Praticabilità della remissione della querela nei delitti di maltrattamenti e di atti persecutori

08 Marzo 2016

Come comportarsi nel caso in cui la parte lesa dei delitti di maltrattamenti o di atti persecutori decida di rimettere la querela, in relazione alle ipotesi di procedibilità di ufficio dei reati ed alla possibilità per la remittente di incorrere in eventuali rischi di contestazione per il più grave delitto di calunnia? Occorre preliminarmente osservare come le due fattispecie di reato richiamate abbiano dei differenti regimi di procedibilità atteso che, mentre per il reato di maltrattamenti la procedibilità è sempre d'ufficio, per il delitto di atti persecutori esiste un regime limitato di procedibilità a querela.

Come comportarsi nel caso in cui la parte lesa dei delitti di maltrattamenti o di atti persecutori decida di rimettere la querela, in relazione alle ipotesi di procedibilità di ufficio dei reati ed alla possibilità per la remittente di incorrere in eventuali rischi di contestazione per il più grave delitto di calunnia?

Occorre preliminarmente osservare come le due fattispecie di reato richiamate – art. 572 c.p., Maltrattamenti contro familiari e conviventi e art. 612-bis c.p., Atti persecutori – abbiano dei differenti regimi di procedibilità atteso che mentre per il reato di maltrattamenti la procedibilità è sempre d'ufficio, e quindi diventa irrilevante la volontà o meno della denunciante di proseguire nell'iniziativa penale, per il delitto di atti persecutori esiste un regime limitato di procedibilità a querela rimettibile, soltanto in forma processuale e quindi attraverso un controllo di effettiva volontà della parte lesa da esercitarsi nell'ambito del procedimento, qualora il fatto non sia commesso contro un minore o con una persona affetta da disabilità, non sia connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio – per esempio lesioni personali con una malattia di durata superiore a venti giorni – ovvero la condotta non si sia realizzata attraverso una forma di minaccia reiterata aggravata ai sensi dell'art. 612, comma 2, c.p.

Nell'esperienza giudiziaria, con specifico riferimento al delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi, soltanto qualora la parte lesa abbia una reale, quindi non indotta, volontà di rinunciare alla pretesa punitiva (perché, per esempio, non sussiste più alcun pericolo per la personale incolumità, perché l'agente violento ha preso effettiva consapevolezza del disvalore giuridico delle condotte violente e quindi viene meno un rischio di reiterazione del comportamento sulla querelante o su altre potenziali vittime, soltanto in presenza di maltrattamenti di bassa intensità o durata realizzati senza la presenza di minori) è possibile rappresentare nel procedimento tali condizioni chiedendo al giudice che la fattispecie ex art. 572 c.p. – la quale ha natura di reato abituale e come tale presuppone la consumazione di diversi atti di aggressione, anche non costituenti di per sé reato, protratti nel tempo con un dolo generico ma omogeneo sul piano della rappresentazione di un disegno di sopraffazione unitario – possa essere riqualificata, privandola appunto del collante della abitualità, nel senso di una violazione di più reati procedibili a querela di parte (artt. 612, 581, 595 o altri c.p.) unificati fra di loro dal vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. c.p. con la conseguenza che, trattandosi di una fattispecie complessivamente divenuta procedibile a querela di parte, l'intervenuta remissione di querela, accettata dall'indagato, paralizzerà lo sviluppo dell'azione penale. In un simile caso, non negando la parte lesa i fatti storici denunciati ma operandosi l'interpretazione soltanto sull'intensità temporale della condotta, nessun rischio di calunnia potrebbe esserle prospettato.

Quanto alle fattispecie di atti persecutori procedibili d'ufficio, l'intervento sul procedimento penale appare maggiormente complesso perché non si tratta di riqualificare un comportamento oggettivamente inesistente ma di intervenire sul singolo segmento dell'intera fattispecie che rende il reato procedibile d'ufficio, circostanza questa che comporta necessariamente una rimeditazione sul piano delle dichiarazioni rese. Invero se in sede di querela la parte lesa ha rappresentato di essere stata minacciata dal suo stalker con un'arma, ipotesi di condotta questa che opera sulla procedibilità officiosa, per annullare tale elemento occorrerà una nuova dichiarazione che tenda quantomeno a ridimensionare il fatto con un evidente scivolamento in un rischio o di una affermazione geneticamente calunniosa o comunque di un'affermazione successivamente mendace.

Sulla base di queste coordinate giuridiche di intervento occorre sempre fare riferimento al buon senso interpretativo che può intervenire soltanto qualora l'Autorità giudiziaria sia messa nella concreta condizione di conoscere e di apprezzare la reale e libera volontà della parte lesa; l'assenza di ogni situazione di rischio o pericolo; la presenza di atti riparatori da parte dell'aggressore; la presa di coscienza dell'antigiuridicità della condotta da parte dell'agente e quindi la conseguente assenza di un rischio di recidiva.

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