La retroattività della confisca di prevenzione

08 Luglio 2015

La sentenza delle Sezioni Unite penali della Cassazione 26 giugno 2015, n. 4880 ha delineato lo “Statuto” della confisca di prevenzione, enucleando alcuni principi fondanti di questo istituto: la natura giuridica, la retroattività, la correlazione temporale tra acquisizione del bene e manifestazione della pericolosità, l'onere probatorio. L'Autore esamina il tema della retroattività della confisca di prevenzione, i rilevanti effetti sull'operatività dell'istituto e le problematiche applicative ancora oggi esistenti.
Abstract

La sentenza delle Sezioni Unite penali della

Cassazione

26 giugno 2015,

n. 4880

ha delineato lo “Statuto” della confisca di prevenzione, enucleando alcuni principi fondanti di questo istituto: la natura giuridica, la retroattività, la correlazione temporale tra acquisizione del bene e manifestazione della pericolosità, l'onere probatorio. L'Autore esamina il tema della retroattività della confisca di prevenzione, i rilevanti effetti sull'operatività dell'istituto e le problematiche applicative ancora oggi esistenti.

La retroattività della confisca di prevenzione

Per le misure di prevenzione personali, la cui applicabilità costituisce il presupposto per l'irrogazione delle misure di prevenzione patrimoniali (sequestro e confisca), non è invocabile il principio d'irretroattività della legge penale, previsto dagli artt. 7 della Cedu, art. 25 della Costituzione e art. 2 c.p., giacché le norme si uniformano non già ai principi che riguardano le pene, bensì a quelli concernenti le misure di sicurezza. Per la costante giurisprudenza devono intendersi “regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione” in base al disposto dell'art. 200 c.p. Tale principio trova fondamento nella natura e funzione delle misure di prevenzione applicate non quale diretta conseguenza di un determinato fatto (come accade per i reati), bensì per l'intera condotta di vita del soggetto tale da fare desumere una pericolosità sociale; poiché proprio a questa pericolosità in atto anche la legge eventualmente sopravveniente intende porre rimedio, ne consegue l'applicabilità della disciplina prevista dalla norma in vigore nel momento in cui la misura viene concretamente irrogata (Cass. pen., Sez. VI, 20 gennaio 2010, n. 11006).

Analogo principio è stato espresso dalla giurisprudenza – a lungo – per le misure di prevenzione patrimoniali, a partire dall'entrata in vigore della l. 646/1982 che, modificando la l. 575/1965, introduceva la confisca di prevenzione nei confronti degli indiziati di appartenenza ad associazione di tipo mafioso (cd. pericolosi qualificati). La giurisprudenza afferma, da subito, l'assoggettabilità a confisca anche di beni acquistati anteriormente all'entrata in vigore della citata l. 646/1982 per la ritenuta assimilazione delle misure di prevenzione patrimoniali alle misure di sicurezza, con la conseguente applicabilità dell'art. 200 c.p., riferibile anche alle misure di sicurezza patrimoniali, in forza del richiamo contenuto nell'art. 236, comma 2, c.p. (Cass. pen. n. 423/1987).

La rilevanza della retroattività

Il principio ora descritto, confermato dalle Sezioni Unite (3 luglio 1996, n. 18) – pur quando riconduce la confisca di prevenzione in un tertium genus costituito da una sanzione amministrativa, equiparabile, quanto al contenuto e agli effetti, alla misura di sicurezza – viene costantemente ribadito nel corso della progressiva estensione dell'ambito della confisca (Cass. pen., Sez. I, 14 maggio 2009, n. 26751; Cass. pen. Sez. V, 8 giugno 2011, n. 26044).

In definitiva il principio di retroattività assume sempre maggior rilievo perché nel tempo vi è stato un costante ampliamento della confisca di prevenzione, originariamente prevista nei confronti dei meri indiziati di appartenenza ad associazione mafiosa (l. 64/1982, cit.) e solo nel caso di applicazione della misura personale (c.d. principio di accessorietà).

