L’avvocato e l’interesse dell’assistito nelle situazioni di conflitto

09 Marzo 2016

L'indipendenza è l'elemento caratterizzante la funzione dell'avvocato e tradizionalmente viene declinata come libertà nell'interesse dell'assistito in una prospettiva che qualifica l'esercizio del mandato difensivo. La professione si evolve però verso un modello “imprenditoriale” che “qualifica” come “servizio” la prestazione professionale. Si tratta di una pericolosa deriva che rischia di snaturare la funzione e impone la verifica delle regole deontologiche con particolare riferimento all'indipendenza del penalista.
Abstract

L'indipendenza è l'elemento caratterizzante la funzione dell'avvocato e tradizionalmente viene declinata come libertà nell'interesse dell'assistito in una prospettiva che qualifica l'esercizio del mandato difensivo.

In questo lavoro proveremo a delineare il dovere di indipendenza dell'avvocato sia in chiave tradizionale sia attualizzandone la portata.

L'avvocato dev'essere indipendente e affrancato da ogni condizionamento per tutelare i diritti che è chiamato – advocatus – a rappresentare.

La professione si evolve però verso un modello “imprenditoriale” che “qualifica” come “servizio” la prestazione professionale. Si tratta di una pericolosa deriva che rischia di snaturare la funzione e impone la verifica delle regole deontologiche con particolare riferimento all'indipendenza del penalista.

L'indipendenza e la difesa

L'avvocato giura di adempiere ai suoi doveri professionali nell'interesse della parte assistita.

L'indipendenza è il presupposto della effettiva inviolabilità del diritto di difesa. Tanto più in ambito penale, nel quale l'avvocato difende la libertà (dell'assistito) con la libertà (di difendere).

In corollario, il codice di procedura detta una serie garanzie della funzione all'art. 103 c.p.p.:

  • le ispezioni e le perquisizioni presso lo studio professionale sono espressamente regolamentate;
  • è previsto il divieto di sequestro di carte o documenti, oltre che della corrispondenza riservata;
  • è disciplinato il divieto di intercettazioni delle conversazioni e delle comunicazioni con l'assistito.

Il codice penale (art. 598 c.p.) scrimina le offese pronunciate dal difensore negli scritti e nei discorsi pronunciati dinanzi all'autorità giudiziaria.

Ovviamente si tratta di garanzie funzionali e non di guarentigie individuali e, tutte, sono declinate per assicurare la effettività della difesa.

Il contrappeso è dunque costituito dall'obbligo, questa volta in capo al difensore, di mantenere la sua condizione di indipendenza e di evitare conflitti d'interesse con la parte assistita.

In generale il dovere di indipendenza è “declinato” in chiave “economica” come dovere di evitare incompatibilità (art. 6 cod. deontologico): si pone l'accento sulle funzioni e sui ruoli che, in via presuntiva, impediscono l'autonomia del difensore ed espongono al pericolo che la funzione venga percepita come interessata ad altro anziché come svolta nell'esclusivo interesse dell'assistito.

Naturalmente per il penalista valgono le medesime regole di incompatibilità previste per ogni altro avvocato ma la peculiarità della funzione ne aggiunge altre.

Innanzitutto vi sono le situazioni di incompatibilità disciplinate dall'art. 106 c.p.p. e dall'art. 49 cod. deontologico nel caso di posizioni difensive in conflitto nello stesso processo.

Il più delle volte le incompatibilità sono difficilmente definibili in termini generali ed astratti e la “soluzione” del conflitto viene “affidata” alla sensibilità del singolo professionista o rilevata dall'autorità giudiziaria (comma 2) e da questa rimossa (comma 3).

L'unico caso espressamente codificato, al comma 4-bis dell'art. 106 c.p.p., è quello relativo all'evidente incompatibilità che si crea in capo al medesimo difensore officiato della difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni a carico dell'altro imputato nel medesimo procedimento o in procedimenti connessi o collegati.

