Il caporalato quale nuova forma di schiavitù. Analisi dell’art. 603-bis c.p. in attesa di una riforma effettiva
Leonardo Marino
07 Gennaio 2016
Il presente focus ha ad oggetto l'analisi del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro di cui all'art. 603-bis c.p. e pone particolare attenzione ai limiti della normativa vigente.
Abstract
La sig.ra Paola Clemente aveva 49 anni era una bracciante agricola della provincia di Taranto ed è morta lo scorso luglio mentre lavorava all'acinellatura dell'uva, guadagnava 27 euro al giorno, la metà di quanto le spettasse, è una delle ultime vittime del caporalato moderno, la sua storia ha commosso l'Italia perché era un persona “normale” ed era italiana.
Era stata assunta regolarmente, aveva una busta paga ma dietro un contratto formale con l'azienda spesso, come noto, si nasconde del lavoro nero, decurtazione delle buste paga ed evasione contributiva.
Tra le vittime del caporalato è in costante aumento il numero di connazionali e comunque di cittadini europei.
Il presente focus ha ad oggetto l'analisi del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro di cui all'art. 603-bis c.p. e pone particolare attenzione ai limiti della normativa vigente fino ad arrivare ad una breve lettura del disegno di legge di riforma da poco approvato dal Consiglio dei Ministri.
L'attuale assetto normativo del delitto di cui all'art. 603-bis c.p.
Il decreto legge del 13 agosto 2011, n.138, convertito con la legge 148, ha introdotto nel nostro codice penale, nella parte dedicata ai reati contro la libertà individuale, del capo III del titolo XII, il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro di cui agli articoli 603-bis e 603-ter c.p.
Con le norme in questione si è inteso punire con pene molto severe (da cinque ad otto anni di reclusione) quelle condotte che prima restavano impunite. Da subito, tuttavia, la formulazione delle stesse norme è sembrata lacunosa oltre che di difficile applicazione.
Il suddetto reato è stato introdotto a seguito delle proteste e delle manifestazioni che si sono verificate in Puglia nel territorio di Nardò (Agromafie e Caporalato) dove gli episodi di caporalato avevano assunto proporzioni enormi.
Nella specie la norma de quo punisce chi svolge un'attività organizzativa di intermediazione, reclutando manodopera ovvero organizzando il lavoro in maniera caratterizzata dallo sfruttamento, mediante violenza, minaccia o intimidazione, nonché approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori.
L'oggetto della tutela penale è lo stato di uomo libero, inteso come necessario riconoscimento dei singoli diritti di libertà.
In altri termini ciò che viene tutelato non è una forma particolare della manifestazione della libertà del singolo, bensì il complesso delle manifestazioni che si riassumono in tale stato e la cui negazione incide sullo svolgimento della personalità dell'individuo (Cass. pen., Sez. V, 4 febbraio 2014, n.14591).
Il legislatore, al secondo comma dell'art.603-bisc.p., ha scelto di definire la nozione di sfruttamento prevedendo che costituiscono indici sintomatici una o più delle seguenti circostanze:
1) la retribuzione (palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato);
2) la violazione della normativa relativa all'orario di lavoro che comprende anche la sistematica violazione dei diritti dei lavoratori (quali il riposo settimanale, l'aspettativa obbligatoria, le ferie);
3) la sicurezza e l'igiene sul lavoro (tali da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l'incolumità personale);
4) le generali condizioni di lavoro (che comprendono metodi di sorveglianza o situazioni alloggiative particolarmente degradanti).
Al terzo comma dell'art. 603-bisc.p. sono state introdotte tre circostanze aggravanti ad effetto speciale, che comportano l'aumento della pena da un terzo alla metà, che si applicano quando: il lavoratori reclutati siano superiori a tre, i soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa e infine, quando si commette il fatto esponendo i lavoratori a situazioni di grave pericolo, tenuto conto delle prestazioni da svolgere e delle condizioni lavorative.
Questi indici si riferiscono palesemente al datore di lavoro mentre la norma come si dirà punisce soltanto l'intermediario.
Il soggetto intermediario: il c.d. caporale
Nella maggior parte dei casi il caporalato funziona in questo modo.
