Il detenuto ha diritto ad una morte dignitosa. La Cassazione accoglie il ricorso di Riina
06 Giugno 2017
La Corte di cassazione, Sez. I, con sentenza n. 27766, depositata il 5 maggio 2017, ha accolto il ricorso presentato da Salvatore Riina avverso l'ordinanza con cui il tribunale di sorveglianza di Bologna aveva rigettato le sue richieste di differimento dell'esecuzione della pena ex art. 147, n. 2, c.p. e, in subordine, di esecuzione della pena nelle forme della detenzione domiciliare ex art. 47-ter, comma 1-ter, ord. penit. La Suprema Corte motiva che, in presenza di patologie implicanti un significativo scadimento delle condizioni generali e di salute del detenuto – nel caso specifico plurime patologie che interessano vari organi vitali e sindrome di Parkinson –, il giudice di merito è tenuto a verificare, e motivare adeguatamente, se lo stato di detenzione carceraria comporti una sofferenza nonché un'afflizione di intensità tali da superare il livello insito nella legittima esecuzione della pena. Il tribunale di sorveglianza avrebbe ritenuto non sussistere alcuna incompatibilità tra l'infermità fisica del ricorrente con il regime carcerario basandosi unicamente sulla trattabilità delle patologie del detenuto anche in ambiente carcerario, senza dunque alcuna valutazione complessiva dello stato di logoramento fisico in cui si trova il ricorrente aggravato, oltretutto, dall'avanzata età. Ritiene invece la Cassazione che « affinché la pena non si risolva in un trattamento inumano e degradante, nel rispetto dei principi di cui agli articoli 27, comma 3, Cost. e 3 Cedu, lo stato di salute incompatibile con il regime carcerario, idoneo a giustificare il differimento dell'esecuzione della pena per infermità fisica o l'applicazione della detenzione domiciliare non deve ritenersi limitato alla patologia implicante un pericolo per la vita della persona, dovendosi piuttosto avere riguardo ad ogni stato morboso o scadimento fisico capace di determinare un'esistenza al di sotto della soglia di dignità che deve essere rispettata pure nella condizione di restrizione carceraria »; inoltre esiste « un diritto a morire dignitosamente che […] deve essere assicurato al detenuto ed in relazione al quale, il provvedimento di rigetto del differimento dell'esecuzione della pena e della detenzione domiciliare, deve adeguatamente motivare ». Pur concordando sull'altissima pericolosità del detenuto in questione, nonché sul suo indiscusso spessore criminale, la Cassazione osserva come il giudice di merito non abbia però chiarito come tale pericolosità possa definirsi attuale in considerazione della sopravvenuta precarietà delle condizioni di salute e del più generale stato di decadimento fisico dello stesso. Per tali ragioni annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per un nuovo esame al tribunale di sorveglianza di Bologna. |