Usura, autoriciclaggio e modelli organizzativi
10 Novembre 2015
Abstract
La disciplina del d.lgs. 231/2001 non considera attualmente tra i reati presupposti il delitto di usura, anche se vi è un disegno di legge al proposito. Nondimeno, un modello organizzativo che consideri anche le criticità derivanti dal rispetto delle disposizioni sull'esercizio del credito può essere comunque funzionale alle esigenze degli istituti bancari. Si deve inoltre rilevare che le nuove disposizioni in tema di autoriciclaggio – delitto inserito tra i presupposti degli illeciti disciplinati dal d.lgs. 231/2001 – impongono verosimilmente di considerare nei modelli organizzativi anche profili correlati all'esercizio dell'attività creditizia con riferimento al delitto di usura. Il reato di usura e le disposizioni di cui al d.lgs. 231/2001
L'usura è un reato che, allo stato, non è ricompreso tra quelli costituiscono il presupposto delle responsabilità degli enti, ai sensi del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231. Nondimeno si tratta di una fattispecie delittuosa che, in varie sue forme, presenta profili di analogia con quelli di cui agli artt. 24 ss., d.lgs 231/2001: un reato normalmente imputabile ad un'impresa societaria (persona giuridica), più che ad una persona fisica e la cui gravità sociale è sicuramente paragonabile a quella di altri illeciti già ricompresi dal citato decreto, quali quelli sulla violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro e ambientale, i reati societari, i delitti contro la pubblica amministrazione ed il riciclaggio. Non è in questa sede che pare possibile dilungarsi su considerazioni de iure condendo, in relazione alla necessità o opportunità che il legislatore “estenda” la disciplina del d.lgs. 231/2001 al reato in oggetto. Si deve ricordare in questo senso che è stato presentato al Senato in data 7 gennaio 2015 un disegno di legge con oggetto l'introduzione, tra i reati che comportano la responsabilità amministrativa ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2001, dell'usura e dell'estorsione. Un disegno di legge nella cui relazione viene ricostruita l'evoluzione della normativa in materia di usura, precisando tra l'altro che il legislatore ha mirato a ridisegnare un quadro complessivo che avesse come obiettivo quello di marcare con evidenza l'elemento dirimente tra il lecito e l'illecito nel settore dell'erogazione del credito. Quadro che risulterebbe, nell'impianto del menzionato disegno, in qualche modo “monco”, poiché la banca, che in quanto persona giuridica sarebbe astrattamente suscettibile di sanzione ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2001, in realtà sfugge a quella normativa, perché la pur ricca elencazione dei reati presupposto non include le norme citate.
Ad ogni buon conto, in attesa della scelte del legislatore, due aspetti possono si può verificare se alcune indicazioni del d.lgs. 231/2001 decreto possano sin da ora utilizzata- su base volontaristica, ovviamente per fronteggiare il fenomeno usura in ambito bancario, specie considerando le conseguenze – non sul piano specifico delle sanzioni da illecito amministrativo – quanto penale per funzionari, patrimoniali e comunque di immagine per l'ente che possono derivare dall'accertamento di fatti di usura riconducibili all'attività bancaria. Ci si vuole riferire evidentemente all'istituto dei modelli organizzativi. Un aspetto che indubbiamente impone delle riflessioni in ordine all'“applicabilità” del modello 231 alla normativa sull'usura riguarda la valutazione – in ottica di impresa, prima ancora che in chiave repressiva – dell'elemento soggettivo del reale, o ipotetico, reato presupposto.