Nel settore agricolo, settore principalmente colpito, il proprietario terriero, in genere, contatta una cooperativa al fine di far valutare la quantità del prodotto da vendere e viene pagato in base ad una stima effettuata. Successivamente a questa fase intervengono gli intermediari, talvolta delle vere e proprie società, che trovano il personale per la raccolta ed è qui che entrano in gioco i caporali.
I lavoratori sono spesso prelevati dai caporali con dei furgoni in punti di raccolta conosciuti per essere poi trasferiti presso i datori di lavoro.
Al termine della giornata i lavoratori, sfruttati, vengono ripresi dai caporali e riportati nei punti di raccolta.
Per l'attività effettuata i caporali trattengono una consistente parte della retribuzione che di regola è del 50% ma in alcuni casi, e nei confronti dei soggetti più vulnerabili, viene totalmente azzerata.
L'ipotesi di reato de quo, fermo restando la clausola di riserva salvo che il fatto non costituisca più grave reato – la norma in esame non trova applicazione nel caso in cui si dovessero raggiungere le vette dello sfruttamento estremo dell'art. 600 c.p. – Riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù –, punisce chiunque svolga un'attività organizzata di intermediazione.
La condotta è a forma vincolata e consiste nello svolgimento dell'attività di intermediazione, mediante violenza, minaccia, sfruttamento, intimidazione ed approfittamento dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori.
Tale stato di necessità non deve essere confuso con la scriminante dell'art. 54 c.p., in quanto nel delitto di cui all'art. 603-bis c.p., non vi è un annullamento totale di scelta da parte della vittima.
La giurisprudenza di legittimità, già nei reati collegati in materia di schiavitù, ha ritenuto tale stato come qualsiasi situazione di debolezza o di mancanza materiale o morale del soggetto passivo, adatta a condizionare la volontà personale, in altri termini coincide con la definizione di posizione di vulnerabilità come indicata nella decisione quadro dell'Unione Europea del 19 luglio 2002 sulla lotta alla tratta degli esseri umani, alla quale la legge n.228/2003 ha dato attuazione (Cass. pen.,Sez. III, 06 maggio 2010, n.21630).
È evidentemente necessario, a questo punto, chiarire in cosa consiste l'attività di intermediazione.
È opinione unanime della dottrina (Di Martino, Giuliani) che uno dei limiti della norma penale in questione è stato quello di non aver previsto, tra i soggetti attivi del reato, il datore di lavoro, in quanto il fatto tipico è rappresentato soltanto dall'attività di intermediazione intesa come l'insieme delle attività di facilitazione dell'incontro tra domanda e offerta di lavoro, siano esse esercitate previo rilascio di apposita autorizzazione da parte dell'Autorità, ovvero solamente di fatto (Giuliani).
In questo modo la fattispecie penale risulta avere la figura del reato proprio e se l'intermediario-caporale trova adeguata punizione, il datore di lavoro rischia di rimanere impunito pur essendo spesso il committente o in ogni caso il beneficiario-utilizzatore del lavoro sfruttato.
Per chiamare in causa il datore di lavoro ci si potrebbe collegare all'istituto del concorso di persone exart. 110 c.p. e, ove ci fossero i presupposti, il datore di lavoro potrebbe essere punibile per il delitto di estorsione (in questo senso Cass. pen., Sez. VI, 1 luglio 2010, n. 32525).
I soggetti passivi del reato e la limitata tutela delle vittime
I soggetti passivi del reato sono evidentemente i lavoratori ma, anche sotto il profilo della tutela degli stessi, la norma è stata criticata per mancanza o quanto meno per carenza effettiva di protezione delle vittime.
Che la tutela non sia adeguata lo si riscontra anche nei recenti dossier (Terraingiusta e Agromafie e Caporalato) dai quali tra l'altro si evince che nelle campagne italiane sono presenti cittadini comunitari in prevalenza dell'est ma anche italiani e non si registra più la presenza di cittadini extracomunitari privi di permesso di soggiorno ma oggi ritroviamo anche i richiedenti asilo, ossia quelle persone costrette in base al Regolamento di Dublino n.604/2013 (Ue) a restare in Italia (in quanto la domanda è stata presentata nel nostro paese) in attesa che venga valutata la loro posizione personale per il riconoscimento dello status meritevole di protezione internazionale.