Questo, in sintesi, le disposizioni che hanno ampliato l'operatività dell'istituto:

  • art. 19, l. 55/1990 e succ. mod., con estensione ai cd. pericolosi generici previsti dalla l. 1423/1956, art. 1, comma 1, nn. 1) e 2), che vivono del provento di determinati reati progressivamente ampliati nel tempo;
  • d.l. 92/2008, conv. dalla l. 125/2008 attraverso un triplice intervento:
    • a) equiparazione agli indiziati di mafia degli indiziati dei delitti previsti dall'art. 51, comma 3-bis, c.p.;
    • b) estensione della confisca a “tutti” i c.d. pericolosi generici previsti dall'art. 1, comma 1, nn. 1) e 2), l. 1423/1956;
    • c) introduzione del principio di applicazione disgiunta della confisca, con irrogabilità della confisca anche quando la misura personale non può essere applicata per diverse ragioni (morte del proposto, mancanza di attualità della pericolosità sociale, ecc.);
  • l. 94/2009 con equiparazione agli indiziati di mafia (e dei delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis, c.p.) degli indiziati del delitto di intestazione fittizia di cui all'art. 12-quinquies d.l. 306/1992, conv. dalla l. 356/1992;
  • d.lgs. 159/2011 che, oltre a procedere alla ricognizione delle disposizioni ora citate e dell'intera normativa delle misure di prevenzione, ha portato a compimento la piena equiparazione dell'applicabilità delle misure personali e patrimoniali. Ai sensi dell'art. 17, d.lgs. 159/2011 in ogni caso in cui è applicabile la misura personale può procedersi a sequestro e confisca, con automatica “estensione” quando il legislatore introduce nuove categorie di pericolosità, come avvenuto recentemente col d.l. 7/2015, conv. dalla l. 47/2015 (decreto antiterrorismo), che ha inserito (all'art. 4, lett. d), d.lgs. cit.) i potenziali c.d. foreign fighters.

Il principio di applicazione della legge in vigore nel momento della decisione ha prodotto una particolare “efficacia” della confisca di prevenzione, consentendo l'ablazione di consistenti patrimoni acquisiti anche quando la misura personale e/o patrimoniale non era prevista in quell'epoca. Si pensi, in particolare, ai patrimoni confiscati a partire dal 1982, pur se acquisiti precedentemente quando non esisteva nell'ordinamento la confisca di prevenzione, così come ai beni sequestrati/confiscati dal 2008 ma acquisiti precedentemente all'introduzione del principio di applicazione disgiunta e all'estensione dell'area delle misure patrimoniali. A solo titolo esemplificativo, dalla relazione redatta dal Ministero della giustizia presentata al Parlamento ai sensi dell'art. 49, d.lgs. 159/2011 risultano presenti nella banca dati dei beni proposti in materia di misura di prevenzione, alla data del febbraio 2015, oltre 139.000 beni (beni finanziari, mobili, immobili e aziende), di cui oltre 77.000 inseriti neghi ultimi 5 anni.

Il recente dibattito

La dottrina ha sollecitato una rivalutazione dell'orientamento della giurisprudenza proponendo la natura sanzionatoria della confisca di prevenzione, con la conseguente applicabilità del principio di irretroattività proprio della legge penale.

La tesi è stata (parzialmente) accolta dalla Corte di cassazione che ha proposto la natura sanzionatoria (almeno della confisca disgiunta) in quanto non è ragionevole applicare alla confisca le leggi entrate in vigore “quando della stessa pericolosità pregressa già non vi era più traccia” (Cass. pen., Sez. III, 9 gennaio 2013, n. 10404). Secondo la Corte dalla riforma del 2008 è senz'altro possibile disporre una misura di prevenzione patrimoniale pure in difetto del presupposto di un'attuale pericolosità sociale del soggetto; tuttavia, laddove quel presupposto manchi, la norma non potrà che regolare fattispecie realizzatesi dopo l'entrata in vigore della stessa, non trovando applicazione il disposto dell'art. 200 c.p. (la cui operatività si fonda invece su un accertamento di pericolosità in atto) ma la generale previsione di cui all'art. 11 preleggi.