Un confronto con i delitti contro la pubblica amministrazione può essere indicativo. L'amministratore o il dirigente di una società che intende porre in essere, o concretamente attua, condotte riconducibili al delitto di corruzione è ragionevolmente consapevole (si potrebbe dire al di la di ogni ragionevole dubbio) dell'illiceità della propria condotta. Conseguentemente, un modello organizzativo che intenda predisporre in sistema di controlli e “controspinte” rispetto a tali forme di criminalità potrà e dovrà essere strutturato su elementi calibrati (anche) sull'aspetto “motivazionale” dell'illecito, sia direttamente in relazione ai potenziali autori del reato, sia in rapporti ai meccanismi di verifica su tale specifico rischio. In tema di usura – o del potenzialmente correlato delitto di estorsione – la questione si pone in termini differenti; termini rispetto ai quali dovrà essere calibrato un eventuale modello organizzativo predisposto su base volontaristica. L'art. 6 d.lgs. 231/2001 è una delle disposizioni centrali del d.lgs. 231/2001: una norma che pone in relazione funzionale e dinamica le condotte e le conseguenti responsabilità dei singoli con le politiche aziendali di controllo delle “patologie” del sistema organizzativo ed operativo aziendale. La stessa rubrica dell'articolo, Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell'ente, esprime compiutamente in sintesi tale delicato snodo nell'accertamento della responsabilità degli enti. In relazione alla realtà bancaria è evidente che non si tratta di indicazioni funzionali al riconoscimento in concreto dell'illecito previsto dal d.lgs. 231/2001, quanto di indicazioni di carattere generale potenzialmente espressive di “buone prassi” diretta ad evitare o contenere il rischio della commissione dei specifici illeciti penali (usura e, in prospettiva, estorsione). L'articolo in commento si caratterizza, in primo luogo, nel porre – contrariamente a quanto normalmente avviene nei moduli “logici” di accertamento della prova in sede penale – un'inversione dell'onere della prova che viene espressamente “riferito” all'ente oggetto di accertamento con riguardo alla sussistenza di una serie tipizzata di situazioni tali da determinare un'esclusione di responsabilità. In particolare, nel caso in cui il reato presupposto sia stato posto in essere da soggetti apicali dell'ente (segnatamente da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso) l'ente non risponde se prova che: a) l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; b) il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato ad un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo; c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione; d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di cui alla lettera b). Proprio la disposizione di cui alla lettera a) in tema di modelli di organizzazione e di gestione è quella che maggiormente caratterizza il sistema. Tali modelli devono essere calibrati in relazione all'estensione dei poteri delegati ai singoli responsabili ed al rischio di commissione dei reati ed essere conseguentemente funzionali ad una serie di esigenze “tipizzate” dal legislatore; esigenze che, ovviamente, si pongono per gli illeciti in materia di ambiente in termini significativamente differenti rispetto a quelle correlati alla prevenzione di illeciti patrimoniali.
A sua volta l'art. 7 d.lgs. 231/2001 del citato decreto prende in considerazione i requisiti di efficacia dei modelli organizzativi in relazione ai soggetti sottoposti alla direzione e vigilanza dei soggetti apicali di cui all'art. 6 d.lgs. 231/2001, rapportando la responsabilità dell'ente ai casi nei quali la commissione del reato sia stata resa possibile dall'inosservanza proprio di tali obblighi di direzione o vigilanza. Anche la responsabilità così descritta, pur non essendo indicata espressamente un'inversione dell'onere della prova, deve essere esclusa (rectius: è esclusa l'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza) laddove l'ente prima della commissione del reato, ha adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi. Proprio quest'ultima indicazione avrebbe potuto rivelarsi generica se non fosse stata integrata da criteri interpretativi della “idoneità” alla mancanza della quale il legislatore sostanzialmente equipara la stessa assenza di un modello organizzativo. Al proposito l'art. 7 d.lgs. 231/2001 citato precisa che il modello prevede, in relazione alla natura e alla dimensione dell'organizzazione nonché al tipo di attività svolta, misure idonee a garantire lo svolgimento dell'attività nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio. Il modello organizzativo tuttavia non viene descritto solo in termini “statici”: lo stesso, per escludere la responsabilità, deve anche trovare una efficace attuazione pratica, desumibile da: a) una verifica periodica e l'eventuale modifica dello stesso quando sono scoperte significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell'organizzazione o nell'attività; b) un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello. Le caratteristiche dei modelli organizzativi
Una rapida disamina dei punti sui quali devono essere in termini generali e astratti delineati i modelli organizzativi consente di ravvisare specifici profili derivanti dalla criticità del sistema bancario – vero o presunte che siano – con riguardo al delitto di usura, al fine di comprendere in che termini un modello organizzativo può contribuire a prevenire la commissione del delitto di usura bancaria. In primo luogo è indispensabile l'individuazione dei “momenti” dell'attività bancaria che possono rilevare nella sopra menzionata prospettiva.