La gamma delle incompatibilità deve però essere intesa in senso ampio fino a ricomprendere quelle situazioni che potremmo definire di non opportunità. Vengono in rilievo tutti i casi in cui la difesa sia potenzialmente idonea a limitare le ragioni di un assistito a “vantaggio” di un altro assistito. Anche in questi casi, ovviamente, sarà dovere dell'avvocato rinunciare al mandato perché la libera difesa di una parte non abbia a subire ingiustificabili sacrifici.

Le ipotesi di inopportunità non sono ovviamente “codificabili” ma sono possibili alcuni esempi che impongono la rinuncia o la non accettazione del mandato:

  • non è opportuno che il difensore della parte civile (i familiari in un processo di omicidio) assuma la difesa (in un altro processo) dell'imprenditore che, in qualità di datore di lavoro, assicura le spese di assistenza legale dell'imputato nel processo di omicidio;
  • non è opportuno che il difensore dell'imputato, sindaco di un comune, assuma la difesa dell'ente quale parte civile in un altro processo;
  • non è, ancora, opportuno che il difensore del proposto per la misura personale prevista dal codice antimafia assuma la difesa penale dell'amministratore giudiziario delle società del proposto in una diversa vicenda processuale.

Gli esempi accennati trovano agevole soluzione nell'etica dell'avvocato: si dovrà sacrificare la visibilità e la rimuneratività derivanti dall'incarico anche per garantire il decoro della professione affinché non risulti, neppure in apparenza, limitata la libertà che ne contraddistingue l'esercizio. Siamo quindi in un campo più ampio di quello dell'indipendenza nel quale la libertà della funzione costituisce il corollario delle prerogative di assistenza della parte; nelle ipotesi di inopportunità rileva invece, e più in generale, la “percezione sociale” della professione.

L'art. 24 del cod. deontologico codifica numerose ipotesi di potenziale conflitto d'interessi in presenza delle quali è fatto obbligo all'avvocato di non accettare o di rinunciare al mandato:

  • il conflitto c.d. vero e proprio (comma 1), a sua volta distinto nel contrasto tra gli interessi della parte assistita e del cliente (il soggetto che corrisponde l'onorario) o con l'interferenza nello svolgimento dell'incarico;
  • la libertà defensionale, per la quale rilevano tutte le situazioni da “traffico di influenze” intese in senso lato (comma 2);
  • il vantaggio derivante dal “riutilizzo” di informazioni riservate (comma 3), a garanzia del segreto professionale.

Su quest'ultimo punto, deve osservarsi che l'avvocato deve rivendicare a sé la libertà della sua funzione. Davanti al rischio che la nomina, anziché fiduciaria, sia strumentale alla divulgazione di informazioni apprese nello svolgimento di altro incarico, dovrà opporre un fiero rifiuto e, se del caso, rinunciare al mandato.

Le situazioni di incompatibilità sono personali ma anche “ambientali” e coinvolgono lo “studio professionale”; il conflitto ricorre anche nell'ipotesi di assistenza di diversi interessi da parte di avvocati che esercitano nel medesimo studio (il conflitto è presunto), a nulla rilevando che tra i due professionisti non vi sia cointeressenza associativa (il concetto di stesso studio s'intende riferito ai medesimi locali).

L'indipendenza del penalista: libertà per l'assistito e libertà dall'assistito

Nello stato di diritto all'avvocato è attribuito il ruolo di presidio delle garanzie di difesa del cittadino.

Tutti i codici deontologici europei individuano nell'indipendenza l'elemento qualificante la funzione dell'avvocato.

Un'indipendenza che ha almeno una duplice declinazione: a) per l'assistito; b) dall'assistito.

Del primo profilo (indipendenza per l'assistito) ci siamo già occupati con riferimento alle prerogative della funzione.

Venendo all'indipendenza dall'assistito assumono rilievo tutte quelle situazioni che non integrano delle incompatibilità né delle inopportunità ma, se non evitate, rischiano di dequalificare il mandato defensionale.

