L’udienza non partecipata per il ricorso cautelare reale in Cassazione: una soluzione non pienamente persuasiva

08 Gennaio 2016

Non deve ritenersi azzardato affermare che il legislatore del 1988 abbia considerato il tema delle misure cautelari reali alla stregua di un figlio di un dio minore e che, come in altre situazioni, la novità introdotta con la l'ultima riforma (l. 47/2015) non sia stata accompagnata da un prodotto normativo all'altezza dei problemi che si prospettavano e soprattutto si sarebbero prospettati.
Abstract

Non deve ritenersi azzardato affermare che il legislatore del 1988 abbia considerato il tema delle misure cautelari reali alla stregua di un figlio di un dio minore e che, come in altre situazioni, la novità introdotta con

la

l'ultima riforma (l. 47/2015) non sia stata accompagnata da un prodotto normativo all'altezza dei problemi che si prospettavano e soprattutto si sarebbero prospettati.

Inoltre, in questo contesto, ha mostrato – a più riprese – significativi deficit di linearità la disciplina delle impugnazioni, come anche accentuato dalla tecnica normativa che ne ha ritagliato le previsioni sullo schema dei gravami nei confronti dei provvedimenti cautelari personali, con richiami e varianti settoriali.

Anche a non voler affrontare – in questa occasione – le tematiche relative ai presupposti delle misure nei confronti delle res e limitando il discorso alle previsioni di cui agli artt. 324 e 325 c.p.p., i punti di crisi emersi non sono stati marginali.

Il cambio di rotta delle Sezioni unite

Sono inquadrabili in questo contesto le questioni connesse, da un lato, al mancato richiamo dell'art. 583 c.p.p. nell'art. 524, comma 2, c.p.p. (Cass. pen., Sez. un., 20 dicembre 2007, n. 230) e, dall'altro, al difettoso coordinamento del comma 3 dell'art. 324 c.p.p. con il comma 5 dell'art. 309 c.p.p. (Cass. pen., Sez. un., 28 marzo 2013, n. 26268); si annunciano inoltre dubbi interpretativi in ordine al raccordo tra l'art. 324, comma 7, c.p.p. con quanto previsto dal comma 10 dell'art. 309 c.p.p.

Con la sentenza delle Sezioni unite qui considerata (Cass. pen. 51207/2015) la questione interpretativa – connessa anche al mancato richiamo al comma 5 dell'art. 311 c.p.p. da parte dell'art. 325 c.p.p. – riguarda la forma camerale che deve assumere il giudizio davanti al supremo Collegio: se debba essere partecipata o meno.

Il tema, nella sua contrapposizione, al di là di altre considerazioni “sotto traccia”, si presta a due ordini di rilievi tra loro collegati: di merito e di metodo.

Sotto il primo profilo, le Sezioni unite modificano il loro stesso orientamento precedentemente assunto (sentenze 26 aprile 1990, Serio e 6 novembre 1992, Lucchetta), ritenendo decisiva l'inoperatività dell'art. 127 c.p.p. in ragione del mancato richiamo dell'art. 311, comma 5, c.p.p. nella procedura de qua da parte dell'art. 325 c.p.p. con conseguente applicabilità di quanto previsto dal comma 1 dell'art. 611 c.p.p.

Invero, il dato non era stato rimosso dalle precedenti decisioni che, tuttavia, avevano concluso in termini diversi sulla scorta delle implicazioni di cui all'indicazione “discussione (e quindi la forma doveva essere quella partecipata) riportata nel comma 4 dell'art. 311 c.p.p., richiamato dal comma 3 dell'art. 325 c.p.p.

Sarebbe difficile negare che le due tesi abbiano argomenti a loro supporto.

Tuttavia, l'elemento di debolezza della tesi da ultimo accolta dal supremo Collegio si annida nel difficile coordinamento temporale tra quanto previsto dall'art. 611 c.p.p. e quanto previsto dal comma 4 dell'art. 311 c.p.p., richiamato dall'art. 325 c.p.p. in relazione a motivi nuovi, considerato che – stante la contestualità dei motivi (principali) con l'atto di gravame – questi potrebbero essere significativi.

Se la Corte supera – con una certa disinvoltura – la possibile mancanza di contraddittorio (scritto) con la parte pubblica, il discorso appare più complesso nel caso in cui i motivi nuovi siano prodotti dalla procura generale e si leda il contraddittorio della difesa. Profilo di cui le Sezioni unite sembrano dimenticarsi.

Sotto il profilo del metodo, la vicenda evidenzia una questione già prospettatasi nel rapporto tra Sezioni semplici e Sezioni unite.

Se è certamente da assicurare l'evoluzione degli orientamenti giurisprudenziali – e in tal senso si orienta anche la riforma Orlando in discussione in Parlamento – occorre evitare che il maturare di posizioni e orientamenti mettano in discussione (come accaduto con Cass. pen., Sez. unite, 31 maggio 2000, n. 5, Piscopo) solidi orientamenti propri del ruolo evolutivo – e non creativo – della Cassazione.

In conclusione

È auspicabile che la vicenda, superando la contingenza, induca il legislatore a riconsiderare la disciplina dei gravami delle misure cautelari reali, separandola – se del caso – da quella della materia probatoria.

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