Il secondo punto, dopo l'individuazione delle attività nel cui ambito possono essere commessi reati, impone di prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione ai reati da prevenire. Nel caso della realtà bancaria, non pare poter avere rilievo la previsione, negli enti di piccole dimensioni della possibilità di svolgimento dei predetti compiti direttamente dall'organo dirigente. Si tratta di un obbligo di carattere generale, che impone ai vertici dell'istituto di prendere atto della possibilità non solo che in astratto debba essere prevenuto in via preventiva il rischio dell'applicazione di tassi superiore alla soglia di legge, ma anche che tale possibilità possa verificarsi sia in dipendenza:
Il terzo punto ha per oggetto l'individuazione delle modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati. L'indicazione in oggetto può assumere un particolare rilievo non solo – come pure è evidente - in relazione agli “investimenti“ funzionali ad evitare l'elemento oggettivo del delitto di usura, quanto anche di valutare oneri di verifica anche sulla fase patologica del rapporto e quindi – nel momento in cui si decide in recupero, in sede stragiudiziale come giudiziale – degli insoluti con riguardo alla “ fondatezza” e legittimità dei crediti a fronte di specifiche e attendibili controdeduzioni aventi ad oggetto il rispetto delle soglie di usura. Il quarto punto considera gli obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli. Si tratta, come è evidente, della predisposizione di meccanismi di regolare, tempestiva ed esaustiva raccolta di informazioni che possono rilevare alle varie fasi sopra indicate di gestione del rapporto. Obbligo evidentemente funzionale all'efficacia di un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello. Deve infine essere considerata un'ulteriore aspetto delle possibili interazioni tra la disciplina del d.lgs. 231/2001 e quella in tema di usura. Come è noto la l. 186 del 17 dicembre 2014 (Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all'estero nonché per il potenziamento della lotta all'evasione fiscale. Disposizioni in materia di autoriciclaggio) ha introdotto nel codice penale il delitto di autoriciclaggio, all'art. 648-ter.1 c.p. Un nuovo delitto la cui disamina ha già evidenziato non poche criticità, che non possono essere analizzate nel dettaglio nella presente sede. La norma impone una riflessione proprio – anche – in relazione al delitto di usura. Nessun dubbio che la stessa possa essere riferibile all'attività bancaria, in quanto, qualora le condotte penalmente rilevanti che possono costituire il presupposto del delitto di autoriciclaggio risultino poste in essere in tale contesto, l'art 648-ter.1 c.p. ha previsto una specifica circostanza aggravante: La pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell'esercizio di un'attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale. Ciò detto, un rapido confronto tra la fattispecie astratta del delitto di autoriciclaggio e quello di usura consente di enucleare alcuni punti focali. L'usura è indubbiamente un delitto non colposo punito con pene che escludono la ravvisabilità dell'ipotesi attenuata di autoriciclaggio, di cui al comma 2 della norma. È un reato che, in astratto, determina un profitto illecito, inevitabilmente correlato (quantomeno) alle somme “versate” dalla persone offese eccedenti il tasso legale di interesse. Tali somme verranno – altrettanto inevitabilmente – impiegate (o sostituite o trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative) nell'ambito dell'istituto anche se un serio ed oggettivo “limite” alla riconduzione di delle condotte alla fattispecie di cui all'art. 648-ter.1 c.p. potrebbe essere individuato nel fatto – ai fini di ravvisare il delitto de quo – è necessario che tali condotte siano finalizzate a ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa. È questo indubbiamente l'elemento che imporra un'attenta selezione delle condotte concretamente riconducibili all'autoriciclaggio, non potendosi, nel caso di istituti bancari, ipotizzare l'applicazione della non punibilità delle condotte per le quali il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale. È necessario pertanto attendere i criteri che la giurisprudenza, in particolare della suprema Corte, vorrà indicare per individuare le forme di concreto ostacolo all'identificazione della provenienza delittuosa. In questo caso potrebbe non trattarsi verosimilmente di “ tracciabilità” interne delle somme, quanto delle scelte di “posizionamento”, inquadramento e definizione delle stesse a livello di bilancio. E, ad abundantiam, si deve tener conto del fatto che con elevata verosimiglianza il principio di legalità non può ritenersi violato se l'impiego nel quale si sostanzia l'autoriciclaggio avviene dopo l'entrata in vigore della l.186/2014 (ossia dal 1 gennaio 2015) anche se il reato presupposto è stato commesso prima.
