Dichiarazioni autoindizianti rese al di fuori del procedimento penale

06 Agosto 2015

Si applica l'art. 63, comma 1 c.p.p. alle dichiarazioni autoindizianti rese al di fuori del procedimento penale? È da sempre controversa l'operatività dell'art. 63, commi 1 e 2, c.p.p. con riferimento alle dichiarazioni rese al di fuori del procedimento penale

Si applica l'art. 63, comma 1 c.p.p. alle dichiarazioni autoindizianti rese al di fuori del procedimento penale?

È da sempre controversa l'operatività dell'art. 63, commi 1 e 2, c.p.p. con riferimento alle dichiarazioni rese al di fuori del procedimento penale e, in particolare, nel corso del procedimento ispettivo o di vigilanza.

In proposito, uno sbarramento espresso si trae dall'art. 220 disp. att. c.p.p., che impone l'applicazione delle regole del codice nel momento in cui emergono indizi di reato (tra le più recenti, Cass.pen.,Sez. III, 2 ottobre 2014, n. 3207; Cass.pen.,Sez. un., 28 novembre 2001, n. 45477). Tuttavia, occorre precisare che gli atti amministrativi, anche se formatisi prima del concretizzarsi della notitia criminis, non possono costituire escamotages finalizzati a eludere il principio di legalità della prova.

Al fine di trovare direttrici unitarie per la soluzione del quesito, occorre tenere presente che, secondo l'insegnamento delle Sezioni unite, l'art. 63 c.p.p. deve annoverarsi tra quei limiti probatori che non possono essere elusi surrettiziamente mediante l'utilizzo di mezzi di prova tipici o atipici (Cass.pen., Sez. un., 28 maggio 2003, n. 36747). Il Collegio esteso ha richiamato il “fondamentale principio di legalità della prova” in base al quale, nell'acquisire un'informazione, non si possono usare escamotages per aggirare i limiti posti dal sistema a tutela della libertà morale. Pertanto, deve ritenersi vietato qualsiasi “espediente per assicurare comunque al processo contributi informativi che non sarebbe stato possibile ottenere ricorrendo alle forme ortodosse di sondaggio delle conoscenze del dichiarante”.

Le affermazioni successive suonano come una condanna: deve essere evitata quella “apertura di varchi preoccupanti nella tassatività e nella legalità del sistema probatorio” che è dovuta alla “distonia tra prassi delle indagini, condizionata ancora da atteggiamenti inquisitori, e concezione codificata della prova, qual è strutturata nel vigente sistema accusatorio” (tale principio è stato ribadito anche da Cass. pen., Sez. un., 19 aprile 2012).

Con riguardo a dichiarazioni rese in ambiti diversi dal procedimento ispettivo o di vigilanza la giurisprudenza è orientata nel senso della utilizzabilità (Cass. pen, Sez. V, 19 dicembre 2014; Cass.pen., Sez. fer., 26 luglio 2013, n. 49132 in relazione alle dichiarazioni rese al curatore fallimentare; Cass. pen., Sez. VI, 11 giugno 2014, in merito ad un verbale di dichiarazioni indizianti rese dall'imputato in un procedimento di volontaria giurisdizione; Cass.pen., Sez. V, 8 novembre 2012, n. 4324, in merito alle dichiarazioni rese ai funzionari CONSOB ed agli ispettori della banca d'Italia; Cass.pen., Sez. VI, 21 maggio 2013, n. 23326, con riferimento alle relazioni degli assistenti sociali dirette al tribunale per i minorenni).

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