Ingiusta detenzione. Le “cattive compagnie” sono causa ostativa all'indennizzo per l'innocente
09 Febbraio 2017
È causa ostativa all'indennizzo di riparazione per ingiusta detenzione la condotta tenuta dal richiedente – sia prima sia dopo la perdita della libertà personale e indipendentemente dall'eventuale conoscenza di questi dell'inizio delle indagini – che, pur non integrando gli estremi del reato contestato, abbia ingenerato la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale dando luogo alla detenzione come rapporto di causa-effetto. Con queste ragioni, la Corte di cassazione (sentenza n. 4723/2017) ha rigettato il ricorso presentato contro l'ordinanza con cui la Corte d'appello di Bologna non ha accolto l'istanza di riparazione per l'ingiusta detenzione subita dal ricorrente in relazione al procedimento a suo carico per il reato di detenzione e porto abusivo di una pistola; per tale reato era stata pronunciata sentenza assolutoria perché il fatto non sussiste divenuta irrevocabile. La decisione del giudice di seconde cure si è fondata sulla circostanza che il ricorrente avesse mantenuto rapporti di amicizia con persona pregiudicata e coinvolta nel traffico di stupefacenti e affiliato al clan mafioso di San Cataldo, comportamento questo da valutarsi come gravemente colposo e idoneo ad integrare nell'autorità procedente l'erroneo convincimento circo il coinvolgimento del soggetto indagato nell'attività delittuosa. Nell'aderire alla decisione della Corte d'appello, la Cassazione chiarisce che il giudice di merito, per valutare se chi ha patito ingiusta detenzione vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazioni di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. |