Dal recente rapporto del mese di aprile 2015 dell'associazione Medu (Medici per i diritti umani), dove sono stati intervistati 788 migranti e visitati i posti in cui si concentrano in massa i lavoratori (Rignano, Rosarno, Latina), viene fuori una vera e propria emergenza umanitaria caratterizzata da una manodopera ricattabile, situazioni abitative fatiscenti, retribuzioni bassissime e orari di lavoro disumani, vere e proprie squadre di lavoro e la ovvia presenza del caporale.
La mancata previsione di un fondo per le vittime del caporalato e della creazione di un percorso sociale e di protezione
Con la legge 11 agosto 2003 n. 228 è stato istituito il Fondo per le misure anti-tratta e per l'anno 2014 sono stati stanziati (Dossier Save the Children) circa cinque milioni di euro con un indennizzo di sole 1500,00 euro per ogni vittima; il problema è che però alla data odierna le vittime del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro non hanno diritto di accedervi.
Infatti, ai sensi della art. 12, comma 2-bis delle legge 228/2003 possono accedere al fondo de quo soltanto le vittime dei reati di cui agli articoli 600,601 e 602 c.p. (Riduzione o mantenimento in Schiavitù, Tratta di Persone, Acquisto e alienazioni di schiavi).
Il Fondo, inoltre, è destinato al finanziamento dei programmi di assistenza e di integrazione sociale in favore delle vittime di cui l'art. 18 del d.lgs 286/1998 che consente non solo allo straniero (cittadino di Stato non appartenente all'Ue e l'apolide, art. 1 Tu immigrazione) ma anche ai cittadini di Stati membri dell'Ue (art. 18, comma 6-bis) – nei casi in cui vengano accertate situazioni di violenza o di grave minaccia per i delitti di cui all'art.3 legge 75/1958 (Prostituzione) e di quelli per cui è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza exart. 380c.p.p. – di essere collocati all'interno di un programma di inserimento e di protezione sociale. Tale fondo, inoltre, consente il rilascio allo straniero irregolare di un permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale che consente anche di lavorare.
Il problema però è che per l'art. 603-bisc.p. non è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza ma solo quello facoltativo (381 c.p.p.) e pertanto al momento le vittime di caporalato non hanno diritto di accedere a tale fondo.
Assenza di coordinamento tra l'art. 603-bis c.p. e l'art. 22, comm 12-bis del Tu Immigrazione in relazione alla Responsabilità degli Enti
Come noto nel nostro ordinamento la responsabilità da reato in capo alle persone giuridiche è stata introdotta con il d.lgs. 231/2001. In questo senso un altro limite riscontrabile nella normativa in esame è quello di non avere previsto una responsabilità amministrativa degli enti.
Questa forma di responsabilità comprende diversi delitti tra i quali ricordiamo i reati di corruzione, concussione, schiavitù oltre ai reati associativi. Un lungo elenco che con il d.lgs 109/2012 (Attuazione della Direttiva 2009/52 che imponeva agli Stati membri di introdurre forme di responsabilità per le persone giuridiche che sfruttassero il lavoro degli stranieri irregolari) si è ulteriormente ampliato con l'inserimento del reato di cui all'art. 22, comma 12-bis,Tu Immigrazione (d.lgs. 286/1998), ossia l'impiego lavorativo di cittadini di paesi terzi con soggiorno irregolare.
Sempre in attuazione della direttiva 2009/52 è stato introdotto nella disciplina della responsabilità degli enti l'art. 25-duodecies del d.lgs. 231/2001 che prevede in relazione al reato di cui all'art. 22, comma 12-bis del Tu Immigrazione la sanzione pecuniaria da 100 a 200 quote, entro il limite di 150.000,00 euro.
Non sono, invece, previste altre sanzioni interdittive temporanee né tanto meno definitive.
È evidente che manca un collegamento tra la norma di cui all'art. 603-bis c.p. del codice penale e l'art. 22, comma 12-bis del Testo unico immigrazione.
Ferma restando la responsabilità penale delle persone fisiche, l'ente alla data odierna, non è sanzionabile nel caso in cui assuma cittadini, in regola con le norme del testo unico sull'immigrazione, tramite intermediari non autorizzati (caporali) e con le condotte di cui all'art. 603-bis c.p.
