente nel patimento fisico, psichico e sociale derivante dal reato (si veda in giurisprudenza Cass. civ., Sez.III, 4631/1997; Cass. civ., Sez.III, 5530/1997, sulla base di precedenti pronunzie della Corte costituzionale, 184/1986 e 37/1994).

È di tutta evidenza che il risarcimento per equivalente, avente cioè ad oggetto una somma perfettamente corrispondente al valore del pregiudizio patito, opera quale mero rimborso pecuniario, la cui finalità appare più funzionale alla reintegrazione di un patrimonio diminuito, che alla capacità di compensare, in tutto o in parte, il male sofferto.

Benché anche il risarcimento in forma specifica possa consistere in una somma di denaro (Cass. civ., Sez. unite,28 maggio 2014, n. 11912), nel caso di specie una valutazione in via equitativa dell'obbligo del risarcimento non risulta essere conforme alle intenzione del giudice di rieducare la persona offesa e, contestualmente, l'autore di reato.

Un risarcimento liquidato in termini (esclusivamente o principalmente) economici, peraltro, contrasterebbe anche con l'obbligo dell'Autorità giudiziaria di impedire la vittimizzazione secondaria perché accrescerebbe e confermerebbe nella persona offesa l'idea che, anche per lo Stato, il suo valore è quantificabile solo attraverso il denaro, cioè lo strumento attraverso il quale l'imputato l'ha resa una merce, negando anche in sede processuale la possibilità del minore di poter sviluppare una coscienza di se stesso quale persona dotata di diritti e di dignità.

Per tali motivi si impone l'esigenza di individuare la migliore forma di risarcimento che consenta di ricreare le condizioni necessarie affinché si possa ripristinare una forma di equilibrio in una situazione così complessa.

Con assoluta certezza non possono, inoltre, ritenersi idonei giudizi fondati su automatismi in ragione della specialità del bene protetto: l'integrità morale quale massima espressione della dignità umana, desumibile dall'art. 2 della Costituzione in relazione all'art. 1 della Carta di Nizza, che assume valore vincolante per tutti gli Stati membri ex art. 6 del trattato di Lisbona (si veda Cass. civ., Sez. III, 22 settembre 2015, n. 18611). Esso deve tener conto delle condizioni soggettive della persona e della concreta gravità del fatto, senza che possa quantificarsi il valore dell'integrità morale come una quota minore proporzionale al danno alla salute, dovendo dunque escludersi l'adozione di meccanismi semplificati di liquidazione (Cass. civ., Sez. III, 10 marzo 2010, n. 5770).

La soluzione individuata dal giudice nel risarcimento in forma specifica, pertanto, consistente per l'esattezza nell'obbligo di un facere, risulta compatibile con la finalità perseguita dal provvedimento in esame.

Si è fatto esplicito riferimento alla funzione rieducativa indiretta della pena al risarcimento in forma specifica nei confronti del condannato. Il dispositivo della sentenza in questione prevede, infatti, la condanna all'acquisto d un certo numero di testi scritti e film, al fine di incentivare un processo di riflessione sulla soggettività femminile e, contestualmente, raggiungere una maggiore consapevolezza di sé, passaggio non trascurabile per evitare che reiteri la commissione del reato. Attraverso l'acquisizione di libri e film sul pensiero prodotto nei secoli dalle donne, anche la persona offesa viene indirettamente stimolata a prendere coscienza del suo valore quale persona.

In conclusione

Non vi è dubbio che il giudice ha mostrato particolare sensibilità nell'emettere la sentenza che ha ad oggetto una tematica così complessa, quale quella della tutela del minore. Ha inteso, con l'ideazione di una forma alternativa di pena risarcitoria, inviare più messaggi ai protagonisti della vicenda e a coloro che avevano il dovere d'intervenire affinché la minore venisse effettivamente tutelata.

La sentenza è una condanna al degrado culturale che sta vivendo il nostro Paese, nel quale si è giudicati per quello che si ha, non per quello che si è.

Un provvedimento dedicato alla vittima del reato che offre – perché non può imporre – la possibilità di un recupero della sua dignità.

Guida all'approfondimento

IASEVOLI, Il minore fonte di prova tra assiologia ed effettività, Napoli, 2012, 1 ss.

KOSTORIS, Manuale di procedura penale europea, Giuffrè, Milano, 2015, 282;

MAURIELLO, Il diritto e la tutela del Minore vittima di violenze, in psichiatrianapoli.it.

Circa la diffusione della prostituzione minorile, diventata vera e propria emergenza sociale, si veda il documento finale dell'indagine conoscitiva sulla prostituzione minorile, pubblicato il 21 giugno 2016, dalla Commissione bicamerale per l'infanzia e l'adolescenza dopo due anni di ricerche: La prostituzione di bambini e adolescenti oltre ad essere una delle forme più drammatiche di violazione della loro integrità fisica e psicologica e come tale origine di danni fisici e psichici assai gravi, talune volte irreversibili, è peraltro espressione di una patologia sociale che la continua crescita del fenomeno sta trasformando in una vera e propria emergenza sociale. In particolare, destano preoccupazione, da un lato, la giovane età dei soggetti coinvolti, dall'altro, il quadro di degrado sociale morale nel quale spesso maturano e si sviluppano tali forme di sfruttamento dei minori.

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