La tutela dell'infanzia prevale sulle esigenze cautelari

Redazione Scientifica
02 Settembre 2015

Il caso sottoposto all'esame dei giudici di cassazione riguarda la richiesta da parte di soggetto sottoposto a custodia cautelare carceraria di revoca della misura ovvero, in subordine, di sostituzione con misura meno afflittiva in ragione della necessità di prestare assistenza alla figlia di anni 4.

Il caso sottoposto all'esame dei giudici di cassazione riguarda la richiesta da parte di soggetto sottoposto a custodia cautelare carceraria di revoca della misura ovvero, in subordine, di sostituzione con misura meno afflittiva in ragione della necessità di prestare assistenza alla figlia di anni 4.

Tale richiesta era stata rifiutata dal Tribunale di Reggio Calabria, in funzione di giudice d'appello cautelare de libertate, in quanto riteneva sussistere il pericolo di reiterazione del reato.

Con il ricorso l'imputato deduce una errata valutazione in merito alla sussistenza delle esigenze cautelari; nonché un superficiale esame sia delle condizioni psico-fisiche della madre (ragione alla base della richiesta di revoca della misura intramuraria) sia della perizia presentata dal medico sulle condizioni di salute della madre.

I giudici della Sesta sezione penale ritengono meritevoli di tutela entrambi i motivi e sanciscono il principio secondo cui, in sede di bilanciamento degli interessi, da effettuare ai fini della scelta della misura cautelare, deve prevalere la tutela dell'infanzia, riconosciuta dalla Carta costituzionale (artt. 2 e 31) quale fondamentale diritto della persona, rispetto alle esigenze processuali, salvo la presenza di elementi tali da consentire al giudice di formulare una prognosi di “sostanziale certezza che l'indagato, se sottoposto a misure di carattere extramurale, continuerebbe a commettere reati”.

Pertanto la disciplina contenuta nel comma 4 dell'art. 275 c.p.p., che permette la possibilità di ovviare alla misura carceraria ritenuta necessaria con altra misura cautelare meno afflittiva qualora l'imputato sia padre di prole non superiore ai sei anni e la madre sia deceduta ovvero assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, si impone anche rispetto a quelle ipotesi contemplate al terzo comma per le quali la necessità della custodia in carcere è presunta fino a prova contraria.

Con riferimento all'errata valutazione delle esigenze cautelari, dedotta dal ricorrente, i giudici affermano, come ormai consolidato anche dalla Corte costituzionale (da ultimo n. 110/2012), che tali esigenze devono essere incontrovertibilmente specifiche, concrete e attuali e tali elementi devono sussistere per tutta la durata della misura, pertanto non può ammettersi in sede di riesame sulla correttezza dell'ordinanza una valutazione che si limiti a ribadire quanto già contenuto nell'ordinanza stessa come avvenuto nel caso di specie dove si è semplicemente ribadito il pericolo di reiterazione.

Infine, in merito alla valutazione dell'assoluta impossibilità della madre a dare assistenza alla figlia, i giudici di legittimità concordano con quanto sostenuto dal ricorrente. Tale valutazione risulta infatti essere un'adesione passiva e acritica della perizia medica (nella quale si confermava la fase di remissione della malattia della donna) senza però tenere in considerazione la situazione concreta nella sua interezza e la compromessa condizione psicologica della donna. Chiariscono sul punto i giudici che il giudice non può far assumere alla perizia la funzione di prova legale, limitandosi a riportarla integralmente.

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