Facciamo riferimento, in particolare, a tutti i casi che il codice deontologico disciplina in termini generali ed astratti come dovere dell'avvocato di conservare la propria indipendenza e difendere la propria libertà.

Rientrano nelle situazioni conflittuali tutte le divergenze che attengono alla non coincidenza degli interessi dell'assistito con quelli del cliente.

In genere le due figure coincidono. Ma vi sono casi in cui divergono. Si pensi all'assistenza del minore o del giovane non economicamente autosufficiente; al datore di lavoro che assicuri la difesa legale del dipendente; alla compagnia assicurativa che tuteli l'assistenza legale dell'assicurato.

In situazioni simili, all'avvocato è richiesto il dovere di informazione sia della parte assistita sia del cliente, con particolare attenzione alla prevalenza dell'interesse della prima, dal momento che solo nei confronti di questa è prestata l'opera professionale ed è quindi dovuta la diligenza e la libertà che la funzione impongono.

La situazione è assimilabile, per analogia, al dovere di informazione del medico, che è orientato, prevalentemente, verso il paziente anziché verso i suoi familiari. Sul punto, è auspicabile che l'inciso cliente venga eliminato dall'attuale formulazione del comma 6 dell'art. 27 (conferimento dell'incarico) del codice deontologico forense. Analogamente, quanto all'art. 33 (restituzione dei documenti) del codice deontologico, si ritiene che la documentazione debba essere consegnata alla parte assistita (o al difensore subentrante) ma non anche al cliente, cioè al soggetto che, pagante, potrebbe avere un interesse a conoscere dei risultati dell'opera professionale prestata. A fortiori nelle ipotesi in cui il corredo documentale contenga gli esiti dell'espletata attività di indagine difensiva non versata in giudizio.

Per queste ragioni, de iure condendo, è auspicabile l'aggiornamento dell'art. 23 del nuovo codice deontologico forense nel senso di sopprimere, al comma 1, l'inciso nell'interesse proprio o della parte assistita e, al comma 3, con la sostituzione dell'inciso influire sul in condizionare la libertà nel rapporto professionale.

È facile quindi concludere nel senso che le situazioni di conflitto tra assistito e cliente devono imporre all'avvocato di privilegiare le ragioni del primo a scapito di quelle del secondo e senza nessuna remora.

Il rifiuto alla consegna della copia degli atti andrà invece opposto quando, pendente la fase di indagine e con il rischio dell'adozione di probabili misure custodiali, la richiesta dell'assistito non sia funzionale all'esercizio del diritto di difesa, ma orientata ad estendere alla conoscenza di altri indagati il contenuto degli atti richiesti.

Una regola non scritta e utile dal punto di vista pratico è quella definita dei c.d “tre secondi”: se dopo tre secondi di riflessione permangono dubbi sull'opportunità di una scelta, si versa in una potenziale situazione di non opportunità.

Il precipitato della regola, venendo alla deontologia del penalista, si coglie in tutta la sua portata nei casi di assistenza del detenuto ristretto in vincoli, allorché il cliente è un parente dell'assistito. In situazioni simili, non è infrequente che il profano chieda all'avvocato la comunicazione, suo tramite, di informazioni al parente detenuto. Sarà onere dell'avvocato, evidentemente, distinguere il comunicabile (condizioni di salute, fatti della vita quotidiana etc.) da ciò che comunicabile non è pel rischio di trasformare il professionista in un latore di informazioni che potrebbero esporlo a responsabilità non solo disciplinari. La deontologia del professionista, in situazioni simili, dev'essere tanto più intransigente quanto più – per luogo comune e arretratezza culturale, talvolta alimentati da responsabilità individuali di alcuni esponenti della classe forense che si sono prestati a forme di “solidarietà anomala” – la funzione difensiva è malintesa come favoreggiatrice dell'assistito, anziché, com'è effettivamente, di tutela delle ragioni difensive dell'imputato.