In sintesi: è possibile che , a partire dal 1 gennaio 2015 , i proventi illeciti di attività di usura (anche in ambito bancario e anche riferita a rapporti antecedenti a tale data) possano essere individuati come somme riconducibili al delitto di autoriciclaggio, ogni qual volta – quantomeno – per le stesse sia individuabile un “reimpiego” diretto ad ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa. Avendo l. 186/2014 ha altresì modificato l'articolo 25-octies del d.lgs. 231/2001, inserendo il delitto di autoriciclaggio tra i reati presupposto delle responsabilità di enti e persone giuridiche contemplati dal menzionato articolo, non si può escludere che i modelli organizzativi degli istituti bancari debbano prendere in considerazione – almeno indirettamente – il delitto di usura, non foss'altro per delineare in termini chiari ed efficaci l'individuazione e la destinazione dei profitti derivanti dall'esercizio dell'attività creditizia. Un ripensamento globale, indubbiamente allo stato non inevitabile, ma auspicabile alla luce di un approccio prudenziale al problema. Si considerino in questo senso – in una valutazione globale della tematica, due ulteriori aspetti: In ottica penale, la l. 168/2014, ha modificato l'art. 648-quater c.p., stabilendo anche per il delitto di autoriciclaggio che, in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell'articolo 444 c.p.p., è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il prodotto o il profitto, salvo che appartengano a persone estranee al reato. Confisca ammissibile anche per equivalente. Nella prospettiva del d.lgs. 231/2001, la possibile contestazione ai sensi dell'art. 25-octies d.lgs. 231/2001 sul presupposto di una contestazione di autoricilaggio dei proventi del delitto di usura potrà determinare l'applicazione di sanzioni interdittiva di potenziale “invasività”; si consideri che il citato art. 25-octies d.lgs. 231/2001 prevede l'applicazione delle sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, d.lgs. 231/2001 per una durata non superiore a due anni: a) l'interdizione dall'esercizio dell'attività; b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito; c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; d) l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi; e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi. Nel caso di specie, considerando i presupposti di tali sanzioni, indicati dall'art 13, d.lgs. 231/2001, non si può escludere che gli stessi possano essere ravvisati propri in considerazione della tipologia di illecito ( direttamente, art 648-ter.1c.p. ed indirettamente, art 644 c.p. ) presupposto delle stesse.
Stabilisce in effetti la norma richiamata che le sanzioni interdittive si applicano in relazione ai reati per i quali sono espressamente previste, quando ricorre almeno una delle seguenti condizioni: a) l'ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità e il reato è stato commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti all'altrui direzione quando, in questo caso, la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative; b) in caso di reiterazione degli illeciti. In definitiva, anche in assenza di un obbligo normativamente posto, è certamente utile e oltremodo opportuno che gli istituiti bancari prendano in considerazione nei loro modelli organizzativi le problematiche e le criticità sopra evidenziate in relazione all'esercizio del credito ed alla destinazione delle somme derivanti da tali forme di attività. In conclusione
La disciplina del d.lgs. 231/2001 non considera attualmente tra i reati presupposti il delitto di usura, anche se vi è un disegno di legge al proposito, pertanto un modello organizzativo che consideri anche le criticità derivanti dal rispetto delle disposizioni sull'esercizio del credito può essere comunque funzionale alle esigenze degli istituti bancari. Le nuove disposizioni in tema di autoriciclaggio - delitto inserito tra i presupposti degli illeciti disciplinati dal d.lgs. 231/2001 - impongono verosimilmente di considerare nei modelli organizzativi anche profili correlati all'esercizio dell'attività creditizia con riferimento al delitto di usura. |