L'orientamento ora esposto è stato più volte disatteso motivatamente in altre sentenze della Corte di cassazione con cui è stata riaffermata l'applicabilità delle disposizioni sulle misure di sicurezza patrimoniali (artt. 200 e 236 c.p.), sia confermando la natura giuridica della confisca di prevenzione quale tertium genus (Cass. pen., Sez. I, 17 maggio 2013 n. 39204), sia delineando condivisibilmente la natura preventiva (Cass. pen., sez. I, 8 ottobre 2013, n. 48882), infine evocando la giurisprudenza della Corte Edu (Cass. pen., Sez. I, 17 gennaio 2014, n. 16729).

In dottrina, in contrasto con le tesi sulla natura sanzionatoria e l'irretroattività dell'istituto, si è proposta la natura preventiva della confisca e la necessità di superare la configurazione come tertium genus (delineata dalle Sezioni unite del 1996 per consentire l'ablazione dei beni pur nel caso di morte del proposto dopo l'accertamento della pericolosità, quando non vigeva il principio di applicazione disgiunta). Si è sottolineato che dalla natura preventiva della confisca deriva l'inapplicabilità del principio d'irretroattività, riferibile alle sanzioni, e il necessario riferimento al principio esposto dal più volte citato art. 200 c.p. (richiamato dall'art. 236 c.p.), relativo alle misure di sicurezza, l'unica disposizione cui potersi fare riferimento in presenza di un istituto comunque assimilabile (per la funzione preventiva) alle misure di sicurezza disciplinate dal codice penale e richiamate dalla Costituzione (art. 25, comma 3, Cost.). È la natura dell'istituto che impone l'applicabilità della legge in vigore dovendo essere “eliminato” dal mercato il bene illecitamente acquisito: così come nel caso di persona pericolosa si applica la legge in vigore nel momento dell'adozione del provvedimento, dovendo intervenirsi sulla pericolosità in atto in quel momento (per cui, a ben vedere, neanche si pone un problema di retroattività), nel caso di “pericolosità del bene”, ovvero di bene acquistato illecitamente, il carattere permanente dell'illiceità impone l'applicazione della legge in vigore nel momento in cui si interviene con la confisca, “eliminando la pericolosità” attraverso l'ablazione in favore dello Stato e la sua sottrazione dal mercato.

L'intervento delle Sezioni unite

Rimessa la questione alle Sezioni unite (Cass. pen., Sez. un, 26 giugno 2014, n. 4880) il massimo consesso di legittimità ha risolto il contrasto affermando la natura preventiva della confisca e, dunque, l'applicabilità delle norme sulle misure di sicurezza (legge in vigore al momento della confisca).

Le Sezioni unite delineano un vero e proprio Statuto della confisca, individuando il “dato essenziale” per cui dall'individuazione della natura giuridica dell'istituto discendono plurime conseguenze di ordine logico-sistematico, a partire dall'applicabilità del principio d'irretroattività, proseguendo con la correlazione temporale tra acquisizione del bene e manifestazione della pericolosità, fino alla descrizione dell'onere probatorio o di allegazione gravante sulle parti.

La Corte afferma in modo univoco la natura preventiva della confisca volta a “sottrarre i patrimoni illecitamente accumulati alla disponibilità di determinati soggetti, che non possano dimostrarne la legittima provenienza”, in piena sintonia con le pronunce della Corte europea e coglie l'importanza dell'introduzione del principio di applicazione disgiunta che “esaltata la funzione preventiva” della misura patrimoniale “nel senso che, in tanto può essere aggredito un determinato bene, in quanto chi l'abbia acquistato fosse, al momento dell'acquisto, soggetto pericoloso”; ne consegue “che la pericolosità sociale del soggetto acquirente si riverbera … sul bene acquistato … (restando, così affetto da illiceità per così dire genetica o, come si è detto in dottrina, da "patologia ontologica") ...”.