La libertà dell'avvocato e cenni di comparazione

La descrizione della funzione dell'avvocato contenuta nel preambolo al codice deontologico degli avvocati europei prevede espressamente che l'avvocato deve garantire il rispetto dello Stato di Diritto e gli interessi di coloro di cui difende i diritti e le libertà … ha il dovere di difendere non solo la causa del proprio cliente ma anche di essere il suo consigliere.

Il Reglement interieur National francese, che prevede molti doveri comuni a quelli codificati nel nostro codice etico, si distingue per la codificazione di ulteriori doveri: umanità, disinteresse, delicatezza, moderazione e cortesia.

Se ne ricava che la funzione difensiva è anche professione di partecipazione alla vicenda umana dell'imputato, e rimane valida l'espressione che definisce l'opera dell'avvocato come prestata nell'interesse dell'essere umano.

È tuttavia del pari evidente che l'afflato verso la parte assistita trovi il suo naturale limite nella difesa della libertà della funzione difensiva.

In questo senso l'indipendenza dell'avvocato dev'essere intesa anche come distacco dall'assistito, cioè da quell'insieme di richieste, aspettative, pretese che, provenienti dalla parte privata, rivolgano al professionista l'aspettativa di condotte in violazione delle regole legali che egli è tenuto ad assicurare nel rispetto del canone di lealtà verso il sistema giudiziario.

Se ne ha una immediata percezione nella regola codificata all'art. 50 del cod. deontologico (dovere di verità) che impone all'avvocato di non utilizzare gli elementi di prova o i documenti falsi provenienti dalla parte assistita e che, nell'attuale formulazione, impone, in alternativa, di rinunciare al mandato difensivo.

Un'espressione molto efficace e in grado di rendere metaforicamente il concetto è quella che utilizzava l'avvocato Serafino Famà (assassinato dalla mafia per aver difeso la libertà della sua funzione): c'è sempre una scrivania a separare l'avvocato dall'assistito. Il che, ovviamente, non può essere malinteso come distacco dalla vicenda giudiziaria e umana dell'assistito, perché – come insegna Piero Calamandrei – molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l'avvocato no. L'avvocato non può essere un puro logico, né un ironico scettico, l'avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere su di sé i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce.

È dunque dovere dell'avvocato rivendicare alla nobiltà della funzione professionale la tutela del sistema di regole che compongono le garanzie processuali, nel giusto equilibrio tra il suo ruolo di “guardiano delle regole” e contro quella cultura mai sopita che Paolo Borgna definisce tentazione [dei magistrati] a far da soli come obiettivo verso un processo con valore etico o collaborazione dell'avvocato al raggiungimento della verità storica (BORGNA, Difesa degli Avvocati scritta da un pubblico accusatore).

In conclusione

Rimane attuale l'insegnamento di Alfredo De Marsico: se si consultano i libri, gl'insegnamenti lasciati e tramandati dai più grandi rappresentanti della toga forense, dall'antichità remota ad oggi, una concordia senza incrinature si riscontra sui doveri essenziali che incombono all'uomo di legge in genere, all'avvocato in ispecie. Essi si concentrano soprattutto in tre doveri: l'instancabilità nel lavoro, la passione della verità il senso del sacrificio (DE MARSICO, Tra Cattedra e Foro, pag. 85). Nella consapevolezza che una difesa spesso è una sfida della nostra libertà dalla altrui grettezza, un fiero e indomito atto di accusa contro l'ignavia, la sopraffazione, il sopruso, ma anche contro la superficialità l'indifferenza (RANDAZZO, Osservazioni all'arringa in difesa del Re Luigi XVI).

Guida all'approfondimento

RANDAZZO (a cura di), Il Penalista e il nuovo codice deontologico forense, Giuffrè, 2014

DE MARSICO, Tra Cattedra e Foro, Fasano 2000

RANDAZZO, La Libertà della difesa, in Arringa in difesa del re Luigi XVI di Raymond De Seze, Padova

Borgna, Difesa degli avvocati scritta da un pubblico accusatore, Bari, 2008

Randazzo, L'Avvocato e la verità, Palermo, 2015

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