Tale limite normativo si pone, inoltre, in forte contrasto con le pene accessorie previste per il reato di cui all'art. 603-bis c.p. che prevedono, in caso di condanna per il reato in esame e limitatamente ai casi in cui lo sfruttamento lavorativo ha ad oggetto prestazioni lavorative, l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche o delle imprese nonché il divieto di concludere contratti di appalto, di fornitura di opere riguardanti la pubblica amministrazione e i relativi subcontratti (603-ter c.p.).
La mancanza di un quadro normativo omogeneo è sicuramente una delle cause della limitata efficacia repressiva dell'attuale sistema penale.
Le nuove proposte legislative: il disegno di legge approvato dal C.D.M. il 13 novembre 2015
Il 13 novembre 2015, il Consiglio dei Ministri italiano ha approvato un disegno di legge in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero in agricoltura e dello sfruttamento del lavoro in agricoltura. Le intenzioni governative sono volte ad intervenire in materia organica al fine di rafforzare le norme penali e introdurre strumenti operativi necessari a contrastare il fenomeno.
Ecco le principali novità legislative in attesa di approvazione:
nel codice penale si vuole introdurre una speciale attenuante per il delitto di sfruttamento del lavoro per colui che si sia efficacemente adoperato per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, assicurare le prove dei reati e per l'individuazione degli altri responsabili;
la confisca obbligatoria per il delitto di cui all'art. 603-bis c.p anche per equivalente;
l'arresto obbligatorio, ai sensi dell'art. 380 c.p.p., anche al delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro al fine di rafforzare gli strumenti di natura precautelare;
la responsabilità amministrativa degli enti per il delitto di cui all'art. 603-bis c.p., il nuovo art. 25-quinquies prevede un ulteriore caso di responsabilità dell'ente in tutti i casi in cui il reato sia stato commesso nel suo interesse e nel suo vantaggio;
estendere le finalità del Fondo Anti Tratta anche alle vittime del caporalato inserendo all'art. 12, comma 3, della legge 228/2003 anche l'art. 603-bis c.p., considerata la omogeneità dell'offesa e dell'aumento dei casi in cui la vittima di tratta è anche vittima di sfruttamento del lavoro.
In conclusione
La crisi economica, il numero sempre più crescente di persone immigrate, l'interessamento delle associazioni criminali hanno evidenziato la drammatica diffusione del fenomeno dello sfruttamento dei lavoratori in condizioni di bisogno e di necessità.
La Corte europea per i diritti umani ha già da tempo sottolineato che gli Stati hanno l'obbligo di porre in essere una legislazione penale che criminalizzi le pratiche del lavoro forzato ed obbligatorio e di indagare in modo efficace perseguendo e sanzionando i responsabili di tale pratiche (Corte Edu, sent. 26 luglio 2005, Siliadin c. Francia).
L'intervento legislativo appare, pertanto, urgente ed è necessario che il Parlamento approvi le modifiche alla disciplina normativa attualmente inadeguata, non soffermandosi soltanto sul sistema penale repressivo ma anche su quello sociale.
Guida all'approfondimento
Giorgio Lattanzi, Ernesto Lupo, Codice Penale – Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, Volume VII, Giuffrè Editore, aggiornamento 2015;
Alberto Di Martino, “Caporalato” e repressione penale: appunti su una correlazione (troppo) scontata, in Dir. pen. Cont. , 15 ottobre 2015;
Alberto Giuliani, I reati in materia di “caporalato”, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, Padova University Press, Giugno 2015;
Terraingiusta - Rapporto sulle condizioni di vita e di lavoro dei braccianti stranieri in agricoltura- -Medici per i diritti umani, Aprile 2015;
Rizzotto, Agromafie e Caporalato, Secondo Rapporto, Ediesse, A cura dell'Osservatorio Placido,Giugno 2014;
Piccoli Schiavi Invisibili, I volti della Tratta e dello sfruttamento, Dossier Save the Children 2014;
Salvatore Dovere, Antonio Salvati, Lavoro “nero” e irregolare- Percorsi giurisprudenziali, Giuffré Editore, 2011.
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Sommario
L'attuale assetto normativo del delitto di cui all'art. 603-bis c.p.
Assenza di coordinamento tra l'art. 603-bis c.p. e l'art. 22, comm 12-bis del Tu Immigrazione in relazione alla Responsabilità degli Enti