Dalla natura preventiva discende l'applicabilità delle disposizioni delle misure di sicurezza: “Se allora le novelle legislative non hanno inciso sulla tradizionale fisionomia della confisca di prevenzione, così come configurata dalla giurisprudenza e dalla prevalente dottrina, è logico inferire che non v'è ragione di dubitare della persistente assimilabilità della misura di prevenzione patrimoniale alle misure di sicurezza e, dunque, della ritenuta applicabilità alla prima della previsione di cui all'art. 200 c.p. Esclusa la natura sanzionatoria, non può dunque trovare applicazione, in subiecta materia, il principio di irretroattività di cui all'art. 2 c.p.”.

I successivi orientamenti giurisprudenziali

La Corte di cassazione si è costantemente adeguata al principio affermato dalle Sezioni unite sull'applicabilità della legge in vigore nel momento della decisione (Cass. pen., Sez. V, 23 febbraio 2015, n. 24007; Cass. pen., Sez. I, 10 febbraio 2015, n. 24712).

Va segnalato un recente indirizzo con cui si è individuata la “legge in vigore al momento della decisione” nel caso di modifiche normative intervenute dopo la decisione di primo grado.

Secondo la Corte il richiamo dell'art. 200 c.p., per cui le misure di sicurezza devono essere regolate "dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione", comporta che il riconoscimento della relatività del principio di retroattività debba necessariamente confrontarsi con lo stato del procedimento applicativo della misura di prevenzione patrimoniale, da individuarsi con il decreto di confisca di primo grado, che una volta emesso determina il regime legale di riferimento. “Così inteso il principio di retroattività consente di fare applicazione delle nuove disposizioni normative introdotte dalle novelle del 2008 e 2009 sicuramente dopo la commissione dei fatti che fondano il giudizio di pericolosità e anche successivamente all'inizio della procedura di prevenzione, ma non oltre l'applicazione della misura che, come si è detto, coincide con il provvedimento assunto dal tribunale in primo grado” (Cass. pen., Sez. VI, 5 febbraio 2015, n. 21491).

Il ragionamento della Corte non convince perché procede a una non condivisibile assimilazione di principi propri del diritto penale con le misure di prevenzione. In questa materia il riferimento al decreto di primo grado riguarda, per giurisprudenza costante, la valutazione nel giudizio di appello del requisito dell'attualità della pericolosità sociale, ragion per cui “la legge in vigore al tempo della loro applicazione” non può che essere riferito al provvedimento irrevocabile, pur retroagendo gli effetti della confisca al momento del sequestro, operando i principi in materia di successione di leggi nel tempo.

Conferma di questa conclusione si trae dalla giurisprudenza di legittimità che valorizza la necessità di un persistente giudizio sulla natura ed entità della pericolosità del soggetto, presupposto fondante dell'applicabilità della misura personale, con una duplice conseguenza:

a) se l'attualità della pericolosità sociale viene meno nel corso del procedimento di appello o di cassazione può essere presentata istanza di revoca della misura ai sensi dell'art. 11, comma 2., d.lgs. 159/2011 (Cass. pen., Sez. V, 17 marzo 2000, n. 1520);

b) se vi è incremento della pericolosità è consentita istanza di aggravamento ex art. 11, comma 2, d.lgs. 159/2011, la cui competenza è attribuita al giudice d'appello (Cass. pen., Sez. I, 28 aprile 2010, n. 18742). Sulla stessa linea si pone la giurisprudenza secondo cui in tema di procedimento di prevenzione – poiché opera il principio dell'attualità della pericolosità del proposto – non è precluso al giudice di appello di esaminare di ufficio se siano sopravvenuti alla decisione di primo grado elementi che inducano tanto a ritenere un'attenuazione della pericolosità quanto un suo aggravamento (Cass. pen., Sez. I, 30 gennaio 2013, n. 19995).

Retroattività e Cedu

L'inapplicabilità del principio di irretroattività per la confisca di prevenzione non trova ostacoli nella Cedu.

Per le misure personali, come si è ricordato presupposto di quelle patrimoniali, la Corte Edu ne afferma la natura preventiva, perciò, non sono soggette “direttamente” ai principi propri delle sanzioni penali, individuate secondo una concezione “sostanzialistica” contenuti nell'art. 7 della Convenzione (Corte europea diritti dell'uomo, 4 novembre 2007, Paleari c. Italia; 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza c. Italia; 5 gennaio 2010, Bongiorno c. Italia).

