Estorsione. Solo la “solidarietà umana” può salvare l’intermediario dalla condanna
06 Marzo 2017
Ai fini dell'integrazione del concorso di persone nel reato di estorsione è sufficiente la coscienza e volontà di contribuire, con il proprio comportamento, al raggiungimento dello scopo perseguito da colui che esercita la pretesa illecita; ne consegue che anche l'intermediario, nelle trattative per la determinazione della somma estorta, risponde del reato di concorso in estorsione, salvo che il suo intervento abbia avuto la sola finalità di perseguire l'interesse della vittima e sia stato dettato da motivi di solidarietà umana. Il principio è stato affermato dalla Cassazione penale, sentenza n. 6824/2017. Il ricorrente, nel suo ricorso, adduceva non potersi ravvisare alcuna responsabilità nei suoi confronti in quanto egli aveva agito, quale intermediario contattato dalla persona offesa, nel solo ed esclusivo interesse di questa. Inoltre, lamentava il travisamento della prova, avendo il giudice di seconde cure errato nell'attribuire rilievo ad una conversazione tra il ricorrente ed altro soggetto del tutto priva di chiaro significato e che pertanto non era idonea a provare l'adesione al programma criminoso portato a termine esclusivamente da altri. Nel rigettare il ricorso, la seconda Sezione penale ricorda altresì l'insegnamento costante della Cassazione, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, secondo cui l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità. |