Per la Corte europea la confisca di prevenzione, disciplinata dall'art. 1 del protocollo addizionale n. 1 e non dall'art. 7 della Convenzione, ha una funzione e una natura ben distinte rispetto alla sanzione penale; mentre quest'ultima tende a sanzionare la violazione di una norma penale, ed è subordinata all'accertamento di un reato e della colpevolezza dell'imputato, la misura di prevenzione non presuppone un reato e tende a prevenirne la commissione da parte di soggetti ritenuti pericolosi (Commissione, 15 aprile 1991, Marandino c. Italia; Corte europea diritti dell'uomo, 22 febbraio 1994, Raimondo c. Italia; 15 giugno 1999, Prisco c. Italia).

Con specifico riferimento all'inapplicabilità del principio d'irretroattività alla confisca di prevenzione appare esaustiva la lettura della decisione d'inammissibilità della Commissione del 15 aprile 91, Marandino c. Italia in cui il ricorrente lamentava la confisca di beni acquistati prima dell'entrata in vigore della l. 646/1982 con cui era stata introdotta nell'ordinamento la confisca di prevenzione: “Infine, la Commissione osserva che l'argomento secondo cui il bene confiscato era stato acquisito prima dell'introduzione della misura in questione è del tutto valido, tenuto conto del fatto che la Corte di appello di Salerno ha ritenuto che ciascuno dei beni in questione era stato acquisito irregolarmente e che il ricorrente possa utilizzarli per scopi illeciti in danno della società; ciò è consentito visto il margine di discrezionalità di cui godono gli Stati quando controllano l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale, particolarmente nel contesto di una politica diretta a contrastare la criminalità grave, la Commissione conclude che l'interferenza con i diritti del ricorrente al rispetto dei suoi beni non era sproporzionato rispetto allo scopo legittimo perseguito”.

In conclusione

Il dibattito dottrinario e giurisprudenziale di cui si è dato conto dimostra quanto la confisca di prevenzione sia divenuto un istituto che necessita di un'adeguata ricostruzione dogmatica diretta a “sistematizzare” una materia di origine recente, troppo spesso “piegata” dal legislatore ad esigenze di mera efficacia.

Solo un'adeguata riflessione, con l'enucleazione di principi di carattere generale in conformità ai principi della Cedu e della Costituzione, può consentire alle misure di prevenzione patrimoniali di perseguire la ratio, che bene è stata individuata dalle Sezioni unite, in un intervento, mai disgiunto dal pieno rispetto delle garanzie e del contraddittorio, diretto ad eliminare dal circuito economico (con ablazione in favore dello Stato) i beni acquisiti da persona pericolosa e, perciò, geneticamente illeciti.

Guida all'approfondimento

In dottrina sul tema:

Fiandaca, voce Misure di prevenzione (profili sostanziali), in Dig. delle Disc. Pen., vol. VIII, Torino 1994, 123;

Fornari, Criminalità del profitto e tecniche sanzionatorie. Confisca e sanzioni pecuniarie nel diritto penale moderno, Padova 1997, 69 ss., 237 ss.;

Maiello, Confisca, CEDU e Diritto dell'Unione tra questioni risolte ed altre ancora aperte, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 3-4, 2012;

Maugeri, Le moderne sanzioni patrimoniali tra funzionalità e garantismo, Milano, 2001, 530 ss.;

Id , La resa dei conti: alle Sezioni Unite la questione sulla natura della confisca antimafia e sull'applicazione del principio di irretroattività, in www.penalecontemporaneo.it, 7 febbraio 2014;

Menditto, Le misure di prevenzione personali e patrimoniali. La confisca ex art. 12-sexies l. n. 356/92, Milano, 2012, pag. 49 ss., 349 ss.;

Id. Le sezioni unite verso lo “statuto” della confisca di prevenzione: la natura giuridica, la retroattività e la correlazione temporale, in www.penalecontemporaneo.it, 26 maggio 2014.

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